MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MINORE

A A A

QUADERNI DEL 1943 CAPITOLO 174


13 novembre 1943

   Dice Gesù:
   «Per meritare di trasmettere la Parola di Dio occorre avere labbra e cuore mondi. Cuore mondo, poiché è dal cuore che escono[576] i moti che muovono pensiero e carne.
   Guai a coloro che non tengono puri se stessi ed osano parlare in mio Nome con anima di peccato. Non sono costoro miei discepoli e miei apostoli. Sono miei predatori. Perché mi depredano delle anime per darle a Satana.
   Le anime, sia quelle che seguono il sacerdote con rispetto e fede, sia quelle che diffidenti lo osservano, sono soggette a riflettere, poiché hanno una ragione, sulla condotta del sacerdote. E se vedono che colui che dice: “Sii paziente, sii onesto, sii casto, sii buono, sii caritatevole, sii longanime, perdona, aiuta” è all’opposto preso dall’ira, dalla durezza, dal senso, dal risentimento, dall’egoismo, si scandalizzano e, se pur non si allontanano dalla chiesa, sempre risentono in sé un urto. Sono come colpi di ariete che voi - sacerdoti non vittime del vostro sublime ministero, che vi fa i continuatori dei Dodici fra le turbe che a venti secoli di distanza hanno sempre da essere evangelizzate, perché Satana distrugge continuamente l’opera del Cristo e sta a voi riparare le ingiurie di Satana - sono colpi di ariete che voi date all’edificio della Fede nei cuori. Se anche non crollano, si lesionano, e basta poi una spallata di Satana per farli cadere.
   Troppi sono fra voi che imitano il dodicesimo apostolo e per bassi interessi umani vendono le parti di Me[577] - le anime che, bagnate del mio Sangue, vi ho affidate - al Nemico di Dio e dell’uomo. Lo stato attuale, per almeno cinquanta parti - e sono molto indulgente - dipende da voi, sale divenuto insipido, fuoco che più non riscalda, luce che fuma e non splende, pane divenuto amaro e conforto divenuto tormento, perché alle anime che, già ferite, vengono a voi per appoggio, presentate un insieme irto di spini: durezza, anticarità, indifferenza, rigorismo date alle anime che vengono a voi per sentire una parola di padre in cui sia l’eco della dolcezza, del perdono, della misericordia mia.
   Povere anime! Tuonate contro di loro. E perché non tuonate verso voi stessi? Vi fa gola sembrare gli emuli degli antichi sinedristi? Ma quel tempo è passato. Su di esso Io ho messo una pietra tombale, perché meritava di essere sepolto perché più non nuocesse, e su di essa ho eretto il mio trono di Pietà e d’A­more dato da una Mensa e da una Croce dove un Dio si fa pane e un Dio si fa ostia per la redenzione di tutti.
   Imparate da Me, Sacerdote eterno, come si è sacerdoti. Esser sacerdoti vuol dire essere angelici, vuol dire essere santi. In voi le folle dovrebbero vedere il Cristo con una evidenza totale. Ahi! che spesso mostrate loro un aspetto più simile a quello di Lucifero.
   Di quante, di quante anime Io chiederò conto ai miei sacerdoti! Vi ripeto il detto di Paolo.[578] E credete che fareste meglio a confessare apertamente che non potete più rimanere in quella via anziché vivere come vivete. Mi abiurereste voi soltanto. Rimanendo, recidete da Me tante anime. Lasciate una buona volta da parte tante frange e tante sollecitudini.
   Per la coltura tornate ai Testi e chiedete a Dio di purificarvi mente e cuore col fuoco della continenza e dell’amore per poterli capire come vanno intesi. Perché, sappiatelo, avete reso le gemme ardenti del mio Vangelo delle pietruzze opache sporche di fango, se pure non ne avete fatto dei pietroni di anatema per lapidare le povere anime, dando alle parole dell’amore un rigorismo che agghiaccia e porta a disperare.
   Siete voi che le meritate quelle pietre, perché se un gregge viene sbranato dai lupi, o precipita in un burrone, o si pasce di erbe velenose, di chi è la colpa novanta volte su cento? Del pastore accidioso o crapulone che, mentre le pecore pericolano, gozzoviglia, o dorme, o si occupa di mercati e banche.
   Chiedete a Dio, attraverso ad una penitenza di vita che vi lavi da tanta umanità, che un serafino vi purifichi continuamente col carbone acceso preso dall’altare dall’Agnello, potrei dire: dal Cuore dell’Agnello, che arde dall’eternità per lo zelo di Dio e delle anime.
   La penitenza non uccide altro che ciò che va ucciso. Non temete per la vostra carne, che dovreste amare per quel che merita: pochissimo, e che amate come cosa preziosa. I miei penitenti non muoiono di questo. Muoiono per la Carità che li arde. È la Carità che li consuma, non sono i cilizi e le discipline. Prova ne sia che talora giungono alle età longeve e con una integrità fisica che i solleciti protettori della carne non raggiungono. I miei santi spenti in età giovanile sono gli arsi nel rogo dell’Amore, non i distrutti dalle austerità.
   La penitenza dà luce e agilità di spirito perché doma la piovra dell’umanità che tiene confitti al fondo. La penitenza vi svelle dal basso e vi lancia in alto, incontro all’Amore.
   Semplicità, carità, castità, umiltà, amore al dolore sono le cinque gemme maggiori della corona sacerdotale. Distacco dalle sollecitudini, longanimità, costanza, pazienza sono le altre gemme minori. Fanno una corona di gemme pontute che stringono in un cerchio il cuore. Ma è proprio dall’essere stretto così, rimanendone ferito, che quel cuore aumenta il suo splendore e diviene rubino vivo fra un serto di diamanti.
   Non vi dico neppure: “Abbiate il cuore[579] del mio Pietro”; vi dico: “Abbiate il cuore del mio Giovanni”. Voglio quel cuore in voi, perché fu il cuore apostolico perfetto dall’alba del suo sacerdozio alla sua sera.
   La mente di Pietro la infondo Io ai miei Vicari, ma il cuore ve lo dovete fare da voi. E quel cuore è indispensabile in chi mi è sacerdote: dall’altissimo mio Santo, che è candido d’anima e di pensiero come di veste e che è l’Ostia maggiore in questa cruenta messa che la Terra celebra, al più piccolo mio ministro che spezza il Pane e la Parola in un paesello sperduto: una spruzzata di case che il mondo ignora di portare sulla sua superficie, ma che l’Eucarestia e la Croce fanno augusto come una reggia, più di una reggia: lo fanno simile al massimo Tempio della Cristianità perché, in ciborio di oro tempestato di perle o in misero ciborio, è lo stesso Cristo Figlio di Dio, e le anime che a Lui si prostrano - vestite della porpora cardinalizia e di manto regale, o ricoperte di umile tonaca e di poveri panni - sono per Me uguali. Io guardo allo spirito, figli. E benedico là dove è merito. Non mi lascio sedurre da ciò che è mondo, come sovente voi fate.
   Mutatevi il cuore, sacerdoti. La salvezza di questa umanità sta molto nelle vostre mani. Non fate che nel grande Giorno Io debba fulminare folte schiere di consacrati responsabili di rovine immense che dai cuori hanno dilagato sul mondo.»

[576] è dal cuore che escono…, come è detto in Matteo 15, 19; Marco 7, 21. Accanto alla data, la scrittrice mette il rinvio a Isaia 6, 6 (ma dovrebbe essere: 6, 6-7).
[577] le parti di Me, nel significato chiarito in nota al 23 settembre.
[578] il detto di Paolo, forse con riferimento alle raccomandazioni contenute in 1 Timoteo 3, 1-12; 5, 17-25; Tito 1, 5-9.
[579] il cuore potrebbe essere stato scritto al posto di la mente, come si deduce dal capoverso che segue.