MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MINORE

A A A

QUADERNI DEL 1943 CAPITOLO 1


22 aprile 1943. È la sera del Giovedì Santo

Mi pare che sia quasi inutile scrivere ancora avendo detto tutto. Ma lei[1] si raccomanda di scrivere le cose che più mi colpiscono e io ubbidisco.
   È la sera del Giovedì Santo. Parlando di Gesù non mi distraggo perciò da Lui, ma anzi mi concentro in Lui. Le dirò dunque come ho passato queste ultime ventiquattro ore. Lei ieri sera mi ha vista sfinita. Ero realmente sfinita. Ma quando tocco il fondo della resistenza umana, e a chi mi vede do l’impressione d’essere un povero essere incapace persino di pensare, è proprio allora che ho delle - dirò così - illuminazioni.
   Ieri sera avevo letto il giornale; poi, stanca anche di quello, avevo chiuso gli occhi e stavo così… inerte. D’un tratto ho visto, mentalmente, un terreno molto sassoso e brullo. Pareva la cima di un poggetto, come se ne vedono tanti sulle nostre colline. Nudo di vegetazione, solo ricco di pietre e selci ruvide e biancastre, aveva tutt’intorno un vasto orizzonte. Proprio sulla cima era nata una pianta di mammole. Unica cosa che vivesse in tanto squallore. Vedevo distintamente il ciuffo delle foglie ben folto e riunito come per opporre resistenza ai venti che battevano la cima. Qualche boccio di viola, più o meno aperto, sporgeva il capino dal cespo verde. Ma di completamente sbocciata non ce ne era che una. Bella, di un colore pieno, aperta e protesa verso l’alto.
   Fu il suo stare così ritta, quasi fosse attirata da una forza speciale, che mi colpì l’attenzione e mi fece cercare con lo sguardo. E vidi un’asse, una grossa asse infissa nel suolo. Pareva un tronco appena piallato, quasi grezzo e scabro. A un mezzo metro dal suolo, forse meno, stavano due piedi trafitti… Non ho visto che quelli ieri sera. Due piedi torturati. E che fossero torturati acerbamente lo diceva la contrattura degli stessi con le dita quasi ripiegate verso la pianta come per spasimo tetanico.
   Del sangue, scivolando lungo i calcagni, scendeva sull’asse scabra e la rigava fino al suolo. Altre gocce cadevano dalle dita contratte e piovevano sul cespo di viole. Ecco a che tendeva la violetta tutta tesa verso l’alto! A quel sangue che la nutriva come, fra tanto squallore di suolo, nutriva quell’unico cespo, saputo nascere contro quel legno.
   Molte cose mi ha detto quella vista… E quando lei è venuto, io ero dietro a vedere[2] quel segno che era la mia predica del Mercoledì Santo. Non si è dileguata la figurazione. Non dileguano facilmente. Restano nel cervello, nitide anche se le cose abituali le soverchiano, o tentano di soverchiarle.
   Stamane poi, anche prima che lei venisse, ho intravisto il resto del corpo. Dico: intravisto, perché mi appariva e spariva come fra il fluttuare di veli di nebbia. Molto più nitido è stato altre volte… Ma allora mi pareva morto. Ora mi pare vivo. E penso che sia una grande pietà di Gesù non mostrarmi oggi il suo viso. Gesù è talmente addolorato, la sua tristezza ha raggiunto una intensità così forte per tutta la nequizia umana che non si stanca d’esser tale - ma anzi sempre più diviene nequizia - che non potremmo sopportare, senza morirne di dolore, l’espressione del suo divino volto.
   Gesù, il mio Maestro, con la sua parola senza suono, mi dice che il mio posto è più che mai ai piedi della sua croce. Dal suo Sangue solo, io devo trarre vita… e il mio compito è solo quello di essere incenso ai piedi del suo trono di Redentore. Incenso che copre, col suo profumo, il lezzo del peccato, della cattiveria, della ferocia che la Terra esala. L’incenso non profuma che ardendo e consumandosi. E io devo fare la stessa cosa.
   Mi dice ancora che il fiore può attirare altri sguardi alla sua croce, può far curvare altre creature sotto la pioggia del suo Sangue. Questo il compito del fiore verso il prossimo e verso Dio. Riparazione d’amore verso Gesù e attrazione a Gesù di molti cuori, accettando di vivere, per questo, in un brullo deserto, sola con la croce.
   Potrei dire che sono rimasta con le labbra appoggiate a quei piedi trafitti come bevendo ad una sorgente che è freschezza e ardore insieme. Una sensazione spirituale, ma così viva da parere reale…
   Stamane poi, alle 10, mi è giunta da Roma una lettera di una mia Suora, lettera che le mostrerò e nella quale si parla proprio di questa missione ai piedi della croce, e alla lettera è unita una immagine con un Crocifisso e, sotto, un turibolo ardente e la scritta: “Si elevi la mia orazione come l’incenso al tuo cospetto”. Ho preso tutto questo come un muto discorso del mio Gesù alla sua piccola ostia che si consuma piano piano più d’amore che di malattia.
   Penso che domani è il Venerdì Santo: il giorno dei giorni per me. Vorrei accumulare sacrifici a sacrifici per fare di esso un vero giorno di espiazione. Ma può fare così poche cose ormai Maria! Ebbene, faremo quelle poche cose. Del resto… può darsi che domani ci pensi Gesù a darmi la mia parte di dolore espiatorio. Io sto qui, ben stretta alla Croce. È il posto delle Marie, del resto. Così non mi sfuggirà neppure un cenno del mio Redentore…

[1] lei è riferito al Padre Migliorini, al quale la scrittrice sempre si rivolge e che spesso viene menzionato come “il Padre”. Richiesta da lui, che fu suo direttore spirituale dal 1942 al 1946, Maria Valtorta aveva scritto l’Autobiografia, nella quale riteneva di avere “detto tutto”.
[2] ero dietro a vedere significa stavo vedendo.