MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MINORE

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QUADERNI DEL 1943 CAPITOLO 204


14 dicembre 1943

   Secondo mistero glorioso. Dice Maria:
   «Ci sono delle generosità particolari la cui fragranza è emanata unicamente dalle anime che sono une col mio Signore ed il cui profumo è apprezzato unicamente da Dio o da chi già vive nel regno di Dio.
   È generosità sapere rinunciare alla libertà e chiudersi in un convento interdicendosi quelle gioie umane che Dio ha permesso ed il Figlio mio ha benedetto perché entrano nel campo dei disegni creativi e perpetuano, per mezzo delle creature, l’opera del Creatore.
   Sorgente eterna di nuovi spiriti, il Padre crea nel Cielo le anime. Semi destinati a far seme, esse si rivestono d’una carne e, divenute maschio e femmina, in unione di due carni in una, creano in Terra nuove vesti per le nuove anime destinate a scendere sulla Terra e popolarla di creature di Dio.
   Non vi è gioia più grande, dopo quella di amare il Signore, di essere madre di una creatura propria e dire: “Io ti ho formato, io ti ho nutrito e portato, io ti ho dato il mio sangue e il mio latte, le tue carni sono le mie e il mio pensiero è tuo perché tu sei il pensiero e lo scopo della tua mamma”.
   Vi è una maternità più alta, ma quella non è già più umana ed è già compresa nella grande, insuperabile, prima gioia fra tutte, dell’amare il Signore, perché è l’amore totale al Signore nostro santissimo che ci fa amare le creature al punto di divenire madri per loro, pronte a dare loro la vita attraverso il nostro dolore e allo scopo di dare aumento di gloria all’Eterno aumentando i cittadini del suo Regno.
   È generosità offrirsi vittime per il mondo. È una grande generosità perché vi fa simili al mio Gesù, Vittima innocente, santa, consumata dall’amore. Ma vi è una generosità ancora più grande: la generosità eroica nella sua generale eroicità.
   Dio, grande in una maniera a voi inconcepibile, compensa con fiumi di delizie le anime generose. Si comunica ad esse in spirituali contatti. Dà luci che sono parole, e parole che sono luci. Dà vitalità che sono riposo, e riposo sul suo Cuore che è vitalità. Si fa sostegno dell’anima generosa e si unisce alla stessa quando vede che la generosità della creatura è stata così violenta da non misurare le forze, di modo che la creatura flette, come il Figlio mio, sotto un peso esorbitante al quale non si rifiuta, ma chiede solo le sia sollevato un momento per potersi rialzare e procedere, sino al culmine, perché è nel sacrificio totale che sa di raggiungere la gioia.
   Ebbene, l’eroicità dell’eroicità nel sacrificio è quando una creatura spinge il suo amore a saper esser generosa anche nel rinunciare a questo conforto di avere l’aiuto e la presenza sensibile di Dio.
   Maria, io l’ho provato. Io so. Io ti posso ammaestrare in questa scienza del sacrificio. Poiché questa non è più semplice istruzione, è scienza. Chi giunge a questo punto non è scolaro: è docente in quella che è la più difficile delle scienze: il saper rinunciare non solo alla libertà, alla salute, alla maternità, al­l’a­more umano, ma il saper rinunciare al conforto di Dio che rende sopportabili tutte le rinunce, non solo: le rende dolci e desiderate. Allora si beve l’amaro che bevve mio Figlio e si conosce la solitudine che cinse il mio Cuore dal mattino dell’Ascensione alla mia Assunzione. È la perfezione del soffrire. Eppure, Maria, io ero, nel mio soffrire, felice. Non era egoismo in me, ma solo carità accesa.
   Come avevo saputo, per gradi ascendenti, compiere tutte le offerte e le separazioni, sempre tenendo presente allo spirito che l’offerta e la separazione, che lo trafiggevano, compivano la volontà e aumentavano la gloria di Dio, mio Signore, e successivamente staccarmi dal Figlio mio per la sua preparazione alla missione, per la sua predicazione, per la sua cattura, per la sua morte, per la sua sepoltura - tutte cose di cui sapevo la breve durata - così seppi sorridere e benedirlo, senza tenere conto delle lacrime del cuore, nella prima alba del quarantesimo giorno della sua vita gloriosa, quando, senza testimoni come nel mattino della Risurrezione, Egli venne[711] a darmi il suo bacio prima di ascendere al Cielo.
   Io, Madre, perdevo il Figlio con la sua presenza che mi dava gioia ineffabile. Ma io, sua prima credente, sapevo che per Lui finiva la sosta nel mondo nemico, che se più non poteva nuocergli, poiché era ormai irraggiungibile alle insidie dell’uomo, non cessava però d’essergli ostile.
   Si aprissero i Cieli per accogliere nella gloria il Figlio che tornava al Padre dopo il dolore. L’Amore trino si ricongiungesse senza più necessità di separazioni. Mi venisse pure a mancare la luce e il respiro poiché il mondo più non era abitato dal mio Gesù e nell’aria non era più l’alito suo a farla santa. Ma che Egli dopo esser stato “Figlio dell’uomo” tornasse “Figlio di Dio” rivestito della sua gloria divina in eterno. Fu l’ultimo mio “Fiat!”[712], né fu meno pronto e generoso di quello di Nazareth.
   Sempre “fiat” ai voleri di Dio. Sia che venga a noi per divenire parte di noi,[713] sia che se ne stacchi per salire a prepararci la dimora nel suo Regno. Cingerlo di amore quando è con noi, vivere d’amore guardando là dove Egli è, per ricordargli che la sua serva lo ama e attende il suo sorriso d’invito per morire in uno slancio di gioia che è principio luminoso al fulgido, eterno giorno del Paradiso. Dopo averlo accolto, servito, ascoltato mentre è con noi, vivere senza diminuire di un grado l’amore perché Egli non è più a noi visibilmente presente.
   Offrire questa rinuncia per sua gloria e per i fratelli. Perché la nostra solitudine si muti in loro in divina compagnia, e il silenzio, che è ora nostro languore, si muti in Parola per tanti che hanno necessità d’essere evangelizzati dal Verbo.
   Noi abbiamo i ricordi, Maria. Altri non hanno nulla. Noi abbiamo la certezza che Egli lavora per prepararci la dimora. Altri guardano al tempo come fiume la cui foce è il nulla. Dico “noi” poiché ti accomuno ai miei pensieri di allora.
   Diamo, dài - e con te i generosi che vogliono raggiungere le vette della generosità - anche questa rinuncia, se ti verrà chiesta, perché il tuo tesoro sia tesoro di molti altri e gli indigenti dello spirito siano rivestiti di quella Luce, gli analfabeti dello spirito di quella Scienza che, una volta infuse, più non cessano di essere vive e attive, e che la Bontà ha concesso ai suoi prediletti per farne i suoi eletti.»

[711] venne…, come abbiamo già riferito in nota al 24 aprile.
[712] “Fiat!”, cioè “Sia fatto!”, come in Luca 1, 38.
[713] parte di noi, nel significato chiarito in nota al 23 settembre.