MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MINORE

A A A

QUADERNI DEL 1944 CAPITOLO 257


14 febbraio 1944

   E ancora una dolce visione, per quanto mescolata di lacrime.
   Vedo una conca erbosa appena lievemente ondulata. Delle colline salgono dietro ad essa, placide colline dai dossi erbosi e verdi che salgono dolcemente. In basso, alla destra di come io mi trovo, ossia con la fronte volta a nord, vedo il bel lago di Tiberiade così puramente azzurro. La conca in cui mi trovo sembra essere ai piedi di queste colline, non proprio a valle ma appena sopraelevata di qualche poco sulla pianura, prima ondulazione delle retrostanti colline.
   Che luogo sia non so. In Galilea certo. Qui non vi sono case. Il paese è più in basso e più prossimo al lago. Pare un posto di sufficiente importanza perché è piuttosto vasto e con case già pretenziose nel loro aspetto.
   Gesù è qui che avanza. Solo. Cerca un luogo fresco e solitario e vi si siede.
   Direi che è ancora estate sebbene volgente all’autunno, perché nelle coltivazioni sparse per la campagna le vigne hanno uva matura sui tralci e già le foglie della vite si accartocciano ed ingialliscono qua e là, bruciate dal sole estivo che ora è al tramonto e sta abbassandosi dietro alle creste delle colline. Il lago è già in ombra. Il posto dove è Gesù non ancora, perché più elevato.
   Gesù siede e pensa. È vestito come al solito di bianco col manto azzurro. Tiene le mani congiunte appoggiate coi gomiti sui ginocchi e sta lievemente curvo in avanti cogli occhi fissi sull’erba che ha ai piedi. Ogni tanto solleva lo sguardo e lo gira intorno: sul paese, sul lago, sull’arco delle colline. Ma è evidente che è una mossa macchinale. Egli segue il suo pensiero e non vede ciò che ha davanti.
   Dalla vietta, un largo sentiero fra il verde, per la quale è salito Gesù, salgono ora Maria con Giovanni. Il discepolo porta anche una bisaccia e aiuta Maria quando trovano qualche ostacolo di pietroni o di piccoli rii, quasi asciutti, da valicare.
   Quando sono vicini qualche metro, Giovanni chiama: “Maestro!”. Chiama due volte e, quando Gesù si volge, Giovanni col suo bel sorriso aggiunge: “Ecco tua Madre”. E la scorta sin presso Gesù deponendo la sacca sull’erba. Poi saluta e se ne va.
   Gesù rimane con la Madre. Si sorridono, si carezzano, si siedono sul ciglio scelto da Gesù per sedile, l’uno presso l’altra.
   Maria è vestita molto di scuro. Azzurro cupo e ammantata come nell’altra visione.[139] Direi che da quando è la Madre del­l’Evangelizzatore Ella ha reso ancor più austero il suo abito.
   Maria, dopo le prime parole di mutuo affetto, apre la sacca e ne trae pane fresco, frutta e un favo di miele. E offre tutto al Figlio dicendo: “È delle nostre api, della nostra casa. Mangialo, Figlio”.
   Gesù sorride e spezza il pane croccante e lo mangia con un poco di miele.
   Intanto Maria estrae gli altri suoi tesori. Sono indumenti freschi per il suo Gesù. Li svolge dal telo in cui sono avvolti e li mostra al Figlio. Poi ripone tutto con cura e si assorbe a guardare Gesù.
   Lo guarda col suo sguardo così dolce, così adorante, così rispettoso. L’amore emana e tremola, come la luce su un mare al tramonto, da tutto il suo volto, le fa umidi gli occhi e sorridente il labbro. Ma un infinito rispetto lo contiene e, se non fosse Gesù che dopo aver mangiato le si siede ai piedi, sull’erba, e le appoggia il capo sui ginocchi, come un bambino, Ella quasi non oserebbe carezzarlo dopo il primo bacio di saluto.
   Ma Egli è lì, Figlio, per la sua Mamma, Figlio della sua Mamma, ed Ella lo carezza sul capo, sui capelli lunghi e morbidi. La manina di Maria indugia, bianca su quell’oro acceso, sfiora la bella fronte del Salvatore come un’ala o un petalo di fiore. Vedo che l’espressione assorta di Gesù si rischiara come se la mano della Mamma mettesse in fuga i crucci che lo rendevano pensoso e triste.
   Parlano poco, nulla. Riposano. Riposano il loro cuore nella vicinanza reciproca.
   Poi Gesù si mette a parlare. Parla del suo ministero perché Maria vuole sapere. E interroga, perché anche Lui vuole sapere. Alla Mamma premono i particolari circa la missione del Figlio, per paragonarli al molto bene e al molto male che le è stato riportato. Al Figlio premono i particolari circa la vita che fa la Mamma ed al come la trattano parenti, amici, discepoli e popolo.
   Ma, a giudicare in base ai vangeli, studio di Gesù è di velare l’astio pericoloso che lo circonda e lo raggiunge attraverso il baluardo dei discepoli fedeli, e ciò per non affliggere la Madre. E scopo di questa è di rassicurare il Figlio che Ella non manca di niente e che il rispetto e la pace la circondano. Sono due amori che vogliono risparmiare [l’uno] all’altro la cognizione del loro soffrire.
   Ma Gesù mostra di sapere che a Nazareth gli si è sempre ostili e che non poche pressioni sono state fatte a Maria in tal senso. E conclude: “Ma non importa. Io, ora, non tornerò più in Galilea. Vado in Giudea. La festa dei Tabernacoli[140] è vicina. Salgo al Tem­pio. Poi resterò per quelle contrade, percorrerò ancora una volta la Samaria, lavorerò dove c’è più bisogno di lavorare. Per que­sto, Madre, ti consiglio a prepararti a raggiungermi al principio di primavera, a stabilirti presso Gerusalemme. Ci vedremo con più facilità. Io salirò sino alla Decapoli ancora qualche volta e ci vedremo ancora. Ma poi… resterò in Giudea. Gerusalemme è la pecora più bisognosa di cure perché in verità è più cocciuta di vecchio montone e più rissosa di capro inselvatichito. Vado ad effondervi la Parola come rugiada che non si stanca di cadere sulla sua aridità. Quando verrai in Giudea portami, Mamma, la mia veste più bella, quella rossa che m’hai tessuta per le feste solenni. A Gerusalemme devo essere ‘Maestro’ e nel senso più vasto, poiché quegli spiriti chiusi e ipocriti guardano l’esterno più che l’interno, la veste più che la dottrina”.
   Maria non si inganna sulla verità di questo desiderio. Si alza, poiché anche Gesù si è alzato, e con la sua mossa abituale appoggia le mani congiunte al braccio di Gesù ed esclama: “Figlio!” con tale accento che mi fa soffrire.
   Gesù la stringe al suo cuore. Ed Ella piange sul cuore del Figlio. Sente che l’ora è vicina del supremo dolore.
   Gesù le parla: “Mamma, ti ho voluto parlare di questo in quest’ora di pace. Ti affido il mio segreto. Nessuno dei discepoli sa che non torneremo più da queste parti sino a che tutto sarà compiuto. Ma tu… Ma per te Gesù non ha segreti, Mamma. Non piangere. Ancora molte ore abbiamo di essere insieme. Per questo ti dico: vieni in Giudea. L’averti vicina mi compenserà della fatica della più difficile evangelizzazione a quei duri di cuore che fanno ostacolo alla Parola di Dio. Vieni con le discepole. Mi sarete tanto utili. Giovanni provvederà all’asilo per te. Ora, prima che egli torni, preghiamo insieme. Poi tu vai al paese, ed Io pure verrò nella notte”.
   E rivedo[141] la preghiera di Gesù e Maria, ritti l’una presso l’Altro, in vera comunione col Padre.
   Poi Gesù resta solo, perché Maria se ne va con Giovanni, e continua a pregare ed a pensare, nella stessa posa ed espressione dell’inizio di questa visione, mentre le ombre si fanno folte intorno a Lui.

   [Seguono i brani 11-13 del capitolo 477 dell’opera L’EVANGELO]

   Dice poi Maria, rispondendo ad una mia preghiera sgorgatami dal cuore dopo che avevo detto quella scritta sotto l’imma-
   gine del Cuore Immacolato: “Nostra tenerissima Madre, svelateci i segreti del vostro Cuore Immacolato. Fate che un vostro raggio dolcissimo e puro penetri i nostri cuori e li trasformi e li prepari alle divine visite dello Spirito Santo”. Io avevo aggiunto: “Sì, Mamma di Gesù e mia, svelami i segreti del tuo Cuore e prepara il mio con la tua luce”.
   E Lei: «Ti ho immessa nel mio Cuore di cui ti ho fatto conoscere le gioie e le lacrime. Ti ho trapassata nel cuore con il raggio della mia carità per renderti atta a comprendere la voce del mio Figlio e le luci del divino Spirito. Poiché, senza le luci del Paraclito, buio e silenzio resta nei cuori. È sempre lo Spirito, di cui sono Sposa, Quello che vi fa comprendere la Verità e vi santifica a Dio. Il Padre, il Figlio, lo Spirito Santo devono essere nei vostri cuori perché possiate comprendere i segreti di Dio nelle sue triplici manifestazioni di Potenza, Redenzione, Amore. Il Padre è sempre presente nei suoi figli veri con la sua Bontà, il Figlio con la sua Dottrina e lo Spirito con la sua Luce, perché mai Esso è assente dove è santificazione, e la parola del mio Gesù è santificazione permessa dal volere del Padre che vi ama.»

   [Segue, in data 15 e 16 febbraio, il capitolo 603 dell’opera L’EVANGELO]

[139] nell’altra visione, una delle due del 13 febbraio e che è nel capitolo 106 del­l’opera maggiore, dove si legge che “Maria ha sul capo, oltre il velo, anche il manto. È più che mai velata…”.
[140] festa dei Tabernacoli, o della mietitura, o delle capanne, prescritta in Eso­do 23, 16; Deuteronomio 16, 13-15.
[141] rivedo, perché si ripete la preghiera che Gesù e la Madre dicono nella “visione” del 9 febbraio (capitolo 44 de “L’Evangelo come mi è stato rivelato”).