MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MINORE

A A A

QUADERNI DEL 1944 CAPITOLO 256


13 febbraio 1944

   Alba del 13-2-1944 - Domenica

   Dice Gesù:
   «Povera stellina mia che è rimasta sommersa sotto la tempesta di dolore del suo Gesù, nascosta, eclissata, annullata dietro al mio infinito dolore come una stellina dietro il sole; povera violetta mia appesantita fino a piegare sotto il sangue del suo Gesù, come le erbe che hai visto intrise del mio rosso sudore nell’orto, sai che t’ho fatto? Ti ho portata all’ “amore di compartecipazione” il quale è la perfezione dell’amore di fusione, di cui ti ho parlato in autunno[136].
   Ora è primavera, non è più autunno. “L’inverno è cessato… i fiori sono apparsi nelle nostre contrade… Sorgi, amica mia!”.
   L’amore di fusione è alto. Altissimo, sul vertice di quell’altezza, è “l’amore di compartecipazione”. Nel primo ti annulli, con la tua personalità umana, nel tuo Amato. Nel secondo ti sostituisci al tuo Amato, lo circondi: Egli è l’anima, tu la veste dell’anima, e senti in questa tua veste le pene del tuo Amore mentre, nel tuo interno, Egli grida le sue torture spirituali e morali e te le fa note, così come il pensiero che fa note alla carne le impressioni della mente, e ricevi le impressioni materiali.
   È l’amore di compassione. Di con-passione. Ossia è la Passione vissuta dal Cristo e dalla adoratrice del Cristo.
   Questo t’ho fatto. E se ti ho introdotta nella “stanza dei vini” e l’odore di essi ti ha talmente inebriata da farti cadere come morta, sappi, diletta, che quel vino è il mio Sangue. È desso che empie la stanza del suo divino profumo e ti scende con esso nel cuore, sospendendo la vita per una più alta Vita, e ti sale con esso al pensiero, dandoti intuizioni e luci non più terrene, ma sopran­naturali, ma divine, perché Io sono che parlo nel tuo pensie­ro, e non v’è di Me parola più divina di quella che parlano le mie torture di Redentore.
   “All’ombra di Lui che desideravo mi sono assisa”. Ma quel­l’albero non è il melo carico di pomi, ma la mia Croce da cui pende un unico frutto: il tuo Cristo. Ebbene Io ne scendo, ne sono sceso, per “sostenerti” coi fiori della carità, per “confortarti” con le mie carezze, perché “tu languivi” di amore compassionevole.
   Cara, che t’amo per il tuo amore! Le tue lacrime nell’assistere al mio pianto, le tue lacrime nel sentire il fischiare dei flagelli, le tue lacrime nel vedermi cadere contro le pietre, e le altre che spargerai davanti alla mia estrema tortura e alla mia estrema desolazione, Io le ho già gustate, e furono a Me, insieme a quelle delle anime a te sorelle nell’amore di compartecipazione, più dolci di un vino saturo di miele. Esse erano nel calice che l’angelo[137] m’offerse per mitigare l’amarezza del calice paterno, per corroborare la mia Umanità languente in una agonia crudele. Egli, l’angelo del mio dolore, a confortare il mio spirito abbattuto, mi ha enumerato tutti i nomi di quelli che m’avrebbero amato, totalmente amato sino a dividere le mie torture, e fra essi era il tuo nome, violetta, stellina, piccolo Giovanni, Maria, Maria mia. Grazie, anima che amo!
   Sarei andato e andrei più adagio nell’immetterti nel mio soffrire. Ma occorre accelerare i tempi. Io so. Devo perciò affrettare le cognizioni. Anche se queste ti fanno stare tanto male precipitando in te in massa.
   E se qualcuno dice le parole già dette[138] nel Vangelo: “E non potrebbe Costui, che ha guarito il cieco nato, impedire che questa soffra?”, Io rispondo: “Ho bisogno del suo dolore per una grande opera”. Mi si potrà anche dire: “Perché non hai cominciato dai dolori preparatori, quanto meno dalla Cena? Perché non hai terminato con la Crocifissione?”. Io rispondo: “Avevo bisogno che quest’anima fosse già intrisa di questo pianto. Per renderla più atta, più snebbiata, più purificata a vedere il Mistero ineffabile del mio morire per redimervi”.
   All’altare non salgono, non dovrebbero salire, gli impuri ed i materiali. Ma se ai vostri altari essi possono ancora salire perché voi siete dei ciechi ed Io sono longanime, al mio altare, assisten­te alla mia Messa, non può venire che chi si è purificato coll’in­censo dell’amore e coll’acqua del pianto ed ha annullato la carne sul rogo del sacrificio lasciando vivere unicamente lo spirito.
   Seguo dunque il mio metodo, non il vostro, e vorrei da parte vostra meno pesantezza nel desiderare certe spiegazioni su particolari così insignificanti, che hanno valore di curiosità e non di rivelazioni.
   Lasciate in pace il mio Giovanni. Non può quest’anima, che vede torturare il suo Gesù, occuparsi e preoccuparsi di guardare per riferire se Caifa ha la barba quadrata o a punta, se Erode è vestito di rosso o di giallo, se Pilato è alto o basso e dire magari di quanti centimetri è più basso di Me, se la sala del Pretorio è lunga o corta, quadrata o rettangolare. Se voi vedeste torturare la persona che più amate, vi occupereste del primo che passa? No. Guardereste unicamente il vostro caro, o chiudereste gli occhi per non vedere nulla. Non guardereste il vestito di una donna, la statura di un passante, il naso di un altro.
   A posto, uomini, a posto, quando si svelano le torture di un Dio. E questo valga anche per le altre rivelazioni.
   Il mio piccolo Giovanni guarda Me, guarda Maria. Non ha occhi per altro. E se può, all’inizio di una visione, descrivere l’ambiente o la natura, una volta che Io o mia Madre cominciamo a svelarci perde la facoltà di vedere ciò che non è Noi. E solo Noi, per chiarezza vostra, lo richiamiamo su un episodio secondario, come una veste, un gesto, un mutamento di luce, di quanto è sfondo e contorno alla scena. Altrimenti il “portavoce” non vedrebbe più nulla, tolti il Cristo o Maria, o il Santo di cui si tratta.
   Questo per vostra guida e per tranquillità del mio piccolo Giovanni che è già fin troppo preso, preso oltre le sue forze, per potere, e d’altronde non potrebbe, averne altre per soddisfare alle inutili curiosità.
   Ed ora vieni, anima mia. Vieni con Me. Chiudi gli occhi al mondo ed aprili dove Io ti dico, e guarda. Guarda e riposa. Ora è beatitudine. Questa sera farò più lucida la visione e la scriverai. La mia benedizione è su te.»
   Oggi non è venuto chi doveva venire.
   Alle 12,30, quando sono stata certa che non sarebbe venuto, mi sono lamentata dolcemente con Gesù: “Ah! Signore! Oggi niente Messa alla radio e niente Pane alla mia fame spirituale. E lo attendevo tanto questo mattino per questo e per quella!”. E Lui: “Non importa. Bacia la mia Mano. L’Eucarestia è Carne ma è anche Sangue, e la mia Mano è rossa di sangue”.
   E ho fatto la Comunione così… e son beata.

   [Seguono, dell’opera L’EVANGELO, il primo brano del capitolo 106, l’intero capitolo 101 e i restanti brani 2-13 del capitolo 106]

[136] di cui ti ho parlato in autunno, l’11 ottobre 1943. Le citazioni che seguono sono tratte da Cantico dei cantici 2, 3.4.11-13.
[137]angelocalice…, come in Luca 22, 41-43 nel contesto dei rinvii al Vangelo che abbiamo messo all’inizio della “visione” dell’11 febbraio.
[138] già dette in Giovanni 11, 37.