MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MINORE

A A A

QUADERNI DEL 1943 CAPITOLO 145


13 ottobre 1943

   Dice Gesù:
   «Che Io sia con te è atto di bontà mia. Desiderio di un Dio di amore è questo di stare con le sue creature, e quando le creature non lo cacciano con il loro tradimento Iddio non si allontana. In certi casi, e per speciali rispondenze dell’anima, la vicinanza è più sensibile.
   Ma guai se l’anima che gode della benedizione della presenza sensibile di Dio cadesse in peccato di superbia. Perderebbe subito Dio perché Dio non è dove è superbia. Più è grande l’umiltà della creatura e più in essa scende Iddio. Maria ebbe Dio in sé, non solo spiritualmente ma come Carne viva, perché raggiunse il vertice della umiltà santa.
   Ma se Dio desidera stare con le sue creature, le creature dovrebbero desiderare di stare con Dio.
   Troppe sono le divagazioni delle anime! Corrono dietro agli interessi umani, si sperdono su piste di umano piacere, si sviano dietro a bugiarde dottrine, si abbagliano in troppi miraggi di scienza umana. Giunge la sera della loro vita e si trovano così lontane da Me! Stanche, nauseate, corrose, non hanno più forza di accostarsi al Signore. Già è molto se resta in loro un residuo di nostalgie celesti e di ricordi di fede che fa loro gettare il grido[430] degli antichi lebbrosi: “Gesù, abbi pietà di me”.
   È il grido che salva, perché non si chiama mai inutilmente il mio Nome. Io, che veglio in attesa d’esser chiamato, accorro presso chi mi invoca e per il mio Nome, davanti al cui suono tremano di gioia i Cieli e di terrore gli abissi, opero il miracolo.
   Ma non bisognerebbe, o figli disamorati e imprudenti, venire a Me soltanto all’ultima ora. E sapete voi in anticipo se avrete tempo e modo di chiamare Me? E sapete voi se Satana, con ultima astuzia, vi giuocherà l’ultimo inganno per nascondervi l’appressarsi della morte, onde far sì che essa vi colga come ladro[431] che giunge improvviso?
   Il mondo è pieno di morti improvvise. Sono uno dei prodotti della vostra maniera di esistere. Avete moltiplicato il piacere e la morte, avete moltiplicato il sapere e la morte.
   Il primo vi conduce alla morte, e non soltanto voi che peccate, ma anche i figli e i figli dei vostri figli - così come voi scontate i peccati dei padri dei vostri padri - attraverso le conseguenze delle vostre libidini e delle vostre crapule.
   Il secondo vi conduce alla morte attraverso al vostro cosiddetto “progresso”, del quale tre quarti è opera dell’insegnamento di Satana, perché frutto del vostro progredire sono le opere ed i mezzi di raffinata distruzione che voi create, e l’altro quarto è dato da un eccessivo amore delle comodità, sotto il quale si cela, oltre che l’epicureismo, anche l’antica superbia di voler emulare Iddio nella velocità, nel volo e in altre cose superiori all’uomo e male usate dall’uomo. Ché se Salomone trovò[432] che chi aumenta il sapere aumenta il dolore, e lo trovò allora, che si dovrebbe dire adesso che avete ridotto il mondo un caos di sapere dal quale manca il freno della legge di Dio e della carità?
   Tanto avreste avuto da studiare senza lambiccarvi la mente in astruserie dannose o dietro opere omicide. Nel mio Universo sono pagine sterminate nelle quali l’occhio dell’uomo poteva, e Io avrei voluto così fosse, leggere soprannaturali insegnamenti e leggi di bellezza e bontà. Io l’ho creato, Io, Dio Uno e Trino, quest’universo che vi circonda, e in esso non ho messo del male per voi.
   Tutto nell’universo obbedisce ad una legge di amore verso Dio e verso l’uomo. Ma voi, dal corso ordinato degli astri, dal succedersi delle stagioni, dal fruttificare del suolo, non imparate nulla. Nulla che serva a conquistare i Cieli. Unici che non ubbidite, siete il disordine dell’Universo. E il vostro disordine pagate con rovine continue, in cui perite come greggi impazzite che si precipitano giù da un burrone in torrente mugghiante.
   Miseri uomini che avete ottuso lo spirito sotto al peccato; ottuso al punto da non sapere più capire l’armonia delle cose universali, le quali cantano tutte le lodi del Dio Creatore e parlano di Lui e a Lui ubbidiscono con un amore che inutilmente Io cerco nell’uomo.
   Lasciate il vagolare vano dietro a tanto umano sapere, a tante umane fami. E venite a Me.
   La mia Croce c’è per qualche cosa, così ben alta sul mondo. Guardatela questa Croce dove un Dio si immola per voi e, se avete viscere d’uomini e non di bruti, regolatevi in proporzione al mio amore per voi.
   Io non vi ho dato la mia vita perché voi continuaste a perdere la vostra. Io ve l’ho data per darvi la Vita. Ma voi dovete volerla avere questa vita eterna e agire di conseguenza, e non emulare gli animali più immondi vivendo nel pantano.
   Ricordatevi di possedere uno spirito. Ricordatevi che lo spirito è eterno. Ricordatevi che per il vostro spirito è morto un Dio. Avete tanta paura di un malanno che poco dura, e non temete l’orrore della dannazione i cui tormenti non hanno termine.
   Tornate sulla via della Vita, poveri figli. Ve ne scongiura Colui che vi ama.
   E a te, che ascolti e scrivi, insegno, perché tu lo insegni ai fratelli, il modo sicuro di venire a Me.
   Imitare il Maestro in ogni cosa. Ecco il segreto che salva. Se Egli prega, pregare. Se Egli opera, operare. Se Egli si sacrifica, sacrificarsi. Nessun discepolo[433] è da più del Maestro e diverso dal Maestro. E nessun figlio è dissimile al genitore, se è buon figlio.
   Non hai mai notato come i bambini amino imitare il padre loro negli atti, nelle parole, nel camminare? Mettono i loro piccoli piedi sulle orme paterne e pare loro di divenire degli adulti nel fare ciò, perché imitare il padre che amano è per loro raggiungere la perfezione.
   Maria mia, fa’ come quei piccini. Fàllo sempre. Segui le orme del tuo Gesù. Sono orme sanguinose, perché il tuo Gesù è ferito per amore degli uomini. Anche tu, per amore di essi, sanguina da mille ferite. In Cielo si muteranno in gemme, perché saranno tante testimonianze della tua carità, e la carità è la gemma del Cielo.
   Conducimi le anime. Sono riottose come capretti. Ma se tu le attiri con dolcezza esse si piegheranno. Esser dolci fra tanto amaro, che il prossimo distilla continuamente, è cosa difficile. Ma occorre filtrare tutto attraverso l’amore di Me. Occorre pensare che, per ogni anima che viene a Me, il mio giubilo è grande e mi fa dimenticare le amarezze che continuamente l’uomo mi dà. Occorre pensare che la Giustizia è molto irritata e che occorre esser più che mai vittime redentrici per placarla.
   Io non voglio che tu mi segua solo con amore. Voglio che tu mi segua anche con dolore. Io ho sofferto per salvare il mondo. Il mondo ha bisogno di sofferenza per essere salvato ancora.
   Questa dottrina, che il mondo non vuole conoscere, è vera. Bisogna usare tutti i mezzi per salvare l’umanità che muore. Il sacrificio nascosto e la palese dolcezza sono due armi per vincere questa lotta della quale Io ti darò premio.
   Come il tuo Signore, sii eroica nella carità, eroica nel sacrificio, dolce nelle prove, dolce verso i fratelli. Prenderai allora il volto e la veste del tuo Re, come un limpido specchio rifletterai il mio Volto.
   Bisogna sapere imitare Maria che portava fra la gente il Cristo: Salute del mondo.»

   Sempre il 13, a sera

   Dice Gesù:
   «Parlo a te per tutti, per spiegare gli amorosi rapporti fra Dio e l’anima.
   Non per vano modo di dire sono chiamato “sposo” delle anime vostre. Vi ho sposate con rito di dolore e vi ho dato per dote il mio Sangue, poiché siete così povere, da voi stesse, che sareste state un disdoro per la dimora del Re. Nel Regno del Padre mio non entrano coloro che sono denudati da ogni veste. Io vi ho tessuto la veste nuziale[434] e l’ho tinta di porpora divina per renderla ancora più bella agli occhi del Padre mio; Io vi ho incoronati del mio serto, perché chi regna porta corona, e vi ho dato il mio scettro.
   Veramente ciò avrei voluto darlo a tutte le anime, ma infinite hanno spregiato il mio dono. Hanno preferito le vesti, le corone e gli scettri della Terra, la cui durata è così relativa e la cui efficacia così nulla rispetto alle leggi dello spirito.
   Onori, ricchezze, glorie, Io non le maledico. Dico solo che non sono fine a se stesse, ma sono mezzi per conquistare il vero fine: la vita eterna. Bisogna usarne, se la vostra missione di uomini ve le affida, con cuore e mente pieni di Dio, facendo di queste ricchezze ingiuste non ragione di rovina ma di vittoria.
   Esser poveri di spirito, guadagnare il Cielo con le ricchezze ingiuste: ecco due frasi[435] che capite poco.
   Poveri di spirito vuol dire non avere attaccamento a ciò che è terreno; vuol dire essere liberi e sciolti da ciò che è veste pomposa, come umili pellegrini che vanno verso la mèta godendo degli aiuti che la Provvidenza elargisce. Ma non godendone con superbia e avarizia, ma sibbene come gli uccelli dell’aria, che beccano contenti i granelli che il loro Creatore sparge per i loro piccoli corpi e poi cantano di gratitudine, grati come sono della piumosa veste che li ripara, e di più non cercano, e non si rammaricano con ira se un giorno il cibo è scarso e l’acqua del cielo bagna nidi e penne, ma sperano pazienti in Chi non li può abbandonare.
   Poveri di spirito vuol dire vivere dove Dio vi ha posti, ma coll’animo staccato dalle cose della Terra e unicamente preoccupato di conquistare il Cielo.
   Quanti re, quanti potenti in ricchezze della Terra furono “poveri di spirito” e conquistarono il Cielo, usando la forza per domare l’umano che in loro si agitava verso le glorie labili, e quanti poveri della Terra non sono tali perché, pur non possedendo ricchezze, le hanno anelate con invidia, e molte volte hanno ucciso lo spirito vendendosi a Satana per una borsa di denaro, per una veste di potere, per una tavola sempre imbandita di ciò che serve a formare il cibo per i vermi della putredine della tomba!
   Guadagnare il Cielo con le ricchezze ingiuste vuol dire esercitare carità di ogni forma nelle glorie della Terra.
   Matteo, il pubblicano[436], ha saputo fare delle ricchezze ingiuste scala per penetrare in Cielo. Maria, la peccatrice, ha saputo, rinunciando agli artifizi con cui rendeva più seducente la sua carne e usandoli per i poveri di Cristo, cominciando da Cristo stesso, santificare quelle ricchezze di peccato. Nei secoli, cristiani molti di numero, pochi rispetto alla massa, hanno saputo fare delle ricchezze e del potere la loro arma di santità. Sono quelli che hanno capito Me. Ma sono così pochi!
   La mia veste, la veste che vi dono, è quella che Io ho bagnata col mio Sangue durante l’agonia spirituale, morale e fisica, che va dal Getsemani al Golgota. La mia corona è quella di spine e il mio scettro è la croce.
   Ma chi vuole questi monili di Cristo? Solo i veri amatori miei. E quelli li disposo con rito di alta carità. Quando sarà finito il tempo della Terra, per ogni mio singolo amatore Io verrò, fulgido, ad introdurli nella gloria.
   Verrò, Maria, verrò. Per ora è il tempo del reciproco desiderio. Perché, per quanto Io possa essere presso a te, anche sensibilmente, sono sempre come amante che gira intorno alle muraglie che gli impediscono di penetrare dall’amata. Il tuo spirito si affaccia da ogni spiraglio per vedere Me e getta il suo grido d’amore. Ma la carne lo tiene prigioniero. Se anche Io forzando la carne entro, poiché sono il Padrone del miracolo, sono sempre contatti fugaci e relativi.
   Non posso prenderti con Me. Ucciderei la tua carne, ed essa ha ancora un oggi e un domani di utilità per la causa mia. Ancora tutto non è compiuto del tuo lavoro, e Io solo so quando fermerò per te l’ora terrena che scorre.
   Ma allora verrò. Oh! come, anima che desideri uscire dalla Terra ostile, come ti sembrerà bello il Cielo! E come, confrontandoli coi presenti, ti parranno accesi gli abbracci dell’Amore!
   Tu dici che è cessata per te l’ansia per le vicissitudini che potevano, in questi tempi di sventura, turbare gli ultimi giorni della mamma tua, e che ciò mette nel tuo soffrire di orfana una vena di pace. Ma pensa quando potrai dire a te stessa che è cessata per te ogni ansia e ogni pericolo e nulla più potrà separarti dal tuo Signore!
   Ama con un superamento di forze, poiché Io ti ho amata e ti amo con un superamento di misura.
   La mia Carità ti ha lavata e vestita per non vedere la tua nudità su cui erano molte ombre di polvere umana. Tutto la mia Carità ha predisposto per il tuo bene immortale.
   Agli occhi del mondo può apparire che la mia mano si sia aggravata su te. Ma il mondo è uno stolto che non sa vedere le verità soprannaturali.
   Tu sei stata sempre amata di un amore di predilezione da Me. Come giardiniere che ha creato un nuovo fiore da un ruvido arbusto sino allora privo di corolle e ne è geloso come di un tesoro, Io ho vegliato e veglio su di te. Mi hai detto che sono di una prepotenza gelosa. È ciò che faccio coi prediletti che serbo a Me soltanto.
   E se ho fatto il deserto intorno a te, è perché ho voluto metterti nella condizione di non avere altro luogo di attrazione che non sia il Cielo. Là, nell’altra vita, è tutto ciò che amasti con tanta forza umana. Ora più niente hai sulla Terra e sei come un uccello imprigionato che, attraverso le sbarre della gabbia, guarda il cielo dove i suoi compagni sono liberi e felici, e sta presso la porticciola in attesa che venga socchiusa per prendere il volo.
   Verrò, sta’ certa. Anche la nostalgia presente serve ad ornare il tuo diadema. Sii costante e paziente. Come un bimbo che sa la mamma vicina, riposa senz’ansie sull’amore del tuo Gesù. Egli non ti perde di vista, non ti lascia, non ti dimentica. Ha più ansia di te di pronunciare la parola che libera lo spirito e lo introduce nel Regno. Dopo tanto gelo, dopo tanto spogliamento, dopo tanto pianto, verrò per darti il mio Sole, per rivestirti di fiori eterni, per asciugare ogni tuo pianto.
   Tu che hai avuto una visione[437] della Luce che empie i Cieli, pensa cosa sarà entrare in essa, presa per mano dal tuo Re. Se uno spiraglio socchiuso appena su quel Regno di Luce e appena intravisto permane in te con un ricordo che ti empie di letizia, pensa cosa sarà quando la Luce sarà il tuo possesso. Allora, e non più con le limitazioni di ora, Io vivrò in te e tu in Me, e come la sposa del Cantico potrai dire[438] che il tuo Gesù è tuo e tu di Lui.
   Per ora chiamami con ogni tuo affetto. Se son presso non conta. Amo sentirmi chiamare e più sono chiamato e più presto vengo, perché non so resistere alla voce dell’amore.
   Prima che venga la sera dell’età verrò. Non ritornerò, perché sei tu che sei tornata a Me e non Io a te, che non ho mai lasciata. Verrò. Me ne stavo come un povero nell’ombra attendendo che tu mi dessi il cuore, me ne aprissi la porta e mi facessi entrare da Re e Sposo in te. Ma ora verrò. Verrò per gli sponsali. Sta per cessare il tempo del fidanzamento mortale e per iniziarsi il rito delle nozze eterne.
   Pochi ritocchi ancora ho da darti, o mia vigna[439], per farti bella del tutto agli occhi miei. Non gemere se le cesoie fanno male. Quando è tempo di potare è segno che è primavera. E nel tempo di primavera verrò perché è il tempo degli amori. L’anima entra nella primavera quando per lei cessa l’inverno mortale e comincia la letizia nel giardino di Dio.»

[430] il grido, come in Luca 17, 12-13.
[431] come ladro, secondo l’immagine di Matteo 24, 42-44; Luca 12, 39-40.
[432] trovò…, come è detto in Qoèlet 1, 17-18.
[433] Nessun discepolo… come è detto in Matteo 10, 24; Luca 6, 40.
[434] la veste nuziale, alludendo forse alla parabola riportata in Matteo 22, 1-14.
[435] due frasi, la prima in Matteo 5, 3, la seconda in Luca 16, 9 (e anche 12, 33).
[436] pubblicano, la cui conversione è riferita in Matteo 9, 9; Marco 2, 14; Luca 5, 27-28; peccatrice, che è innominata nell’episodio di Luca 7, 36-50, ma che viene qui identificata con Maria di Magdala, sorella di Marta e Lazzaro di Betania, la stessa dell’episodio riferito in Matteo 26, 6-13; Marco 14, 3-9; Giovanni 12, 1-8.
[437] visione del 1° luglio.
[438] dire, come in Cantico dei cantici 2, 16.
[439] vigna, secondo l’immagine di Isaia 5, 1-6.