MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MINORE

A A A

QUADERNI DEL 1943 CAPITOLO 171


10 novembre 1943

   Dice Gesù:
   «Anche se si farà l’osservazione che Io mi ripeto, non mi smuovo dal mio proposito. Anche i peccati degli uomini si ripetono, nonostante tutti gli avvisi, con una monotonia sconfortante. Al suono della loro voce di colpa Io contrappongo la mia Voce di giustizia, acciò non sia detto che non ho parlato e mi si faccia accusa di averli lasciati nell’errore.
   La mia Voce dice da 20 secoli le stesse cose e tale accusa non dovrebbe avere luogo. Ma l’uomo, a cui fa comodo dimenticare ciò che è condanna per le sue malefatte, dice sempre che non sapeva questo o quello. È una scusa che lo disonora e lo avvilisce perché è menzognera e perché, per quanto bugiarda, è accusa alla sua intelligenza di essere imperfetta ed alla sua memoria lesionata.
   Come non ricordare gli insegnamenti ripetuti e ripetuti? Vi mettete al disotto dei bruti che imparano ciò che l’uomo insegna loro. Voi, tanto superbi, non riflettete che questo è un grande scorno per la vostra superbia?
   Maria, scrivi una volta di più la spiegazione della parabola[562] del seminatore. Te la detterò per una speciale categoria di persone, il cui errore mi rattrista. Errore di imprudenza in taluni, errore di superbia in altri, errore di ribellione in altri ancora e di scandalo nell’altra categoria.
   Dice la parabola che una parte del seme cadde sulla via e fu beccata dagli uccelli. La seconda parte cadde sulla pietra e mise ràdiche, ma subito seccò per mancanza di umori. La terza cadde fra i rovi e morì soffocata. La quarta, caduta in buon terreno, fruttò in misura diversa.
   La Parola di Dio è seme di vita eterna. Ma la Parola è molto insidiata e da molte cose. Lascio queste molte cose e parlo unicamente di una cosa, direi micidiale quanto, forse più, del peccato stesso. E non si scandalizzi nessuno spirito pusillo se dico che è forse più micidiale del peccato. È verità.
   Il peccatore la cui mente non è corrosa dall’acido del razionalismo ha novanta probabilità di saper accogliere la Parola e ritrovare la Vita. Il razionalista ha solo dieci probabilità, e anche meno, di conservarsi capace di salvezza attraverso la Parola.
   Peggio della gramigna è il razionalismo. Quando si vedrà la sua opera, nel momento in cui tutto della Terra e degli uomini sarà cognito, si vedrà che questa eresia è stata la più perniciosa perché la più sottile e la più penetrante. È come un gas. Lo assorbite e vi uccide, ma non lo vedete, talora neppure ne sentite l’odore, oppure esso odore, essendo gradevole, viene da voi aspirato con piacere. Ugualmente è il razionalismo.
   Le grandi eresie hanno avuto in sé due cose buone: prima di tutto furono originate da una fede. Errata quanto vi pare, degna di condanna quanto vi pare. Ma sempre una fede. Hanno perciò avuto i loro martiri, le loro lacrime, le loro lotte per affermarsi, e degli animi retti le hanno nei secoli abbellite di luci di santità che non hanno a loro svantaggio che di essere fiorite su un albero malvagio non innestato a Cristo. La seconda cosa buona delle eresie è il grande rumore prodotto da esse, per cui chi non vi voleva appartenere sapeva come fare per non appartenervi. Le stesse lotte con la Chiesa e con gli Stati erano una segnalazione per i cattolici, costituivano un confine oltre il quale uno non andava che scientemente.
   Nel razionalismo ciò manca, ed esso penetra inavvertito anche là dove si crede non possa entrare. Entra per mille forami, come un serpe. Si veste di vesti lecite, anzi ammirevoli, e agisce sotto di esse ma contro ad esse. È un virus. Quando uno se ne accorge, lo ha già diffuso nel sangue e difficilmente se ne libera.
   La reazione del peccato è violenta sotto il raggio della mia Misericordia. Ma quella del razionalismo è nulla. Come uno specchio ustorio, esso rende la via impraticabile alla grazia e la respinge. Anzi se ne fa un ardore nocivo per finire di darsi la propria condanna.
   Il razionalista fa servire le cose di Dio al suo fine. Non se stesso al fine di Dio. Piega, spiega, usa la Parola al lume, povero lume, della sua mente turbata e, come un pazzo che non conosce più il valore delle cose e delle parole, dà ad esse significati quali solo possono uscire da uno che l’opera astutissima di Satana ha sterilito.
   Vi sono razionalisti e razionalisti. Inizierò dai più grandi. I “superuomini”. I negatori di Dio. Vogliono spiegare la Creazione, il Miracolo, la Divinità, secondo i loro concetti pieni di orgoglio umano.
   Dove è orgoglio non è Dio. Siatene certi. Dove è superbia non è Fede. Là vi è Satana, e Satana è il più abile giocoliere per sedurre l’uomo e fargli apparire oro schietto la foglia di stagnola raccattata nel fango.
   Questi negatori di Dio, che credono avvilirsi accettando umilmente ciò che per sola loro capacità mentale non sanno spiegare, ed hanno ucciso in sé la capacità di amare, sono i giganti del razionalismo.
   Non faccio una conferenza agli uomini e perciò non cito nomi. I nomi li potete mettere da voi. Per Me sono astri morti, precipitati in briciole nel fango. Non hanno più nome o ne hanno uno solo che sarà inciso a fuoco nel Giorno della Giustizia sulla loro fronte proterva e sul loro cuore più arido di selce.
   Passano la vita devastando. Sono peggio di una valanga e di un uragano, peggio di una demenza, peggio di una febbre. Dove giungono uccidono.
   In questi la Parola non scende affatto. Troppe cose stanno su di loro a fare da ostacolo alla Parola. Sono una delle categorie dei “Morti dello spirito”. Ribelli e scandalosi.
   La seconda categoria sono gli umanamenti colti. Questi non negano Dio. Ma sulla semplicità divina, che si è fatta tale perché anche i più umili la possano capire alla luce dell’amore, mettono tutta una boscaglia di erudizione umana. Se ne vestono come pavoni orgogliosi della loro coda dai cento occhi, e come pavoni sono belli solo all’aspetto: non sanno camminare, non sanno cantare nella via e nelle lodi del Signore.
   Manca ad essi l’amore, che è nervo all’ala per volare verso Iddio e che è corda alla cetra per benedire Iddio. La Parola scende su loro e mette radice. Ma poi muore perché essi la infrondano e soffocano sotto le foglie inutili delle loro cognizioni umane.
   Sai come sentono la Parola? Come uno che oda un altro parlare in altro idioma a lui sconosciuto. Ode la voce e vede il moto delle labbra, ma non capisce niente. Assomigliano anche a uno che, duro d’orecchi, urli mentre l’altro parla piano. Finisce che il frastuono delle sue parole copre la voce dell’altro. Per troppa erudizione fanno la Babele in sé. Per troppo sapere non accettano le luci, così semplici e pure, che Dio ha messo perché l’uomo veda la via che lo porta al Padre. E fanno Babele e tenebre anche agli altri.
   Terza categoria, coloro che hanno selciato con le pietre del­l’altrui razionalismo il proprio cuore per renderlo meno ignorante. Sono gli adoratori degli idoli umani. Non sanno adorare Dio con tutti loro stessi, ma sanno rimanere estatici davanti ad un povero uomo che si atteggia a superuomo. Chiudono con la diffidenza la porta al Verbo divino, ma accettano le spiegazioni di un simile a loro che abbia fama di dotto.
   Basterebbe che chiedessero umilmente alla Grazia di illuminarli ed istruirli sul valore di quelle note, e la Grazia farebbe loro vedere come quelle spiegazioni, quelle dottrine si reggono su puntelli corrosi alla base da tarli e da muffe, e come quelle voci sono stonate e dissidenti da quelle di Dio.
   Vogliono esser colti e superuomini, e prendono il primo cibo che vedono. E gli idoli hanno veste pomposa e promettono deità a tutti. È la voce[563] del Serpente: “Mangiate di questo frutto e sarete simili a Dio”. Ed essi nella loro ignoranza mangiano.
   Uno è il frutto che vi fa dèi, o uomini. Quello che pende dalla mia Croce.
   Uno è colui che dice[564] alle vostre menti: “Effeta”. Il Cristo.
   Uno è ciò che feconda il mistico suolo del vostro cuore perché il seme vi nasca. Il mio Sangue.
   Uno è il sole che scalda e fa crescere in voi la spiga di vita eterna. L’Amore.
   Una è la scienza che come vomere apre e dissoda la vostra gleba e la rende atta a ricevere il seme. La Scienza mia.
   Uno è il Maestro: Io, il Cristo. Venite a Me se volete esser istruiti nella Verità.
   Quarta categoria è quella degli imprudenti. Sono vie aperte su cui tutto passa. Non si circondano di una santa difesa di fede e di fedeltà al loro Dio. Accolgono la Parola con molta gioia, si aprono a riceverla, ma si aprono anche a ricevere qualsiasi dottrina con lo specioso pretesto che bisogna essere condiscendenti.
   Sì. Tanto condiscendenti verso i fratelli. Non sprezzare nessuno. Ma severi per le cose di Dio. Pregare per i fratelli, istruire i fratelli, perdonare ai fratelli, difenderli contro loro stessi con un vero amore soprannaturale. Ma non rendersi complici dei loro errori. Rimanere granito contro lo sgretolamento delle dottrine umane. Nulla passa senza lasciare una traccia. Ed è imprudenza grande porre una punta contro il cuore. Potrebbe levarvi la vita o segnarvi ferite che a fatica guariscono e sempre lasciano una cicatrice.
   Beati quelli che sono unicamente terreno di Dio e tali restano con vigilanza assidua. Beati quelli che, morbidi come zolla testé smossa, non hanno pietre per i fratelli né sassi per la Parola.
   L’amore li fa anime adoranti la Parola e anime pietose verso gli sviati lungi dalla Parola. Ma l’amore è la loro più bella difesa e nessuna opera di male può ledere il loro spirito in cui cresce come spiga opulenta la Parola della Vita. Tanto più vi cresce, dando frutto dove di trenta, dove di cinquanta, dove di cento, quanto più in essi l’amore è vasto.
   A chi lo possiede in modo assoluto la Parola diviene loro stessa parola, poiché essi più non sono, ma sono uni con Dio loro amore.»
   Dice Gesù:
   «Piccolo Cristo che sei caduta sotto la croce, rialzati e prendi la croce e cammina spargendo lacrime e spargendo sangue.
   Non sempre si cade per colpa. Le vittime cadono per il dolore delle colpe altrui e per la cognizione del frutto di quel dolore. E sono le cadute più sante, le cadute simili alle mie, perché sono cadute di carità.
   Maria, le vittime appoggiano sulle loro gracili spalle due croci. Quella del loro Gesù, che vogliono portare esse, e quella che sarebbe a punizione dei fratelli. Alle vittime, alle quali è svelato il futuro, appare come un mare l’oceano di dolore causato dalle colpe degli uomini e, nonostante il velo del pianto, è a loro svelato tutto il pianto futuro.
   Non giova chiudersi gli occhi, Maria. È la mente che vede perché, unita alla mia, ha della mia le percezioni mirabili. È un dono. Ma è come il dono che mi fecero le soldatesche di Pilato per incoronarmi re: è un dono che ferisce. Sono spine.[565] Qui sono spine. Ma sii ad esse fedele. Al di là saranno rose.
   Vedi oltre il pianto, oltre le tenebre, oltre l’oceano del dolore umano, la cui onda ti copre e ti intride - perché il posto della vittima è simile al frangionde di un porto e riceve su di sé la furia delle tempeste del largo e la spezza facendosi spezzare - vedi, oltre l’orrore che il mondo si crea, la terra di pace, l’aurora di gioia, la vita di estasi che ti aspetta.
   Oltre questo tormento è il tuo Gesù che ti attende. Oltre queste vampe è la frescura dei giardini eterni. Là non avrai più sete, più fame, più stanchezza e dolore. Io ti sarò fontana e cibo, Io ti sarò riposo e gioia. Riposerai su di Me sentendoti dire che ti amo e potendomi dire che mi ami. Oltre questa povera vita è il vero amore. Per ora è la croce. Ancora un poco e verrò. Ora scrivi per i sordi dello spirito.
   Dice[566] Isaia: “Dove devo percuotervi ancora se aggiungete altre prevaricazioni?”. E aggiunge la descrizione di un corpo straziato, che hanno applicata a Me nell’ora della Passione.
   Ma non sono Io, siete voi i così ridotti dal vostro peccare. E se Io ero tutto piaghe e lividure, lo ero solamente perché in quel momento ero quale voi siete ora, giunti alla maestria nel peccare.
   Le opere della vostra mente (il capo) sono opere malate. Ben difficilmente il vostro pensiero è retto. Corrotti e mangiati dalla triplice concupiscenza, non potete che generare pensieri malati. Le vostre azioni e le vostre opere portano il segno delle vostre malattie mentali spirituali. I vostri sentimenti, sgorganti da un cuore malato quanto la mente, sono ancor più arsi da libidine e superbia. Chiamarli sentimenti è improprio: sono meno ancora di sensi, credetelo o uomini affamati di sensualismo e di egoismo. Il vostro motore non è più l’amore. È l’interesse, la soddisfazione, l’orgoglio. Profanatori di voi stessi, asservite le membra e gli organi ai vostri desideri malati.
   Dove è lo spirito vostro? Nel carnaio dove imputridiscono le cose che muoiono. Quanto spazio per il vostro spirito vi ho dato! E voi il vostro spirito lo depravate a volere la galera e lo pervertite a opere da galera, e con esso tutto voi. L’un l’altro vi rovinate e non vi è balsamo per le vostre piaghe, perché coloro che quel balsamo vi darebbero sono da voi conculcati e uccisi.
   Venite a Me qualche volta ancora. E perché ci venite? Per farmi complice delle vostre azioni assassine? Dio non si presta ad uccidere. Venite per paura d’essere uccisi? E allora perché uccidete? Non giova presentarmi offerte quando oltre la mensa monda Io vedo grondare sangue dalle vostre mani, marciume dai vostri cuori, e sopra il mormorio bugiardo delle preci odo sibilare i pensieri malvagi che pullulano nelle vostre menti.
   Falsi cristiani, mi fate ribrezzo. Vicini al mio altare mi sembrate dei Giuda. Non è vendendo i fratelli, non è rubando, non è uccidendo, non è mentendo, non è fornicando, non è corrompendo che si può dire di essere miei fedeli. Io ve l’ho detto con le mie estreme parole[567] di Maestro - e, anche fra voi, quando uno è in agonia non mente mai - che cosa si deve fare per essere miei amici ed avere presso di sé il Padre mio e vostro. Vi ho detto d’esser puri, buoni, caritatevoli, ubbidienti, vi ho detto di credere alla mia Parola e seguire i miei ammaestramenti, vi ho detto di rimanere uniti a Me per non morire.
   Avete voi fatto questo? No. E ne morite. Io torco lo sguardo da voi perché siete per Me altrettanti discepoli traditori. E se è vero che avrei voluto redimere anche l’Iscariota, perché sono il Tutto Amore, non è meno vero che, quando me lo sono visto vicino alla Mensa[568] e vicino nell’Orto dopo avere già conchiuso l’infame mercato, tutto in Me si è sollevato di ribrezzo.
   Non vi chiudo le porte della Vita e della Pace. Ma nel regno della Vita e della Pace non devono circolare esseri impuri. Tuffatevi nelle cisterne benedette in cui la porpora del mio Sangue vi renda candide le macchiate stole. Tuffatevi nelle fiamme dell’Amore sacrificando i vostri sconci amori ad un amore che vi renda degni della vostra origine e della vostra mèta. Io mi sono distrutto per fare di Me fuoco di purificazione per i peccati degli uomini.
   Vogliate non peccare. Vogliatelo solo. Il resto lo farò Io che vi amo divinamente. Ditevelo: “Non vogliamo peccare”. E cercate di non farlo. Come malati da tremenda malattia, ormai superata, giorno per giorno vedrete cadere la febbre del male e aumentare le forze della salute. Vi tornerà il gusto a ciò che è buono e giovevole. La serenità, che ora invano cercate attraverso i vostri divertimenti osceni e le vostre occupazioni spietate di egoismo, rifluirà in voi attraverso la giustizia e la compassione da voi nuovamente esercitate. L’esser buoni, o figli, rifà l’anima simile a quella del bimbo: fiduciosa, ilare, leggera, in pace.
   Il regno dei Cieli, Io l’ho detto,[569] è di chi si fa simile ai bimbi. Ma avrete un anticipo di quel regno beato anche sulla Terra se verrete al Padre con l’anima tornata innocente, poiché Dio ama i pargoli e, davanti ad un’anima che sa farsi pargola per amor suo e torna pura, onesta, amorosa, fedele, apre le dighe della Misericordia facendone fluire torrenti di grazie.
   Il mondo che muore ha bisogno di questo lavacro di Misericordia per detergere tutte le sozzure e tutto il sangue e ricoprirsi di beni per i bisogni degli uomini.
   Non è la ferocia che dà pane e ricchezza. Credetelo. Manca alla ferocia la benedizione divina, e dove essa manca anche se seminate grano nasce cicuta e se allevate agnelli vi si mutano in iene.
   No, figli. Tornate al Signore, e Dio ripeterà per voi, tornati alla dimora, il miracolo[570] della manna antica. Nulla è impossibile a Dio e nulla è impossibile all’uomo che vive in Dio.»

[562] parabola che è in Matteo 13, 3-9.18-23; Marco 4, 3-9.13-20; Luca 8, 4-8.11-15. Ha avuto delle applicazioni nei “dettati” del 5 e 24 luglio e del 25 ottobre.
[563] voce, che parla in Genesi 3, 4-5.
[564] dice, come in Marco 7, 34.
[565] spine, come quelle della corona di cui si parla in Matteo 27, 28-29; Marco 15, 17-18; Giovanni 19, 2-3.
[566] Dice… E aggiunge… in Isaia 1, 5-6.
[567] estreme parole che sono riportate soprattutto in Giovanni 13-17.
[568] alla Mensa… nell’Orto…, come nella nota su Giuda al “dettato” del 6 novembre.
[569] l’ho detto in Matteo 18, 1-5; Marco 10, 13-16; Luca 18, 15-17.
[570] miracolo, che è narrato in Esodo 16.