MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MINORE

A A A

QUADERNI DEL 1944 CAPITOLO 335


12 giugno 1944

   Dice Gesù:
   «Ancora ti dico questo per perfezionarti nel dolore.
   Amare il dolore è già consiglio di perfezione, perché il comando di Dio, che conosce la capacità umana, si limita ad ordinare di sopportare il dolore per ubbidienza a Dio. Molti – la maggioranza – non sanno fare neppure questo.
   Dio ai migliori dice: “Amate il dolore poiché mio Figlio lo amò per bene vostro. Fate voi lo stesso per il bene dei fratelli”.
   Ma fra i migliori, che sono i cristiani fedeli, convinti, generosi, amorosi, ve ne è una categoria eletta. Sono i serafini dei fedeli, i più accesi di amore. L’amore che li accende li fa amorosi del più difficile, al punto che non solo amano il dolore che Dio permette li morda, ma lo chiedono e dicono: “Eccomi, Padre. Io sono qui a chiederti lo stesso calice che desti al tuo Figlio e per la stessa ragione”. E divengono le “vittime”.
   A queste, attraverso te, che ne sei una, do questo consiglio di perfezione.
   Quando il dolore è atroce ma breve, è più facile a compiersi. Ma quando nella sua mordente severità dura, e dura, e dura, e come albero florido si orna di sempre nuovi rami e sul suo tronco accoglie altre prolificazioni – come certi alberi delle selve sui quali si abbarbicano edere e vitalbe e si incrostano muschi e licheni, e nascono, fra la conca di due rami, altre pianticelle che non sai come possano metter radice là, in quell’angolo fra due legni in cui è solo un pizzico di polvere, eppure crescono e divengono veri arbusti, e l’uomo ammira stupito quest’opera dei venti e questo fenomeno di adozione vegetale – allora è difficile persistere nel compimento della missione di vittima.
   Ebbene, Maria. Io ti ho detto363 che per vivere senza squilibri nella vita di vittime bisogna mettersi risolutamente nel piano spirituale. Vedere, pensare, agire, tutto come si agisce nei regni dello spirito. Ossia in una eternità che sempre dice: “ora”.
   Cosa volete considerare, voi che vivete per lo spirito, le cose secondo la carne? Cosa avete chiesto a Dio? Di fare di voi delle creature spirituali. Le creature spirituali, simili a Dio, in che tempo vivono? In quello di Dio. Quale è il tempo di Dio? Un eterno presente. Un eterno “ora”. Non vi è in Cielo, per l’eterno Padre vostro, un passato, non vi è un futuro. Vi è l’attimo eterno.
   Dio non conosce nascita e non morte, non alba e non tramonto, non principio e non fine. Gli angeli, spirituali come Egli [è], non conoscono che “un giorno”. Un giorno che ha avuto principio dall’attimo in cui furono creati e che non conoscerà termine. I santi, dal momento che nascono al Cielo, divengono possessori di questo immutabile tempo del Cielo che non conosce scorrere e che è fisso nel suo splendore di diamante acceso da Dio, nelle ère del mondo che rotano intorno a questa sua fissità immutabile come i pianeti al sole, che si formano e si dissolvono, che imperano e si disgregano, mentre esso è sempre quello, e quello sarà. Per quanto? Per sempre.
   Pensa, Maria. Se tu potessi contare tutti i granelli di rena che sono nei mari di tutto il globo, nel fondo e sulle rive dei laghi, degli stagni, dei fiumi, torrenti e rii, e mi dicessi: “Mutali in tanti giorni”, avresti ancora un limite a questo numero di giorni. Vi unissi tutte le gocce d’acque che sono nei mari, nei laghi, nei fiumi, torrenti e ruscelli, che tremolano sulle fronde bagnate di pioggia o di rugiada, e vi unissi anche tutta l’acqua che è nelle nevi alpine, nelle nuvole vaganti, nei ghiacciai che vestono di cristallo i picchi montani, avresti ancora un limite a questo numero di giorni. Vi unissi anche tutte le molecole che formano i pianeti, le stelle e le nebulose, tutto quanto vola per il firmamento e lo empie di musiche che solo gli angeli odono – perché ogni astro nella sua corsa canta, come fulgente arpista che scorra le mani su arpe di azzurro, le lodi del Creatore, e il firmamento è pieno di questo concerto d’organo immane – ancora avresti un numero limitato di giorni. Vi unissi la polvere sepolta nella Terra, polvere che è terra di uomini tornati colla loro materia al nulla, e che da centinaia di secoli attende il comando per tornare uomo e vedere il trionfo di Dio – e sono miliardi di miliardi di atomi di polvere-uomo, appartenuti a miliardi d’uomini che si credettero tanto, e da secoli e secoli sono nulla, e il mondo ignora persino che vissero – avresti ancora un numero limitato di giorni.
   Il Regno di Dio è eterno come il suo Re. E l’eternità conosce una sola parola: “Ora”. Anche tu, e con te tutti i sacrati all’olocausto, devi conoscere questa parola sola per misurare il tempo del dolore.
   “Ora”. Da quanto soffro? Da ora. Quando cesserà? Ora. Il presente. Per le creature spirituali non vi è che ciò che è di Dio. Anche il tempo. Imparate, prima del momento, a calcolare il tempo come lo possederete in Paradiso: Ora.
   Oh! benedetto quel tempo che è immutabile possessione, im­mutabile contemplazione di Dio, che è immutabile gioia! “La vita è un batter di ciglio, il tempo della Terra ha durata di un re­spiro. Ma il mio Cielo è eterno”, ecco cosa deve esser l’accordo che regge il vostro canto di creature martiri e beate.
   Si legge nella vita della mia martire Cecilia364: “Cecilia cantava nel suo cuore”. Anche voi cantate nel vostro cuore. Cantate: “L’ora di Dio mi attende. Io già mi trovo avvolta nel gorgo di questo eterno ‘ora’ e questo gorgo sempre più mi avvicina al centro della sua perfezione. Ecco che vedo cadere questa polvere di cui ogni atomo è un giorno e un granello è un mese; la vedo cadere soffiata via da questo turbine che mi aspira a Dio, ed è l’amore di Dio che mi vuol dare il ‘suo’ tempo. Mi vuol dare il suo eterno presente nel quale, ad ogni secondo del tempo terrestre, corrisponde un ricevere in me la beatitudine di avere Dio Padre, Dio Figlio, Dio Spirito Santo, in un abbraccio sempre nuovo, sempre desiderato, sempre voluto, senza stanchezze, ricco di sempre nuovi splendori, di sempre nuovi sapori, di sempre nuovi amori. Ed io nasco ad ogni nuovo arrivo come nel primo momento che l’ho goduto, questo Dio Uno e Trino, mio unico Amore, e ad ogni nuovo arrivo io raggiungo la perfezione della Vita e poi rinasco alla gioia mia di beato per amarlo ancora, ancora, ancora, ed esserne amata ancora, ancora, ancora. Non di più. Perché là, nel Paradiso, tutto ha raggiunto perfezione e non è suscettibile di aumenti o diminuzioni, ma con sempre uguale, fresca letizia. La mia di beato che si abbraccia a Dio. La sua, di Dio, che può effondere il suo amore, la sua essenza, su una sua creatura che Egli creò per amore, per riceverne amore e per darle, per darle, per darle l’amore”.
   Guarda così il tuo soffrire, mia piccola sposa, e la sua durata ti sarà men che nulla. Alla fine di essa Io ci sono. Io.
   La pace mia sia sempre con te.»

[363] ti ho detto, nel “dettato” del giorno precedente.
[364] martire Cecilia, già nella “visione” del 10 gennaio e nel “dettato” del 13 gennaio.