MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MINORE

A A A

QUADERNI DEL 1944 CAPITOLO 240


20 gennaio 1944

   Dice Gesù:
   «Ti voglio spiegare l’epistola e il vangelo della Messa di ieri. Ieri sera eri troppo stanca perché Io lo facessi.
   “Chi avrà perseverato sino alla fine sarà salvo” è detto[85] nel brano evangelico. E nell’epistola si dice: “Non vogliate dunque gettare la vostra fiducia, alla quale è serbata grande ricompensa. Or vi è necessaria la pazienza, affinché facendo la volontà di Dio possiate conseguire ciò che vi è stato promesso; poiché ancora un tantino, e chi ha da venire verrà e non tarderà; ma il giusto vive di fede, se però indietreggia non sarà più gradito all’anima mia”.
   Ecco, figlia. Abbi presente sempre, in questo e nei molti accasciamenti futuri, frutto tutti della anticarità che ti circonda, queste luminose parole. Sono quelle che hanno fatto la forza dei martiri dei tiranni e dei martiri dei familiari o dei superiori.
   Occorre perseverare sino alla fine, nonostante scherni, urti, pressioni, pene. Io sono il premio dato ai perseveranti. Pensa, Maria: Io, il tuo Gesù. Ma che ti saranno, allora, queste spine che ti trafiggono ora e ti fanno tanto soffrire? Un nulla, anzi più che un nulla: una gioia. Le guarderai con amore, le bacerai con riconoscenza, perché proprio per esse avrai Me sempre più potentemente.
   Ogni pena superata senza flettere è aumento di fusione in Cielo. Ricòrdatelo. Là tutto è visto in una nuova luce. Anche quelli che ora ami unicamente per amor mio, perché il loro modo di agire spingerebbe la tua umanità a non amarli, là li amerai di tuo, perché li vedrai come mezzi che ti han dato quell’infinito Tesoro che Io sono.
   L’ultima preghiera dei martiri era per i loro carnefici: perché giungessero alla Luce. L’ultima preghiera dei santi, per i loro oppressori: perché giungessero alla Carità.
   Non sai, tu non lo sai, ma Io te lo dico. Molti superiori conventuali, che un’umanità, vivente in essi nonostante la loro veste di rinuncia alla carne, portava alla superbia e perciò all’anticarità verso i loro soggetti, sono giunti al pentimento e da questo ad una rinascita spirituale, origine di una nascita al Cielo, proprio per le preghiere di un “santo” del loro dominio, il quale ricambiò le loro durezze e le loro ingiustizie con atti di soprannaturale amore, pregando e soffrendo per la redenzione di quel cuore che era per loro così poco benigno. Ora in Cielo i miei angeli mirano vicini e l’oppresso e l’oppressore, e non è l’oppressore il superiore ora, è l’oppresso, il quale come padre amoroso guarda con gioia il suo salvato, entrato nella vita eterna in grazia del suo vero amore.
   La luce di questi spiriti che hanno salvato i loro tormentatori è luce speciale e viene dal raggio del mio costato aperto[86], del mio cuore che pregò sulla croce per i suoi crocifissori, poiché quelli che pregano per chi li fa soffrire sono simili a Me che pregai per i miei carnefici.
   Fiducia in Me che vedo e pazienza verso gli altri, verso le cose che vi si accaniscono contro. La ricompensa è tale che merita ogni sacrificio. E non tarderà a venire.
   Non ti accasciare. Lascia che gli altri siano ciò che vogliono essere. Tu sii mia, e basta. Anzi prega – è la carità più grande – perché gli altri siano ciò che Io voglio che siano. E sii sempre più mia. Va’ in pace, ti benedico.»
   Qui va inserita la descrizione della visione che ha lei.

   20-1-44, alle 16

   A conforto della mia tristezza, il buon Gesù mi concede la seguente visione che mi affretto a descriverle pensando le possa far piacere.
   Assisto alla deposizione di Agnese.[87]
   Vedo un giardino di una casa patrizia. Non so se sia la casa paterna di Agnese o di altra famiglia cristiana. Del resto, ciò non ha molta importanza. Vedo, insomma, questo amplissimo giardino con viali e vialetti, aiuole, peschiere e piante d’alto fusto.
   È sera, potrei dire notte perché le ombre sono già folte. Il luogo è rischiarato da un bel chiaro di luna e da rade fiaccole o lumi che siano. Vedo le fiamme piegarsi ogni tanto al lieve vento della sera. La luna è al suo primo quarto e perciò penso siano le 20 o anche meno delle venti, perché essa si è appena alzata all’orizzonte e in gennaio essa si alza presto, specie quando è nella sua fase iniziale.
   In principio non vedo altro. Poi la scena si anima. Entrano nel giardino molte persone con lumi e torce, e la luce cresce. Sono certo cristiani e cristiane, condotti dai loro sacerdoti e diaconi al seppellimento di Agnese.
   Ad un certo momento si apre una porta della casa e appare un peristilio vivamente illuminato, certo in corrispondenza con la via, perché di fronte a questa porta – dirò così: verso l’interno – ve ne è un’altra, che pure si apre come se qualcuno avesse bussato dal di fuori, ed entra un gruppo di persone portando su una lettiga una forma avvolta in un sudario.
   Deposta la lettiga in mezzo a questo peristilio e chiusa la porta che dà sulla via, la forma viene scoperta, alzata piamente e deposta su un’altra specie di barella simile ad un lettuccio senza sponde, ricoperto di una stoffa rosso cupo ricchissima, direi trapunta a ricamo.
   Vedo che la martire è già stata lavata e composta. Non è più sangue sul suo volto e nella sua chioma, non più sulla sua veste. Devono averle messo una tunica pulita perché nessuna macchia è su essa.
   La giovinetta martire pare una statua marmorea, tanto è pallida in volto. Ma è tanto in pace. Sorride. Ha i capelli sciolti sotto il velo candido che la copre tutta. Ma il primo velo glielo fanno i suoi lunghi capelli biondi. Un vero manto d’oro che la avvolge sino alle ginocchia. Ha le mani congiunte sul petto ed una palma fra esse. La ferita al collo non si vede. Gliel’hanno coperta pietosamente colle ciocche d’oro e il candido velo.
   Intorno a lei si affollano i parenti che piangono senza strepito e la baciano sulle manine ceree e sulla fronte marmorea, i familiari, i compagni di fede, i sacerdoti.
   Entra un vecchio venerando fiancheggiato da due altri. Sono tutti vestiti da romani dell’epoca. Da quanto avviene comprendo che il vegliardo è il Pontefice o un suo vicario. Ma direi il Pontefice, perché tutti si inginocchiano mentre egli entra e benedice. Anche egli si accosta alla martire e prega su lei. Poi si mette i paramenti sacerdotali e ugual cosa fanno i due diaconi che lo accompagnano e così molti dei sacerdoti sparsi fra i cristiani, e il corteo si ordina.
   Un gruppo di vergini, fra cui Emerenziana, si stringono alla barellina e la sollevano. Per quanto, vista distesa, Agnese sembri più alta di quando era viva, non deve essere soverchio il peso: è una bambina e non molto formosa. Le vergini sono tutte biancovestite e bianco velate: una siepe di gigli intorno al giglio spento coricato sulla porpora del drappo funebre. Davanti il Pontefice e i sacerdoti, preceduti e fiancheggiati da famigli con fiaccole, dietro le vergini con la martire, poi i genitori, i parenti, i cristiani, tutti con lumi, vanno per i viali del giardino, verso il luogo dove questo confina con una campagna (mi pare). Certo non vi sono altre case dopo, ma altre piante e prati.
   La scena è placida e solenne. La luna bacia la candida forma e il vento la carezza. Vedo una ciocca bionda ondeggiare lievemente sotto il soffio del vento leggero.
   I cristiani cantano a bassa voce. In principio stento a capire, forse perché sono distratta nel guardare tante cose. Poi afferro le parole della santa melodia latina e ricordo di conoscerla, non mi è nuova. Penso dove l’ho udita o letta.
   Intanto si è giunti ad una specie di pozzo, molto largo di bocca, nel quale si scende per una scaletta tagliata nel tufo o arenaria che dir si voglia. Piano piano scendono i principali personaggi e nella cavità sotterranea, che è fatta in forma circolare con molti cunicoli che sembrano appena iniziati in diverse direzioni, le voci si fanno più forti e solenni.
   Ora ricordo bene. Sono le parole[88] dell’Apocalisse, nel punto dove parlano di quel “canto” che solo potranno dire coloro che non si contaminarono sulla Terra. Ma non è detto tutto. È detto così. Lo dicevano così lentamente, quell’inno, che ho potuto trascriverlo, e poi ho guardato se la mia asineria aveva fatto molti errori latini.
   “Et vidi supra montem Sion Agnum stantem” cantavano gli uomini.
   “Et audivi vocem de caelo, tamquam vocem aquarum multarum” rispondevano le donne.
   “Sicut citharoedorum citharizantium in citharis suis”.
   “Et cantabant quasi canticum novum”.
   “Et nemo poterat dicere canticum, nisi illa 144.000 qui em­pti sunt de terra”.
   “Hi sunt qui cum mulieribus non sunt coinquinati: virgines enim sunt”.
   “Hi sequuntur Agnum, quocumque ierit”.
   “Hi empti sunt ex hominibus primitiae Deo et Agno”.
   “Sine macula enim sunt ante thronum Dei” cantavano alternativamente, un versetto gli uomini, uno le donne.
   Un’armonia celeste! Avevo le lacrime agli occhi e tuttora è in me come un fiume di dolcezza che placa tutto. La sento sopra tutti i rumori che ho attorno...
   Un ultimo saluto dei parenti e poi la salma viene sollevata e portata verso il loculo lungo e stretto scavato nell’arenaria, scavato di fianco, non per il lungo. Il Pontefice segue la deposizione con queste parole: “Veni, sponsa Christi. Veni, Agne sanctissima. Requiescant [Requiescat?] in pace”.
   Una pietra viene ribattuta e fissata sull’apertura.
   La visione si cristallizza lì.
   Io mi sento in pace come fossi io pure coricata in quel piccolo loculo a fianco della dolce creatura, in attesa di risorgere con lei in Cristo dopo il martirio. Come se fossi, come lei, già uscita dai tormenti e dalle cattiverie del mondo e cantassi al suo fianco il cantico che cantano solo coloro che sono stati riscattati dalla terra.
   È pur bello morire per Gesù! È pur bello potersi dire: “Il mio dolore mi ottiene il Paradiso!”.
   Ora mi raccolgo in attesa che lei venga. Mi raccolgo nell’eco di quel dolce canto così pieno di promesse per chi ha dato se stesso al servizio dell’Agnello e lo segue in ogni sua volontà.

   Scritta nuovamente la mattina del 23, per paura di smarrimento di quei fogli staccati.[89]

   Vedo un giardino di casa patrizia. Vi sono viali, aiuole, peschiere, praticelli, piante d’alto fusto. Pare molto vasto e deve confinare con la campagna o con altri vasti giardini, come vedo poi, perché là dove finisce non vi sono case ma altri prati e piante.
   Il giardino all’inizio della visione è vuoto di persone. Lo vedo al chiarore di rade luci date da lucerne a olio o da torce messe qua e là. Vedo le fiamme rossastre che si piegano ogni tanto al vento leggero della sera. Vi è anche un chiaro di luna. Essa è alla sua fase iniziale perché lo spicchio è sottile e volto a ponente. Giudico, data la stagione e la posizione della luna, che è appena alta al limite del cielo, che siano le prime ore della notte, che di questa stagione è molto precoce.
   In un secondo tempo noto presso la casa, che pare tutta chiusa come fosse vuota, molti gruppi di uomini e donne vestiti come a quel tempo, accompagnati da altri uomini che sembrano rivestiti di speciale incarico e dignità, ai quali tutti ubbidiscono con rispetto. Comprendo che sono cristiani venuti ai funerali di Agnese.
   Molti hanno delle lucernette a olio, cosa che mi permette di vedere che ce ne sono alcuni, fra gli uomini, con capelli corti, direi rasati, e vesti corte e bigiognole, altri con chiome più curate ma sempre corte e vesti lunghe e chiare con manto di cui un lembo passa sulla testa come un cappuccio. Nelle donne pure alcune vestite dimesse e di scuro, altre in chiaro e meglio vestite; un folto gruppo è vestito di bianco, con velo bianco sul capo.
   Mentre osservo tutti questi particolari, si apre una vasta porta nella casa, nella facciata che dà sul giardino, e ne esce viva luce. Questa proviene da un peristilio vivamente illuminato. Di fronte a questa porta ve ne è un’altra, certamente sulla facciata che dà sulla via, la quale ad un certo punto viene aperta come se dal di fuori qualcuno avesse bussato.
   Entra un gruppo di persone che circondano una lettiga portata da quattro robusti uomini vestiti di color scuro (color lana bigia), i quali depongono il loro carico in mezzo al peristilio mentre la porta di casa è subito rinchiusa con cura. Quando vengono sollevate le cortine della lettiga, vedo che essa contiene un corpo steso, tutto avvolto in un sudario. Questo corpo viene pietosamente sollevato e adagiato, senza il sudario che resta nella lettiga, su una specie di barellina ricoperta di un prezioso drappo porpureo che pare ricamato a bordure come fosse un damasco. Essa era certo già preparata a ricevere il suo carico.
   Vedo la martire Agnese, irrigidita nella morte. Pare una statua di marmo candido tanto è esangue nel volto, nelle mani piccine, nei piccoli piedi calzati da sandali. È tutta vestita di bianco e con un velo candido che l’avvolge tutta. Ma il primo velo glielo fanno i suoi splendidi capelli biondi, lunghi sino al ginocchio, ora tutti sciolti come un manto d’oro. Non sono ricci, sono morbidi e appena ondati, ma tanti, tanti e bellissimi. Ella sorride come davanti ad una visione di pace. Ha le mani congiunte sul grembo e con una palma, unico ornamento, fra le dita irrigidite.
   È tutta monda. Si capisce che l’hanno detersa dal sangue e rivestita di veste pulita prima di trasportarla qui, perché non ha più sangue sul volto, fra i capelli e sulla veste. La ferita al collo non si vede. Gliel’hanno pietosamente coperta coi capelli e col velo.
   Si avvicinano a lei i parenti che la baciano piangendo sulle manine ceree e sulla fronte gelata. Ma il loro dolore è composto e dignitoso. Nessuna di quelle manifestazioni isteriche solite in quei casi. Un dolore cristiano. Dopo i parenti si affollano gli amici e fratelli di fede. Vedo Emerenziana piangente e sorridente insieme alla sorellina di latte che l’ha preceduta nella gloria. Tutti salutano la martire e pregano.
   Ho qui l’impressione, che ho dimenticato di scrivere nella prima versione, limitandomi di dirla a lei a voce, di un grande amore fra i cristiani, la sensazione di quello che sia la “comunione dei santi” così come era intesa dai primi cristiani, dai quali tanto avremmo da imparare. Essi erano venuti, sfidando ogni pericolo, a rendere onore alla martire di Cristo, a raccomandarsi a lei, già assurta al Cielo, di esser per tutti loro fonte di intercessione presso Dio nei prossimi combattimenti per la Fede, e lei mi pareva planasse già col suo spirito sui presenti, trasfondendo in essi i suoi sentimenti eroici e la sua protezione. Il Cielo e la Terra erano in comunicazione.
   In questo mentre[90] si riapre la porta esterna ed entra un vegliardo accompagnato da due uomini dai 25 ai 35 anni. Il vecchio ha un aspetto dolcemerite serio, è molto magro, direi sofferente, e pallidissimo. Deve essere persona molto influente presso i cristiani, perché al suo apparire tutti si inginocchiano ed egli passa fra due file di teste chine, benedicendo. Ho l’impressione sia un vescovo o lo stesso Pontefice.
   Si avvicina alla barella e benedice la morta e prega su lei. Poi si veste degli abiti sacerdotali (vedo il pallio,[91] non so se si dice così: è una striscia bianca che forma come un cerchio sulle spalle e sul petto e scende poi dietro e davanti in due strisce. Il tutto è ornato di piccole croci scure). Anche gli altri suoi accompagnatori si vestono mettendo le vesti dei diaconi (tunica sino al ginocchio e maniche sino a poco più su del gomito).
   Poi il corteo si ordina. Davanti il clero, ossia il vegliardo, i due diaconi e gli altri sacerdoti che prima erano sparsi fra la folla dei cristiani e che hanno messo pure loro le stole sacerdotali. Intorno ad essi si pongono uomini portanti fiaccole accese. Hanno la veste corta e scura. Direi che sono servi cristiani, perché ho l’impressione che nella casa tutti siano seguaci di Gesù. Anche intorno alla barella si fa una fila di lumi portati dalle vergini bianco-vestite e bianco-velate, una vera siepe di gigli intorno al giglio reciso. La barella viene sollevata facilmente da quattro vergini, fra cui Emerenziana. Non deve pesare molto perché, per quanto Agnese, stesa come è, sembri più alta che da viva, è sempre un’adolescente e per di più poco formosa.
   Il corteo si avvia verso la tomba per i viali del giardino. Tutti portano fiaccole o lucerne accese. E cantano. Sottovoce. Un inno pieno di dolcezza e speranza che sulle prime non riconosco. Mi pare di avere già udito quelle parole, ma non so dove. Il vento serale piega le fiamme che poi si drizzano più belle. Vedo distintamente una ciocca di capelli di Agnese, uscita da sotto al velo, che si muove sotto il sospiro della brezza. Il corteo è molto composto e pio.
   Si giunge al limite del giardino. Lì vi è una specie di pozzo dall’apertura molto larga. Una scaletta, intagliata nell’arenaria o nel tufo, porta in basso. Si scende in molti. Chi non può, resta intorno all’orlo del pozzo e canta ancora, rispondendo ai canti del basso. Nella cavità del pozzo le voci acquistano risonanza e comprendo bene di che si tratti. Sono versetti dell’Apocalisse nel punto dove parla dei vergini che seguono l’Agnello. Un versetto è cantato dagli uomini, l’altro dalle donne alternativamente e come le ho scritto nel primo racconto.
   Vedo che il pozzo è semicircolare, anzi a ferro di cavallo, e dei cunicoli partono da esso a raggiera. Così:
     

   Dove ho fatto la crocetta vi è un loculo scavato nell’arenaria. Preparato per Agnese. Il primo di questo sepolcro, futura tomba di molti martiri e catacomba. Dei cunicoli, il primo a destra dalla croce (rispetto a chi guarda, quello che io segno con un V) è il più fondo. Si addentra nella terra per un 5 o 6 metri. Mentre gli altri sono meno fondi e uno, il primo a sinistra di chi guar­da, presso la scala è appena appena iniziato.Ho l’impressione che sia un ipogeo che è appena incominciato, quasi che la morte di Agnese l’abbia trovato impreparato.
   I parenti e i più prossimi si accostano per un ultimo saluto. Poi il drappo porpureo su cui è appoggiata la martire viene alzato ai lati sulla stessa ed ella viene avvolta in questa stoffa preziosa dalla testa ai piedi.
   Il Pontefice le dà l’ultimo saluto: “Veni, sponsa Christi. Veni, Agne sanctissima. Requiescant in pace!” come se a nome della Chiesa la prendesse in consegna. E il corpo viene sollevato con devozione e deposto nel loculo, sul quale viene ribattuta una pietra che lo chiude.
   E la visione si cristallizza così.
   In me rimane la dolcezza del canto e la religiosità di tutta la scena, nei suoi particolari più minuti, in cui è palese l’unione degli antichi cristiani e il loro fervore.
   Ho scritto nuovamente questa visione per ordine di Gesù, il quale mi dice: «Questa è un’altra ragione probatoria. Solo chi ha visto una scena che lo ha fortemente colpito può, a distanza di giorni, ripeterne con esattezza il racconto.»
   Questo me lo dice questa sera, 23-1, alle 24, quando cioè io ho scritto per la causa dettami all’inizio.

   Sempre il 20-1-44, alle 23,30 da scriversi dopo la narrazione della visione.

   Dice la vergine Agnese:
   «Non guardare unicamente alla mia spoglia. Guarda piuttosto allo spirito mio, beato là dove suona quel cantico che tanto ti piace.
   Ivi sono felice. Niente più di quanto mi fu momentaneo dolore sulla Terra venne meco nella dimora dello Sposo. Ma soltanto trovai ineffabile gaudio.
   Ivi, nella luce emanante da Dio, nostra gioia, viviamo nella pace. Le armonie dei beati si intrecciano a quelle degli angeli. Tutto è luce e armonia. In alto splende la Trinità santissima e sorride la Madre di Dio.
   Ciò che sia il Paradiso non lo puoi pensare, anche se di esso hai avuto un baleno.[92] Conoscerlo in tutto il suo gaudio sarebbe morire, perché è beatitudine non sopportabile alla carne che ne muore. Dio te ne fa conoscere un saggio per incuorarti alla prova. Come a noi che soffrimmo per Lui.
   Vieni. Il dolore cessa e la gioia dura eterna. Il dolore, visto da questo luogo, è un attimo di tempo; la gloria che il dolore ci dà è eterna. Qui è Colui che ci ama e che amando non commettiamo colpa ma meritiamo premio.
   Gesù ti ha riscattata col suo amore. Amalo del tuo amore per meritare di unirti al coro che empie il beato Paradiso.»
   Dopo che lei se ne è andato, alle 18, io rimasi nella gioia di quell’armonia e di quella visione.
   Ma poi si mutò nella presenza del corpo glorificato[93] di Agnese, bellissima, bianco-vestita e dallo sguardo rapito. E mi pareva sentire due piccole mani carezzarmi dolcemente, manine di bambina. Così sono andata in sopore. Un affannoso sopore, perché i dolori tremendi (è notte fra il giovedì e venerdì) non mi dànno tregua.
   Tornata in me, mentre i miei dolori si fanno sempre più acuti, e mentre penso per sollevarli a quanto vidi, la martire giovinetta mi dice queste parole.
   Ora mi stendo sentendomela vicina a consolare il mio martirio di carne e di cuore. Soltanto lo spirito è beato. Ma suona la mezzanotte ed ha inizio il venerdì. Penso al mio Signore nel suo tragico venerdì di passione e non mi lamento di soffrire. Gli chiedo solo di sapermi far ben soffrire: per Lui e per le anime.

   [Seguono, in data 21 gennaio, i brani 1-7 del capitolo 236 dell’opera L’E­VANGELO]

[85] è detto in Matteo 10, 22; 24, 13; si dice in Ebrei 10, 35-38.
[86] costato aperto, in Giovanni 19, 33-34; pregò sulla croce, in Luca 23, 34.
[87] deposizione di Agnese, il cui martirio è stato descritto il 13 gennaio.
[88] parole che sono in Apocalisse 14, 1-5. Non vi sono errori nella trascrizione del testo latino, dove il numero 144.000 va letto in lettere: centum quadragintaquattuor millia
[89] fogli staccati, consegnati a Padre Migliorini - come si legge prima della data: Qui va inserita la descrizione della visione che ha lei - ma poi inclusi nel quaderno. Sotto la stessa data del 20 gennaio riportiamo la “visione” come è stata riscritta il giorno 23, mettendo in corsivo le frasi che la scrittrice sottolinea annotando in margine: I punti sottolineati corrispondono a quelli detti a lei a voce e che, dovendo tornare a descrivere la visione, ho, secondo il suo desiderio, inseriti nel racconto.
[90] mentre è qui nel significato di momento.
[91] il pallio (nostra correzione da palio, che conferma la dichiarata incertezza della scrittrice) è una stola dalla forma particolare, che ancora oggi esprime la potestà del Pontefice. La veste dei diaconi, che la scrittrice chiama tunica, è detta più propriamente “dalmatica".
[92] hai avuto un baleno, nella visione del 10 gennaio.
[93] corpo glorificato deve intendersi spirito, come è all’inizio del “dettato” della vergine Agnese.