MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MINORE

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LIBRO DI AZARIA CAPITOLO 51


Domenica di Settuagesima


2 febbraio 1947

   Introito: Salmo 18 (17), 2-3.5-7.
   Orazione: Esaudisci con clemenza, te ne preghiamo o Signore, le preghiere del tuo popolo, e fa' che noi, giustamente afflitti per i nostri peccati, veniamo misericordiosamente liberati a gloria del tuo nome.
   Epistola: 1 Corinzi 9, 24-27; 10, 1-5.
   Graduale: Salmo 9, 10-11.19-20.
   Tratto: Salmo 130 (129), 1-4.
   Vangelo: Matteo 20, 1-16.
   Offertorio: Salmo 92 (91), 2.
   Segreta: Dopo aver ricevuto i nostri doni e le nostre preghiere, te ne preghiamo o Signore, ci purifica con i celesti misteri e con clemenza ci esaudisci.
   Comunione: Salmo 31 (30), 17-18.
   Dopocomunione: I tuoi fedeli, o Signore, siano così fortificati dai tuoi doni che, ricevutili, li ricerchino e, ricercandoli, li ricevano senza fine.
  

   Dice Azaria:
   «Nella tua lunga passione, nella quale nessuna sofferenza, di tutti i generi, ti è stata risparmiata, e carne, sangue, intelletto, cuore, spirito, tutto, ha dovuto atrocemente soffrire, quante volte sei stata nella condizione di gridare: "Salvami" al tuo Signore, unico pietoso verso te, vittima torturata. La più vera epigrafe da scrivere sulla tua vita e sulla tua tomba è questa: "Mi accerchiarono dolori di morte, i dolori d'inferno mi attorniarono, e nelle mie angustie invocai il Signore, ed Egli, dal suo tempio santo, mi esaudì". E andrebbe completata con l'altro versetto del salmo che non è nella S. Messa liturgica di oggi Settuagesima, ma è nella tua Messa, o vittima immolata, e che, unito alla prima frase testimoniante il tuo dolore, testimonierebbe come Dio, solo Dio ti ha amata, porgendoti la mano a trarti fuori dalle grandi acque. Questa frase: "Il Signore fu il mio sostegno. Mi trasse al largo. Mi salvò".
   Anima mia, leggi oggi il salmo 17 di Davide. È per te profetico. E le parole del salmista ti siano preludio al gaudio. Leggiamo Paolo, confortatore ed esempio dei lottatori per amore di Dio.
   Con giusto paragone l'Apostolo dice che la vita del cristiano è una spirituale vita di atleta nella grande arena della Terra, durante il giuoco più o meno lungo della vita umana per conquistare il premio che spetta ai vincitori. E, sempre molto giustamente, fa notare che i corridori negli stadi si sottopongono ad ogni sorta di astinenze per un incerto premio, perché uno solo dei corridori lo vince, e per un premio corruttibile che, per quanto possa essere di valore, non dura che un tempo relativo, mentre coloro che lottano per ottenere il premio eterno sono certi di ottenerlo, tutti, poiché Dio è buono e dà premio anche a chi non è il primo atleta, ma con tutte le sue forze e con tenace volontà fa quanto è capace di fare per ubbidire a Dio, né cessa dopo un tempo il premio del Signore, ma dura per l'eternità.
   Queste considerazioni devono spronare ogni cristiano ad imitare gli atleti degli stadi per mantenersi lo spirito forte e agile, per aumentarne la forza, l'agilità, la resistenza alle insidie avversarie per ottenere la corona incorruttibile della gloria celeste.
   Non tutti i cristiani possono avere una stessa forza nella lotta, né vi è un sol modo per giungere alla vittoria che è il fine. Chi è austero di una austerità così assoluta che le piccole anime ne hanno paura; chi è così soprannaturalmente umano - mi si lasci dire queste parole - dandovi un esempio soave di virtù che ogni altro uomo, anche il più debole nell'eroismo soprannaturale, può imitare. Una virtù soave di fanciullo, la quale però per la sua costanza e perfezione non è meno crocifiggente la volontà della carne della grande santità piena di atti di penitenza e di austerità straordinarie dei giganti spirituali. E, vedete? La S. Chiesa, materna e sapiente, chiama eroico l'asceta dai gesti potenti che sgomentano le piccole anime ed eroico il piccolo che fa bene, alla perfezione, le piccole cose.
   Veramente non c'è differenza in Cielo tra coloro che si sono macerati con penitenze inaudite e quelli che per cilizio hanno usato soltanto l'aderenza amorosa, umile, costante a tutto che abbia aspetto di volontà di Dio, o attraverso i comandi espliciti del Signore e della S. Chiesa, o a quelli dei superiori e famigliari, o alla rassegnata accettazione dei fatti quotidiani, accolti con amore, eseguiti con amore, consumati con amore, perché in tutti si riconosce un volere di Dio per santificazione dell'anima.
   La lima sorda e continua dell'ubbidienza amorosa è martirio non inferiore a quello delle flagellazioni; la spogliazione della propria volontà non è di minor valore soprannaturale della spogliazione dalle ricchezze per abbracciare uno stato religioso; la rinuncia alla vita, offerta silenziosamente e volontariamente per i fini di Dio e conversione dei peccatori, non è inferiore alla rinuncia della libertà materiale per l'entrata in un chiostro.
   Sufficiente per rendere uguali gli atleti dei molti esercizii che si giuocano nello stadio della vita terrena è il mezzo e il fine: l'amore per conquistare l'Amore, premio e corona eterna dei lottatori e vincitori spirituali.
   "Io poi corro in questa maniera, e non come a caso; così combatto e non come chi batte l'aria; ma tratto duramente il mio corpo e lo costringo a servire, affinché, dopo aver predicato agli altri, non diventi reprobo io stesso".
   Tutta la regola del buon lottatore e del buon maestro di lotta è in queste parole. Correre non a caso. Quante anime, con impulsi buoni ma senza riflessione, corrono disordinatamente, ossia sino ad esaurire le forze in uno sforzo saltuario, per poi giacere inerti lasciandosi superare da quelli che con costanza si allenano, con ordine si preparano, e tutto fanno con costanza e con ordine, fortificandosi così per il grande cimento che superano felicemente perché preparatisi ad esso con continuo esercizio.
   Non correre a caso perciò, ma su norme sicure. Non combattere a vuoto, per non faticare, facendo soltanto un inutile sfoggio di gesti per essere notato e lodato. Anche i pazzi sanno agitarsi contro i fantasmi dei loro deliri. Ma nessuno potrebbe dire che il pazzo è un atleta meritevole di premio. Anche i mimi fingono azioni contro supposti avversari. Ma nessuno potrebbe coronarli altro che come mimi, ossia come contro abili simulatori del vero. In Cielo non entrano né simulatori né deliranti, per essere stati tali. Può entrare il mimo, se giù dalla scena condusse una vita vera di santità, e può entrare il folle se, avanti la sua follia, fu un giusto perché la malattia è sofferenza e non colpa; ma in Cielo si entra per meriti reali, non per scene vane.
   Lottare perciò veramente contro gli avversari, silenziosamente, nel segreto stadio dell'io, là dove lo spirito ha contro la carne, il demonio e il mondo, ha contro la concupiscenza triplice, le seduzioni, le tentazioni, le violenze, le reazioni alle violenze, tutto. È una lotta continua e tenace, un corpo a corpo coi diversi nemici sempre risorgenti in voi e intorno a voi. Una lotta nella quale non solo lo spirito combatte. Ma lo stesso corpo deve combattere contro sé stesso, servendo gli ordini dello spirito. La carne che deve punire sé stessa, negare a sé stessa i satollamenti che essa esige per le sue fami, la carne che da sé stessa deve mettersi in catene per frenare le sue smanie di puledro selvaggio, o di fiera furente, o di serpente strisciante, o di immondo animale, che vorrebbero correre ai pericoli, assaltare, sibilare, o avvoltolarsi nel fango. Le imprudenze, le ferocie, le menzogne, le lussurie della carne. Contro questo va combattuto. E contro gli immateriali, ma non meno violenti nemici, che vengono dall'io mentale, e che sono le cupidigie, le superbie, le accidie. Ecco così che l'individuo umano, fatto di materia e fatto di pensiero, è costretto a servire allo spirito che è la parte eletta dell'uomo.
   Così deve essere acciò "dopo aver predicato agli altri" l'uomo, che si atteggia a maestro di altri, "non diventi reprobo lui stesso" dando uno scandalo quale non è dato da quelli che apertamente dimostrano di non avere fede. Perché gli occhi del mondo sono fissi su coloro che si erigono a maestri, e se il mondo vede in essi una regola di vita contraria alla perfezione che insegnano, crollando il capo conchiude: "Non deve essere vero ciò che insegnano, non deve essere Dio, né premio, né castigo, né altra vita, né giudizio, altrimenti essi farebbero diverso di ciò che fanno". Ed ecco che un falso maestro provoca una rovina maggiore di un sincero miscredente, e non solo non converte i peccatori ma fa gelare del tutto i tiepidi, intiepidisce i ferventi, scandalizza i giusti che, almeno nel loro interno, non possono fare a meno di avere un giudizio severo su questi maestri idoli.
   "I vostri padri furono tutti sotto la nuvola, tutti attraversarono il mare, tutti mangiarono lo stesso cibo spirituale e tutti bevvero la stessa spirituale bevanda... ma non in gran numero di essi Dio si compiacque".
   Altra grande lezione. Non è sufficiente avere il Battesimo e gli altri divini aiuti per essere salvi e gloriosi, ma ci vuole la buona volontà. Perché il possesso del Regno eterno non è dono gratuito ma è conquista individuale mediante lotta continua. Dio aiuta. Senza il suo aiuto l'uomo non vi perverrebbe, perché ha dei nemici spietati contro di sé a contendergli la via del Cielo: il peccato e i suoi fomiti, la carne, il mondo, e il Maledetto che non dà tregua. Ma è l'uomo che deve volere il Cielo. Il libero arbitrio non è lasciato per la rovina dell'uomo; se lo fosse, solo per questo Dio avrebbe fatto un dono non buono all'uomo, e Dio non fa cose non buone. Ma è stato lasciato anche e soprattutto per volere la salvezza, ossia il Cielo, ossia Dio.
   Fate dunque che con la protezione della nuvola, con la traversata del mare profondo, con i cibi e le bevande che vi sono date - la protezione di Dio, il superamento della pericolosa barriera della Colpa d'Origine con tutte le sue conseguenti lesioni all'uomo, con la Grazia e i Sacramenti: cibi e bevande di immisurabile potere - voi tutti possiate mantenervi tali che Dio di voi si compiaccia.
   Compiacenza di Dio è aiuto di Dio nel tempo del bisogno e della tribolazione. Compiacenza di Dio è ricordo del Padre in favore del suo povero figlio paziente e fedele. Compiacenza di Dio è forza opposta al prevalere dei malvagi contro i figli fedeli che sanno, anche nelle loro debolezze involontarie, non perdere fiducia, umiltà e amore, e gridano: "Dal mio profondo io grido a Te... Se guardi alle colpe chi potrà reggere? Ma presso Te è la misericordia e per la tua legge confido in Te"; e, dopo aver lottato e gemuto sempre fedelmente e amorosamente, possono addormentarsi in pace dicendo le parole che si leggono nell'altra S. Messa di oggi, Purificazione di Maria Ss.: "Ora lascia che il tuo servo se ne vada in pace", perché "ho combattuto la buona battaglia, son giunto al termine della corsa, ho conservato la fede e non mi resta che ricevere la corona di giustizia" che la tua misericordia, molto più grande del tuo rigore, ha in serbo per quelli che con tutte le loro capacità ti hanno amato e servito.
   Tal sia di te, anima mia che ho ammaestrato per le 52 S. Messe1 domenicali. Il ciclo è compiuto. Ma la buona amicizia resta, né ti mancherà la mia parola per guida e conforto. Festoso andrò a prostrarmi a Dio per ricevere perle di sapienza per te, e godremo insieme, io dandotele, tu ricevendole, nell'ammirare i tesori che Dio dà a quelli che lo servono con tutto sé stessi. E loderemo il Signore. Lodiamolo, rendendogli grazie di tutto e cantando con tutto il Paradiso e i giusti della Terra: Gloria al Padre, al Figlio, allo Spirito Santo».

 
   1 52 S. Messe, numero che non corrisponde con esattezza al nostro computo. Notiamo che il ciclo liturgico non si completa, perché mancano due Messe domenicali: all'inizio (10 e 17 febbraio 1946) o alla fine (9 e 16 febbraio 1947).