MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MINORE

A A A

QUADERNI DEL 1944 CAPITOLO 275


7- 8 marzo 1944

   [Precedono i brani 5-9 e 18 del capitolo 352 dell’opera L’EVANGELO]

   Sera del 7 marzo

   A chi lo posso dire quello che soffro? A nessuno di questa Terra, perché non è sofferenza della Terra e non sarebbe capita.
   È una sofferenza che è dolcezza e una dolcezza che è sofferenza. Vorrei soffrire dieci, cento volte tanto. Per nulla al mondo vorrei non soffrire più questo. Ma ciò non toglie che io soffra come uno preso alla gola, stretto in una morsa, arso in un forno, trafitto fino al cuore.
   Mi fosse concesso di muovermi, di isolarmi da tutto e di potere nel moto e nel canto dar uno sfogo al mio sentimento – poiché è dolore di sentimento – ne avrei sollievo. Ma sono come Gesù sulla croce. Non mi è più concesso né moto né isolamento, e devo stringere le labbra per non dare in pascolo ai curiosi la mia dolce agonia.
   Non è un modo di dire: stringere le labbra! Devo fare un grande sforzo per dominare l’impulso di gridare il grido di gioia e di pena soprannaturale che mi fermenta dentro e sale con l’impeto di una fiamma o di uno zampillo.
   Gli occhi velati di dolore di Gesù: Ecce Homo[190], mi attirano co­me una calamita. Egli m’è di fronte e mi guarda, ritto in piedi sui gradini del Pretorio, con la testa coronata, le mani legate sulla sua veste bianca di pazzo con cui l’hanno voluto deridere, ed in­vece lo hanno vestito del candore degno dell’Innocente.
   Non parla. Ma tutto in Lui parla e mi chiama e chiede. Che chiede? Che io lo ami. Questo lo so e questo gli do sino a sentirmi morire come avessi una lama nel petto. Ma mi chiede ancora qualcosa che non capisco. E che vorrei capire. Ecco la mia tortura. Vorrei dargli tutto quanto può desiderare a costo di morire di spasimo. E non riesco.
   Il suo Volto doloroso mi attira e affascina. Bello è quando è il Maestro o il Cristo Risorto. Ma quel vederlo mi dà solo gioia. Questo mi dà un amore profondo che più non può essere quello di una madre per la sua creatura sofferente.
   Sì, lo comprendo. L’amore di compassione[191] è la crocifissione della creatura che segue il Maestro sino alla tortura finale. È un amore dispotico che ci impedisce ogni pensiero che non sia quello del suo dolore. Non ci apparteniamo più. Viviamo per consolare la sua tortura, e la sua tortura è il nostro tormento che ci uccide non metaforicamente soltanto. Eppure ogni lacrima che ci strappa il dolore ci è più cara di una perla, e ogni dolore che comprendiamo somigliante al suo [ci è] più desiderato e amato di un tesoro.
   Padre, mi sono sforzata di dire ciò che provo. Ma è inutile. Di tutte le estasi che Dio può darmi, sarà sempre quella del suo soffrire quella che porterà l’anima mia al mio settimo cielo. Morir d’amore guardando il mio Gesù penante, trovo che sia il più bel morire.

[190] Ecce Homo, cioè “Ecco l’Uomo”, come in Giovanni 19, 5.
[191] amore di compassione, o di compartecipazione come nel “dettato” del 13 febbraio.

 

   8 marzo

   [Precedono il capitolo 16 e i brani 8-15 del capitolo 17 dell’opera L’E­VANGELO. L’inizio del brano 16 del medesimo capitolo 17 ripete le tre righe introduttive che seguono qui]

   Dice Gesù:
   «La parola della Madre mia[192] dovrebbe sperdere ogni titubanza di pensiero anche nei più inceppati nelle formule.
   E ce ne sono tanti! Essi vogliono ragionare nelle cose divine col loro metro umano e pretenderebbero che anche Dio ragionasse così. Ma è così bello invece pensare che Dio ragiona in maniera sovranamente e infinitamente più eletta dell’uomo. E sarebbe così bello e utile che vi sforzaste a ragionare non secondo l’umanità ma lo spirito e seguire Dio. Non rimanere ancorati là dove il vostro pensiero si è ancorato. È superbia anche questa, perché presuppone la perfezione in una mente umana. Mentre di perfetto non c’è che il Pensiero divino il quale può, se vuole e crede sia utile farlo, scendere e divenire Parola nella mente e sulle labbra di una sua creatura che il mondo sprezza perché ai suoi occhi è ignorante, meschina, ottusa, infantile.
   La Sapienza ama, a disorientare la superbia della mente, effondersi proprio su questi rifiuti del mondo, i quali non hanno dottrina loro propria e neanche coltura di dottrina acquisita, ma sono tutti solo nell’amore e nella purezza, grandi nella buona volontà di servire Iddio facendolo conoscere ed amare dopo aver meritato di conoscerlo amandolo con tutte le loro forze. Osservate, uomini. A Fatima, a Lourdes, a Guadalupe, a Caravaggio, alla Salette, dovunque vi sono state apparizioni vere e sante, i veggenti, i vocati a vederle sono povere creature che per età, per coltura, per condizione, sono fra le più umili della Terra. A questi ignoti, a questi “nulla” si rivela la Grazia e ne fa i suoi araldi.
   Che devono fare allora gli uomini? Chinarsi come il pubblicano[193] e dire: “Signore, io ero troppo peccatore per meritare di conoscerti. Sii benedetto per la tua bontà che mi consola attraverso il tramite di queste creature e mi dà un’àncora celeste, una guida, un ammaestramento, una salvezza”. Non dire: “Ma no! Ubbie! Eresie! Non è possibile!”. Come non è possibile? Che uno deficiente divenga un dotto nella scienza di Dio? E perché non è possibile? Non ho risuscitato i morti, guarito i pazzi, curato gli epilettici, aperto la bocca ai muti, gli occhi ai ciechi, l’udito ai sordi, l’intelligenza agli scemi, nello stesso modo come ho cacciato i demoni, ho comandato ai pesci di gettarsi nella rete, ai pani di moltiplicarsi, all’acqua di divenire vino, alla tempesta di calmarsi, all’onda di divenire solida come pavimento? Cosa è impossibile a Dio?
   Anche prima che Dio – il Cristo, Figlio di Dio – fosse fra voi, non ha operato Dio il miracolo per mezzo dei suoi servi che agivano in suo nome? Non si sono rese feconde le viscere sterili di Sarai di Abramo perché divenisse Sara e partorisse in vecchiaia Isacco destinato ad esser colui col quale Io avrei stretto il patto? Non si sono mutate in sangue le acque del Nilo ed empite di animali immondi per il comando di Mosè? E sempre per la sua parola non son morti di peste gli animali e cadute per ulceri le carni degli uomini, e falciate, spezzate come per tramoggia, le biade per la grandine feroce, e spogliati gli alberi per le locuste, e spenta per tre giorni la luce, e percossi i primogeniti con la morte, e aperto il mare al passaggio di Israele, e addolcite le amare acque, e venuta abbondanza di quaglie e di manna, e scaturita l’acqua dalla roccia arida? E Giosuè non ha fermato il corso del sole ? E il fanciullo Davide atterrato il gigante? E Elia moltiplicato la farina e l’olio e risuscitato il figlio della vedova di Sarepta? E non è scesa al suo comando la pioggia sulla terra assetata e fuoco dal cielo sull’olocausto? E il Nuovo Testamento non è una selva fiorita di cui ogni fiore è un miracolo? Chi è il padrone del miracolo? Che è dunque impossibile a Dio? Chi come Dio?
   Curvate la fronte e adorate. E se – dato che i tempi divengono maturi per la gran messe[194], e tutto si deve conoscere prima che l’uomo cessi d’essere, tutto: e delle profezie dopo Cristo e di quelle avanti Cristo e del simbolismo biblico che ha inizio sin dalle prime parole della Genesi – e se Io vi istruisco su un punto sinora inspiegato, accogliete il dono e traetene frutto e non condanna. Non fate come i giudei del mio tempo mortale, che vollero chiudere il cuore alle mie istruzioni e, non potendomi eguagliare nel comprendere i misteri e le verità soprannaturali, mi chiamavano ossesso e bestemmiatore.»

   [Prosegue con i restanti brani 16-21 del capitolo 17 dell’opera L’E­VAN­GELO. Della stessa opera seguono, con date del 10 e 11 marzo, i brani 36-42 del capitolo 604 e l’intero capitolo 230]

[192] La parola della Madre mia, poiché precede un “dettato” di Maria Ss., che è stato inserito nel capitolo 17 dell’opera maggiore.
[193] il pubblicano della parabola riferita in Luca 18, 9-14.
[194] gran messe, secondo la parabola riferita e spiegata in Matteo 13, 24-30.36-43. Tralasciando di rimandare al Vangelo per i miracoli sopra citati in modo generico, rinviamo ai libri dell’Antico Testamento per gli altri episodi pure ricordati: Genesi 17, 15-21; Esodo 7-11; 12, 29-34; 14, 15-31; 15, 22-27; 16; 17, 1-7; Giosuè 10, 12-14; 1 Samuele 17; 1 Re 17, 7-24; 18, 20-46.