MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MINORE

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QUADERNI DEL 1943 CAPITOLO 50


6 luglio 1943

   In attesa che parli Gesù, parlo io per chiarire alcuni punti.
   Avrà notato che in data 28 giugno vi è una preghiera al Ss. Sangue. Però, mentre Gesù si lamenta che troppo poco sia venerato il suo Sangue, non impone, prepotentemente, che quella preghiera sia fatta conoscere. Mentre quella del 4 giugno, in riparazione a Gesù Sacramentato, non mi dette tregua fintanto che io gliela mandai. Gesù mi fa capire che va molto detta questa preghiera e, personalmente, me la fa dire con la frase dettata da Lui “... per mano di Satana”.
   Mi spiace disubbidire al censore ecclesiastico. Ma fra lui e il Maestro scelgo il Maestro. Già anche volessi fare diverso non mi riuscirebbe.
   Come mi spiace dovere dire che non conosco chi ha scritto quella preghiera. Oh, se lo conosco! Ma Egli si nasconde dietro l’anonimo. Ci dà una formula perfetta nella sua concisione, completa, quale solo Egli la poteva fare, chiede che sia detta e basta. Sicché io, ai lontani di qui, dico che fu scritta da una inferma.
   Scritta: è formula molto ampia. Io posso scrivere la Divina Commedia, se mi ci metto con pazienza. Ma non sono certo io che l’ho composta. Ugualmente ora. Io l’ho scritta e Lui l’ha composta. Ma ai vicini che potrebbero chiedere dove sta questa inferma, dico: “Non so chi ha scritto quella preghiera”.
   Se dicessi: “L’ho scritta io”, ne avrei lodi che sarebbero ingiuste. Se dicessi chi l’ha dettata, la gente crederebbe in due forme diverse. Di una - pazienza! - la subirei pensando a Gesù chiamato “pazzo”[123]. Ma l’altra non voglio sia detta. Perché se Gesù si curva, vero samaritano pietoso, sulla mia anima che è tutta uno strappo, ciò è prova della sua infinita Misericordia e non di merito da parte mia.
   Sento, con la medesima esattezza che se l’avessi già vissuto, che se la superbia entrasse in me tutto finirebbe. Glielo dicevo stamane. È una mia persuasione personale, e il buon Gesù la conferma dicendomi che “la superbia uccide tutte le virtù, la carità per prima. Conduce quindi con sé la perdita della luce di Dio. Il superbo”, mi spiega Gesù, “non tratta con santo rispetto il buon Padre dei Cieli, non ha viscere di misericordia per i fratelli, si crede superiore alle debolezze della carne e alle regole della Legge. Pecca perciò continuamente, e dello stesso peccato che fu causa della rovina di Lucifero prima, d’Adamo e della progenie d’Adamo poi. Ma soprattutto uccide la carità. Distrugge perciò l’unione con Dio”.
   A proposito di carità. La prego insistere caldamente su questo soggetto presso le Suore dell’Ospedale. È comprensibile e scusabile che siano stanche, indaffarate, nervose, sempre chiamate e richiamate come sono da malati esigenti e sovente ingrati. Ma vestono l’assisa della carità. Della carità attiva e della più santa attività. Hanno fra le mani anime che soffrono in corpi sofferenti, anime che, delle volte, incontrano il volto di Dio, nelle sue serve, proprio nelle corsie dell’ospedale, anime che possono essere prossime ad incontrarsi col Dio eterno nel giudizio particolare.
   Oh! quanta responsabilità ha chi cura un infermo! Può, col suo modo di fare, impedire il contatto, l’incontro fra due che, almeno da parte di Uno, si erano cercati senza potersi incontrare.
   Il dolore è molto di frequente catena, scintilla, calamita fra Iddio e la creatura. Ma quando e quanto più la creatura non conosce Iddio, bisogna saper sfruttare il mezzo - malattia - con tanto infinito di carità, per ottenere che l’anima vada dove Gesù l’attira al suo Cuore amabile, e non ne fugga scandalizzata, urtata, scettica, perché vede che una serva di Gesù è... un mazzo di ortiche invece d’essere un vellutato mazzo di violette.
   Altri malati possono essere cattolici tiepidi... Ma come si possono accendere se sono circondati da cuori che sotto la infiammata insegna della Croce sono gelidi come carne morta?
   Consegnare anime a Gesù, prendere queste povere anime che la vita getta sulle dolorose spiagge di un ospedale come tanti naufraghi feriti e disperati, e raccoglierle con amore, curarle, calmarle, infondere le tre sublimi virtù teologali, le altre soavissime virtù cardinali, condurle verso la Luce. Fare sì che, nella vita se superano la malattia, nella morte se l’ora della morte è venuta, esse se ne vadano fuori dal nosocomio, o dalla vita, con nell’anima, accesa dalla pietosa sorella infermiera, la Luce che non muore.
   Se è grande responsabilità esser madrine di battesimo, quale responsabilità è mai questa delle “madrine del dolore e della morte”? Sono stata infermiera, e so e compatisco. Ma non tutti lo sono stati.
   Perché scandalizzare, far fare mormorazioni, ferire le anime, chiuderle, nell’ora che dovrebbero più stare aperte, perché si colpiscono con dell’anticarità?
   Mi scusi e mi scusino le Suore. Ma per pietà di esse, che dovranno rispondere, per esse stesse e per le anime assistite, al Giudice eterno, ma per pietà di chi soffre nel corpo e ha tanto bisogno di luce nell’anima, mi raccomando di insistere sulla carità che “ci fa serve pronte”, come diceva il nostro motto di infermiere samaritane.
   Dalla carità viene alla infermiera la pazienza, la calma, il sorriso (così utile presso chi soffre e così eroico). Viene tutto in questa vita e viene il bacio di Cristo nell’altra (delle volte anche in questa), quel bacio che è passaporto per il regno di Dio.
   Riguardo alla sua malata, da 14 anni inferma, pregherò per lei, soffrendo. Sarò felice se il mio dolore le otterrà la visione del nostro divino e dolce Gesù. È sorda e muta. Ma fosse anche cieca, Gesù potrebbe sempre brillare nelle sue tenebre e parlare ai suoi timpani spenti. Basterebbe si svelasse un attimo... Dopo non si può più uscire dal suo solco di luce...
   Pregherò molto per questa paralizzata nelle membra, come prego per le altre anime che lei dirige e che sono più o meno appesantite nello spirito. Oh! vorrei molto soffrire per salire a Dio trascinandomi dietro, come volo d’angeli, una vera tribù di anime. Non ho paura di soffrire troppo, perché soffro per fare piacere a Gesù.
   Ed ora grazie della sorpresa proprio inaspettata. Avevo, domenica, fatto un vero sacrificio respingendo la tentazione di comperare un libro: “La vita di G. M. Vianney”, che mi avevano data a leggere.
   Ma vede come è buono il Signore? Quando io contemplo la sua divina bontà mi salgono le lacrime agli occhi. Perché io in tutto quello che ricevo vedo Gesù. È la mano di Gesù che mi dà questo o quello. Una sensazione così viva per cui dico prima “grazie” a Gesù e poi al pietoso che, ispirato da Gesù, dà un conforto alla povera Maria. Gesù sta come uno schermo fra me e il mondo, ed io lo vedo sovrapporsi a tutto e a tutti.
   Perciò: grazie, Padre, d’aver seguito l’ispirazione di Gesù e avermi...
   Comincia a parlare Gesù e taccio io.
   
   Dice Gesù:
   «L’avermi visto cessare di soffrire nella carne fu un sollievo per mia Madre, ma non fu “l’allegrezza”. Vedeva non più spasimare la Carne del Figlio, sapeva che l’orrore del deicidio materiale era finito.
   Ma nella “Piena di Grazia” vi era anche la conoscenza dei secoli avvenire, in cui torme incalcolabili di uomini avrebbero continuato a ferire spiritualmente il Figlio suo, ed era sola.
   Il deicidio non è finito sul Golgota nell’ora della mia morte. Esso si ripete ogni qualvolta un mio redento uccide la sua anima, sconsacra il tempio vivo del suo spirito, leva la mente sacrilega a bestemmiare Me, non solo con il turpiloquio osceno, ma con mille maniere del vivere attuale, sempre più contrario alla mia Legge e sempre più neutralizzante i meriti incalcolabili della mia Passione e Morte.
   Maria, Corredentrice eccelsa, non cessa di soffrire, come non cesso Io. Nella gloria intangibile dei Cieli, Noi si soffre per gli uomini che ci rinnegano e ci offendono.
   Maria è l’eterna puerpera che vi dà alla luce con un dolore senza pari, perché sa che quel dolore genera non beati al Cielo ma, nella maggior parte, dannati all’Inferno. Sa che genera creature morte o destinate a morire fra breve. Morte, perché su certe creature il mio Sangue non penetra, come fossero di durissimo diaspro. Dalla più giovane età uccidono se stesse. O destinate a morire fra breve, ossia coloro che, dopo una larva di vitalità cristiana, soccombono sotto la loro inerzia che niente scuote.
   Può Maria non soffrire di vedere perire le sue creature che costano il Sangue del Figlio? Il Sangue sparso per tutti e che giova a così pochi!
   Quando il tempo cesserà d’essere, allora Maria cesserà di soffrire, perché il numero dei beati sarà compiuto. Ella avrà generato, con dolore inenarrabile, il corpo che non muore, di cui il suo Primogenito è il capo.
   Se considerate questo, potete ben capire come il dolore di Maria fu sommo dolore. Potete capire come - grande nel Concepimento immacolato, grande nella gloriosa sua Assunzione - Maria fu grandissima nel ciclo della mia Passione, ossia dalla sera della Cena all’alba della Resurrezione. Allora Ella fu il secondo - in numero e potenza - il secondo Cristo, e mentre il cielo si oscurava sulla tragedia compiuta e si squarciava il velo del Tempio, i nostri Cuori si squarciarono d’uguale ferita vedendo il numero immisurabile per cui la Passione fu inutile.
   Tutto compiuto[124], in quell’ora, del sacrificio materiale. Tutto da iniziare, in rapporto del cammino delle genti nel solco della Chiesa, nella matrice della Madre Vergine, per dare alla luce gli abitanti della Gerusalemme che non muore. E, per iniziarsi con quell’impronta di Croce, che tutto quanto è fatto per il Cielo deve portare, si iniziò nel dolore della solitudine.
   Era l’ora delle tenebre. Chiusi i Cieli. Assente l’Eterno. Il Figlio nella morte. Maria sola iniziava il suo secondo mistico con­cepimento.»
   E adesso finisco io.
   Dicevo dunque: grazie, Padre, d’avere seguito l’ispirazione di Gesù e di avermi dato modo di rileggere la Vita del Curato d’Ars[125]. Mi piace molto, perché fu un’anima vittima.
   Riguardo a me, sto, nel mio soffrire, placida come un bimbo nella cuna e un uccellino sotto l’ala materna. Il mio Sole mi tiene funzione di vita, di antidolore, di tutto. Mi tengo sotto il suo raggiare e sono felice.
   Ha mai osservato i colombi? Quando possono farlo, si accoccolano al sole, aprono le alucce, le alzano a turno per farsi baciare dal sole sotto le ali, alzano il capino e guardano, con palese soddisfazione, direi quasi con animale beatitudine, il sole d’oro. Sono felici di farsi riscaldare da esso, né si sa come possano resistere tanto tempo sotto il raggio di fuoco che scende a perpendicolo dall’astro su di loro.
   Io sembro una colombella sotto al sole. Sto lì, fissa fissa, e non mi muovo, lieta di sentirmi invadere, struggere dal suo fuoco con la speranza d’esser presto consumata, attirata a Lui.
   Oh! il mio Sole! Come dice lei tanto bene, dovrebbe un altro provare ciò che provo per capirlo... Io mi sforzo inutilmente a spiegare come è quella Luce: Pace, Maestà, Scienza, Bellezza... No. Non si può dire cosa sia per l’anima questo inestinguibile, inesprimibile, letificante splendore.

[123] chiamato “pazzo”, come in Marco 3, 21 e Giovanni 10, 20; samaritano pietoso, come nella parabola narrata in Luca 10, 29-37.
[124] Tutto compiuto, come in Giovanni 19, 30.
[125] la Vita del Curato d’Ars, cioè del sunnominato Giovanni Maria Vianney, santo (1786-1859).