MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MINORE

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QUADERNI DEL 1944 CAPITOLO 280


20 marzo 1944

   Dice Gesù:
   «Un altro breve insegnamento per quelli che, quasi giunti alla mèta, hanno bisogno di compiere gli ultimi sforzi per toccare vittoriosamente la fine della prova.
   Siate perfetti, ho detto[212]. La perfezione si inizia dalle cose più pesanti e si compie con le più leggere. Si inizia domando la carne, si compie emendando il pensiero da quelle idee che non sono peccato ma che hanno in sé tara di una ingiustizia mentale non gradita a Dio. Compatita da Dio che è misericorde, ma non gradita. Ora, perché voler venire a Me con la veste non bruttata da macchie, ma non fresca e intatta come quella di un giglio che s’è deterso dalla polvere con la rugiada del mattino?
   Io sono la vostra rugiada e mi effondo per levarvi anche le più lievi appannature di umanità e di errore ed imperlarvi della mia Grazia per farvi gioielli del trono del Padre. Vi ho dato il mio Amore e il mio Sangue. Vi ho dato la mia Parola e il mio Corpo. Ma voglio darvi più che la Parola. Voglio darvi il mio Pensiero.
   Che è il pensiero? È l’anima della parola. Quando due si amano, non si accontentano di dirsi le parole necessarie, ma si comunicano anche gli intimi pensieri. Oh! gioia poter dire a chi ci ama quello che come lampo, come musica, come palpito ferve nella mente e per questo fervere ci distingue dai bruti, i cui moti mentali si limitano ai bisogni rudimentali del vivere!
   L’uomo pensa, e dal pensiero trae capolavori d’arte, di genio, di bellezza. L’uomo pensa, e in questo suo pensare ha un intimo amico che empie di compagnia anche la solitudine del romito. Il pensiero dell’uomo spazia, spirituale come è, per tutto l’universo. Si sprofonda nel rammemorare gli èvi lontani, si immerge nella previsione dei tempi avvenire, studia e contempla e medita le mirabili opere di Dio nel creato, riflette sui misteri degli uomini (ogni uomo è un mistero chiuso in veste mortale: luminoso o buio a seconda del suo animo santo o satanico; mistero noto a Dio solo a cui nulla è ignoto) e dalla contemplazione delle cose e degli uomini sale alle contemplazioni di Dio. Come aquila che, rapida, saetta da una valle ai suoi picchi e da questi ascende più alto a spaziare nel cielo, a salire verso il sole, a cercare le stelle, così il pensiero umano può salire, spaziare, immergersi nella purità splendente di Dio dopo aver meditato sulla capacità umana, alla immensità divina dopo aver riflettuto alla relatività umana, sull’eternità divina dopo aver contemplato la labilità umana, alla Perfezione dopo aver guardato, senza superbia che acceca, l’umana imperfezione.
   Ebbene: come è dolce comunicare a chi si ama questo nostro pensiero! Le luci di esso offerte come gemme ai più cari! È l’amore dell’amore: il più puro, il più eletto.
   Io voglio darvi il mio Pensiero. Farvi comprendere il Pensiero celato nella Parola. È come se vi prendessi e vi mettessi nella mia Mente e vi facessi conoscere i tesori chiusi in essa. Per farvi sempre più simili a Me e perciò più graditi al Padre mio e vostro.
   Nel Vangelo di Giovanni, possessore perfetto del Pensiero del Verbo di Dio fatto Carne, del pensiero del suo Gesù, Maestro e Amico, è detta una frase[213]: “Ora disse questo per significare con quale morte avrebbe reso gloria a Dio”.
   Con quale morte avrebbe reso gloria a Dio. Figli! Tutte le morti sono gloria resa a Dio quando sono accettate e subìte con santità. Lungi da voi la anche santa invidia di questa o quella morte. Lungi la misurazione umana del valore di questa o di quella morte. La morte è una volontà di Dio che si compie. Anche se l’esecutore di essa è un uomo feroce che si rende arbitro dei destini altrui e per la sua adesione a Satana ne diviene strumento per tormentare i suoi simili ed assassino dei medesimi, maledetto da Me, la morte è sempre l’estrema obbedienza a Dio che ha comminato[214] la morte all’uomo per il suo peccato.
   Conoscete tante indulgenze e vi sono anime piccine (non piccole: piccine) le quali, nella loro religione ristretta e fasciata dalle pratiche come una mummia fra le tenebre di un ipogeo, fanno la somma giornaliera di quanti giorni di indulgenza acquistano con questa e quella preghiera. Le indulgenze ci sono perché ne godiate nella vita futura, è vero. Ma fate luce, date ala alla vostra anima e alla vostra religione. Sono cose celesti. Non fatene delle schiave imprigionate in buia carcere. Luce, luce, ala, ala. Alzatevi! Amate! Pregate per amare, siate buoni per amare, vivete per amare.
   Due sono le più grandi indulgenze. Plenarie. E vengono da Dio, da Me Pontefice eterno. Quella dell’Amore che copre la moltitudine dei peccati[215]. Li distrugge nel suo fuoco. Chi ama con tutte le sue forze consuma di attimo in attimo le sue umane imperfezioni. Più di imperfezioni non fa chi ama. La seconda plenaria indulgenza, data da Dio, è quella di una morte rassegnata, quale che sia il genere di essa, di una morte volonterosa di fare la estrema obbedienza a Dio.
   La morte è sempre un calvario. Grande o piccino, è sempre calvario. Ed è sempre “grande” anche se all’apparenza non ha nulla che la faccia apparire tale, perché è proporzionata da Dio alle forze di ognuno (parlo qui dei figli miei, non di quelli che sono figli di Satana), alle forze che Dio aumenta a misura della morte che è destino della sua creatura; ed è grande perché, se è compiuta santamente, assume la grandezza di ciò che è santo. Ogni morte, dunque, santa, è gloria resa a Dio.
   Come è bello vedere la rosa aprirsi sul suo stelo! Eccola: è chiusa come un rubino nel suo castone di smeraldo, ma schiude le lamine del castone e, come bocca che si apre al sorriso, disserra i petali porporini. Risponde col suo sorriso di seta al bacio del sole. Si apre. È una aureola di velluto vivo intorno all’oro dei pistilli. Canta col suo colore e col suo profumo la gloria di Chi l’ha creata, e poi a sera si piega stanca e muore con un più vivo profumare, che è la sua estrema lode al Signore.
   Come è bello udire nei boschi, a sera, il coro degli uccelli che, prima di mettersi a riposo, cantano con tutti i trilli delle loro gole l’orazione di lode al Padre che li ha nutriti! Sembra che il coro cada, ma vi è sempre il più innamorato che lancia un nuovo trillo e incita gli altri a seguirlo, poiché il sole ancor non è caduto e la luce è cosa tanto bella che si deve salutarla perché essa li ami e torni al mattino; poiché ancor il buon Dio permette si veda un chicco sparso al suolo, un moscerino sperduto, un bioccolo di lana da portare ai piccini o da dare al piccolo gozzo che il buon Signore sfama. E il coro continua sinché la luce muore e i riconoscenti si raccolgono sul ramo, pallottoline di tepore che hanno ancora un pigolìo sotto le piume per dire: “Grazie, o mio Creatore”.
   La morte del giusto è come quella della rosa, è come il sonno dell’uccello. Dolce, bella, gradita al Signore. Nell’arena di un circo o nel buio della carcere, fra gli affetti familiari o nella solitudine di chi è senza nessuno, rapida o lunga di tormenti, essa è sempre, sempre, sempre gloria resa a Dio.
   Accettatela con pace. Desideratela con pace. Compitela con pace. La mia pace permanga in voi anche in questa prova, in questo desiderio, in questa consumazione. Abbiate già la mia pace eterna in voi, sin da ora, e per questa estrema cosa.
   Pensate che la morte cruenta di un’Agata non differisce[216] per Me da quella di una Liduina, e quella di una Teresa Martin da quella di un Domenico di Guzman, quella di un Tommaso Moro da quella di un Contardo Ferrini.
   Colui che fa la volontà del Padre mio, Io l’ho detto[217], è beato. Beato, Io ho detto, e fratello e sorella e madre mia. Io ho detto questo. Perché Io ho reso gloria a Dio mio Padre facendo la sua volontà nella vita e nella morte. Imitate dunque il Maestro vostro ed Io vi chiamerò: “Fratelli miei, sorelle mie”.»

[212] ho detto il giorno precedente, con rinvio a Matteo 5, 48.
[213] frase che è in Giovanni 21, 19, cui rinvia la scrittrice accanto alla data.
[214] comminato in Genesi 3, 17-19.
[215] copre la moltitudine dei peccati, come in Giacomo 5, 20; 1 Pietro 4, 8.
[216] la mortenon differisce, anche se venuta in modo diverso, per le persone sante, come Agata che morì da martire, Liduina che morì da inferma, Teresa Martin che morì consumata nella clausura, Domenico di Guzman che morì spossato dalle fatiche dei viaggi, Tommaso Moro che morì assassinato, Contardo Ferrini che morì di tifo.
[217] l’ho detto in Matteo 12, 46-50; Marco 3, 31-35; Luca 8, 19-21.