MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MINORE

A A A

QUADERNI DEL 1944 CAPITOLO 258


17 febbraio 1944

   [Precede il capitolo 599 dell’opera L’EVANGELO]

   Entra nel cenacolo[142], ora tutto preparato.
   Il tavolo è ricoperto di tovaglia e stoviglie. Presso i bacili e le anfore sono anche dei salvietti per asciugarsi le mani. Sulla credenza sono posti i pani azzimi e le vivande. Ossia l’agnello arrostito, posto su un grande vassoio, e delle specie di insalatiere con dei radicchi. Il pane azzimo sembra una focaccia piuttosto pallida e pochissimo alta: due dita.
   Gli apostoli dànno gli ultimi tocchi ai preparativi. Portano delle anfore sulla tavola e una grande coppa la mettono davanti a Gesù insieme a dei pani che mettono qua e là. Uno è presso la coppa.
   Gesù va al suo posto. Al centro della tavola, avente alla sua destra Giovanni, alla sinistra Giacomo. Dopo Giovanni viene Pietro. Dopo Giacomo, Andrea. Di fronte, Gesù ha l’Iscariota, il quale ha vicino uno che non conosco. Dopo questo sconosciuto è Giuda Taddeo. Insomma, i commensali sono sette nel lato della tavola che volge le spalle alla porticina, e sei nel lato che la guarda. Gesù volge le spalle alla porticina.
   Prima di iniziare la Cena intonano una preghiera, che si potrebbe dire cantata perché è detta su un motivo corale. Poi Gesù prende il pane e, tenendolo sulle palme delle mani, lo offre al Cielo. Versa il vino nella coppa e prende a due mani questo largo calice e lo alza, offrendolo come il pane. Poi taglia l’agnello e lo distribuisce.
   I primi bocconi li mangiano in piedi e a turno attingono dalle insalatiere i radicchi, li intingono in una specie di brodetto rossastro che è in piccole coppe e li mangiano. Poi si siedono e la cena continua dopo che hanno bevuto tutti un sorso alla grande coppa posta davanti a Gesù, che la fa circolare cominciando da Giovanni, poi Pietro e così via.
   Gesù, molto triste, dice: “Ho ardentemente desiderato di mangiare con voi questa Pasqua, perché mai più ne gusterò finché non sia venuto il regno di Dio. Allora nuovamente Io mi assiderò con gli eletti al banchetto dell’Agnello, per le nozze dei viventi col Vivente. Ma ad esso verranno solamente coloro che sono stati umili e mondi come Io sono. Venite, che Io vi purifichi. Sospendete il pasto. Vi è qualcosa di più alto e necessario del cibo dato al ventre perché si empia, anche se è cibo santo come questo del rito pasquale. Ed è uno spirito puro, pronto a ricevere il dono del Cielo, che già scende per farsi trono in voi e darvi la vita. Dare la Vita a chi è mondo”.
   E Gesù si alza in piedi, si leva la veste rossa; il manto se l’era già tolto, come tutti, e l’aveva collocato sul cassapanco. Va a questo, versa dell’acqua in un bacile, cinge sopra la tunica uno di quei purificatoi che erano là piegati, porta il bacile in mezzo alla stanza, sul davanti della tavola, e mette uno sgabello davanti ad esso.
   Gli apostoli, che hanno guardato stupiti i preparativi, sono perplessi e Pietro dice: “Maestro, ci siamo già purificati”.
   “Non importa. La mia purificazione servirà a chi è già puro ad esser più puro”.
   E comincia dall’Iscariota a lavargli i piedi stando dietro al lettuccio-sedile e immergendo i piedi uno per uno nel bacile posto sullo sgabello. Gesù è in ginocchio. Giuda lo guarda con uno sguardo turbato, sbieco.
   Gesù fa il giro della tavola così, da destra. Quando arriva a Pietro, questo scatta. Si ribella. Ma Gesù lo placa e gli lava con tanto amore i piedi dicendo: “Simone, Simone! Tu hai bisogno di quest’acqua per la tua anima e per il tanto cammino che devi fare. Se non ti lavo non puoi aver parte nel mio regno”.
   Pietro, sempre impulsivo, grida: “Ma lavami tutto, allora, Signore: i piedi, le mani, il capo!”.
   Giovanni si è già slacciato i sandali e mentre Gesù lo lava si curva e bacia il Maestro sui capelli.
   Il giro finisce infine, e Gesù mette in un angolo il bacile, si slega l’asciugatoio e lo pone presso il bacile, va al suo posto, prende la veste rossa e se la mette di nuovo aggiustandola alla vita con la cintura. Mentre sta per sedersi dice: “Ora siete puri, ma non tutti. Solo coloro che ebbero volontà d’esserlo”. E guarda per un attimo Giuda, il quale si dà un contegno parlando col vicino.
   La Cena continua. Naturalmente vedo che bevono ma non so se ciò rientri nel rito[143]. Bevono, non so altro. L’agnello è consumato. Resta nel vassoio un poco di sugo.
   Gesù torna a versare vino nel calice, prende un pane. Benedice e offre questo e quello e spezza ­il pane in tredici parti, ne dà una per una agli apostoli, fa circolare il calice e dice: “Prendete e mangiate: questo è il mio Corpo. Fate questo in memoria di Me che me ne vado. Prendete e dividetelo fra voi: questo è il mio Sangue, questo è il calice del nuovo patto nel Sangue e per il Sangue mio che sarà sparso per voi, per la remissione dei vostri peccati e per darvi la Vita. Fate anche questo in memoria di Me”.
   La tristezza di Gesù è tanto palese che gli apostoli divengono tristi e silenziosi.
   Gesù si alza facendo cenno a tutti di stare ai loro posti. Prende il calice e il 13° pezzetto di pane rimasto sul tavolo ed esce dal cenacolo. Porta alla Madre l’Eucarestia. La comunica con le sue mani. Quando Egli entra Maria è sola, in ginocchio, che prega. Il viso di Maria raggia nell’estasi eucaristica. Poi Gesù torna agli apostoli.
   “Il nuovo rito è compiuto. Fate questo in memoria di Me” ripete. “Io vi ho lavato i piedi per insegnarvi ad essere umili e puri come il Maestro vostro, poiché vi dico in verità che come il Maestro tali devono essere i discepoli. Non vi è discepolo maggiore al Maestro, e se Io vi ho lavati voi dovete ugualmente farlo l’un l’altro, ossia amarvi come fratelli, aiutandovi l’un coll’altro, venerandovi a vicenda, essendo l’un l’altro d’esempio. E siate puri per essere degni di mangiare il Pane vivo disceso dal Cielo ed avere in voi e per Esso la forza d’essere miei discepoli nel mondo nemico che vi odierà per il mio Nome. Ma uno fra voi non è puro. La mano di chi mi tradisce è meco su questa tavola e non il mio amore, non il mio Corpo e Sangue, non le mie parole lo ravvedono e lo fanno pentito. Io lo perdonerei andando alla morte anche per lui”.
   Giuda con un sorriso dice: “Maestro, sono io quello?”.
   “Tu lo dici, Giuda di Simone. Non Io. Tu lo dici. Io non t’ho nominato. Interroga l’interno ammonitore, la coscienza che Dio Padre t’ha data per condurti da uomo, e senti se t’accusa. Tu lo saprai prima di tutti”.
   Gesù parla con calma, quasi fosse una risposta accademica ad una questione propostagli. Ma gli altri sono in subbuglio. Si guardano l’un l’altro sospettosi.
   Pietro ha un viso poco raccomandabile. Guarda specialmente Giuda e Matteo; so che è quello perché l’Iscariota lo ha chiamato, essi sono di fronte a Pietro che perciò li vede bene. Poi tira la veste a Giovanni, che udendo parlare di tradimento si è stretto al Maestro posando il capo sul suo petto per consolarlo facendogli sentire quanto l’ama, e gli dice piano, quando Giovanni si volge e si curva verso di lui: “Chiedigli chi è”.
   Giovanni riprende la sua posa amorosa e, volgendo lievemente il capo in su, chiede: “Maestro, chi è?”. Lo chiede in un sussurro impercettibile, e Gesù risponde ancor più piano parlandogli fra i capelli come [se] glieli baciasse: “Quello a cui darò un pezzo di pane intinto”.
   E rotto, da un pane ancora intero, un boccone, lo tuffa nel­l’intingolo lasciato dall’agnello e, allungando il braccio attraverso al tavolo, lo offre a Giuda dicendo: “Prendi, Giuda. Questo a te piace”.
   Giuda, ignaro del significato di quel gesto che fa inorridire Giovanni, lo prende sorridendo come nulla fosse, un brutto sorriso ma sempre sorriso, e lo mangia.
   “Tutto è qui compiuto” dice Gesù. “Quello che resta ancora da fare altrove, fàllo presto, Giuda di Simone”.
   Giuda si alza di scatto. Il suolo gli deve scottare sotto i piedi e lo sguardo di Gesù deve essergli insostenibile. O, per lo meno, sostenerlo senza tradirsi deve essere faticosissimo. Saluta, si mette il manto, sale la scaletta, apre la porta ed esce.
   Gesù sospira come sollevato. Anche a Gesù doveva essere faticosissimo avere di fronte il traditore.
   E qui odo il resto delle diverse conversazioni e dell’ammaestramento finale del Maestro, così come lo porta Giovanni. Vi sono unicamente diversità in qualche parola dovute ai traduttori, ma il senso è quello.
   Per quanto Gesù sia sempre mesto e solenne, è più sollevato di prima. Si muove con più spigliatezza, gira intorno uno sguardo più vivo, la voce è più forte. Quando dice la preghiera al Padre, in piedi, a braccia aperte, è trasfigurato. Gli apostoli lacrimano a capo chino.
   “Su, andiamo” dice Gesù. “Alzatevi”.
   Cantano un altro inno ed escono. Gesù in testa appoggiandosi a Giovanni. Dietro gli altri, fra cui uno con una torcia che ha acceso ad un becco della lumiera.
   La scena mi cessa qui.

   [Seguono i brani 39-42 del capitolo 600 dell’opera L’EVANGELO]

[142] Entra (Gesù) nel cenacolo… è la continuazione immediata di una “visione” che dividiamo in due parti. Non riportiamo la prima parte, che è nell’opera maggiore (intero capitolo 599). Riportiamo invece la seconda parte, che inizia qui e riguarda l’Ultima Cena: Matteo 26, 17-35; Marco 14, 12-31; Luca 22, 7-38; Giovanni 13-17. Nell’opera maggiore è stata messa una sua più ampia stesura del 9 marzo 1945 (brani 1-38 del capitolo 600).
[143] ma non so se ciò rientri nel rito potrebbe leggersi anche ma non so se siano i calici di rito, per una annotazione che la scrittrice mette a matita sulle righe autografe.