MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MINORE

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QUADERNI DEL 1944 CAPITOLO 333


7 giugno 1944

   Vigilia del Corpus Domini

   Scrivo avendo presente il mio Gesù-Maestro. Per me, tutto per me. Tornato, dopo tanto, tutto per me.
   Lei dirà: “Ma come? È quasi un mese che torni a sentire e a vedere, e dici che lo hai dopo tanto?”. Rispondo ancora una volta quello che a voce e per scritto ho detto più volte.
   Altro è vedere e altro è udire. E, soprattutto, altro è vedere e udire per gli altri, e altro è vedere e udire tutto per me, esclusivamente per me. Nel primo caso io sono una spettatrice e una ripetitrice di ciò che vedo e odo, ma se questo mi dà gioia, perché sono sempre cose che infondono una grande gioia, è anche vero che è una gioia che è, dirò così, esterna. Il vocabolo dice male ciò che io sento tanto bene. Ma non trovo di meglio.
   Insomma, faccia conto che la mia gioia è simile a quella di uno che legge un bel libro o vede una bella scena. Se ne commuove, la gusta, ne ammira l’armonia, pensa: “Che bello essere al posto di questa persona!”. Mentre, quando è il secondo caso, ossia l’udire e il vedere è per me, allora “questa persona” sono io. Per me è la parola che odo, per me la figura che vedo. Sono io e Lui, io e Maria, io e Giovanni. Vivi, veri, reali, vicini. Non di fronte e come se io vedessi sfilare una pellicola cinematografica. Ma di fianco al mio letto, ma aggirantisi per la camera, ma appoggiantisi ai mobili, o seduti, o in piedi, come persone vive, mie ospiti, ciò che è ben diverso da una visione per tutti. Insomma “è mio” tutto questo.
   E oggi, anzi da ieri nel pomeriggio, è qui Gesù, nella sua solita veste di lana bianca dal bianco piuttosto avoriato, così diversa nella pesantezza e nella sfumatura dalla splendida veste che pare di un lino immateriale, e tanto candido da parere luce filata, che lo copre in Cielo. È qui con le sue belle mani lunghe e affusolate di un bianco tendente all’avorio vecchio, col suo bel volto lungo e pallido dove splendono gli occhi dominatori e dolci di zaffiro scuro fra le folte ciglia di un castano scintillante di biondo-rosso. È qui coi bei capelli lunghi e morbidi, dal biondo rosso più vivo nei punti in luce e più cupo nel fondo delle pieghe.
   È qui! È qui! E mi sorride e mi guarda scrivere di Lui. Come faceva a Viareggio… e come non faceva più dalla settimana santa… dandomi tutta quella desolazione divenuta febbre di quasi disperazione quando, al dolore360 che mi veniva dall’esser privata di Lui, si unì anche quello di venire privata di vivere là dove almeno lo avevo visto e potevo dire: “Lì si è appoggiato, là si è seduto, qui si è chinato per posarmi la mano sul capo”, e dove erano morti i miei. Oh! chi non ha provato non può capire!
   Non è che si pretenda di avere tutto ciò. Lo sappiamo bene che sono grazie gratuite e che non meritiamo di averle, né possiamo pretendere che durino quando ci sono concesse. Lo sappiamo. E più esse ci vengono date e più noi ci annichiliamo nell’umiltà, riconoscendo la nostra ripugnante miseria rispetto alla infinita Bellezza e alla divina Ricchezza che si dà a noi.
   Ma che dice, Padre? Un figlio non desidera di vedere suo padre e sua madre? Una moglie di vedere il marito? E quando la morte o una lunga assenza li priva di vederli, non soffrono e non trovano conforto nel vivere dove essi vissero, e se devono lasciare quel posto non soffrono doppiamente perché perdono anche il luogo dove il loro amore fu amato dall’assente? Si possono riprovare questi che soffrono per questo dolore? No. Ed io? Non è Gesù mio Padre e Sposo? Più caro, molto più caro del più caro dei padri e degli sposi?
   E che mi sia tale lo giudichi dal come ho sopportato la morte di mia madre. Ho sofferto, sa? Piango ancora perché le volevo bene, nonostante il suo carattere. Ma lei ha visto come ho superato quell’ora. C’era Gesù. E m’era più caro della mamma. Le devo dire una cosa? Ho sofferto e soffro più ora della morte, ormai avvenuta da otto mesi361, della mamma, che non allora. Perché in questi ultimi due mesi ero senza Gesù per me e senza Maria per me, e anche adesso, basta che io sia lasciata un momento da Loro, che ecco che sento più che mai la mia desolazione di orfana ammalata e riprecipito nel dolore aspro e umano di quei giorni disumani.
   Scrivo sotto gli occhi di Gesù e perciò non esagero o non sviso nulla. Non è mio sistema, d’altronde. Ma anche lo fosse, sarebbe impossibile persistervi sotto questo sguardo.
   Ho scritto questo, qui, dove non uso, perché nelle visioni di Maria non interseco il mio povero io, perché so già che devo continuare a descrivere delle sue glorie. La sua maternità, in tutti i suoi momenti, non è stata una corona di glorie?
   Io sto molto male e lo scrivere mi pesa molto. Dopo sono un cencio. Ma pur di farla conoscere, perché sia più amata, non calcolo nulla. Le spalle dolgono? Il cuore cede? La testa spasima? La febbre cresce? Non importa! Che Maria sia conosciuta, tutta bella e cara quale io la vedo per bontà di Dio e sua, e mi basta.

   [Seguono, sotto la stessa data, il capitolo 30 e, con date dell’8, 9 e 10 giugno, i capitoli 31, 35 e 43 dell’opera L’EVANGELO]

[360] al doloresi unì… sono altri accenni ai quaranta giorni di abbandono divino (dal 7 aprile al 17 maggio) e allo sfollamento imposto per la guerra (nota al 24 aprile).
[361] avvenuta da otto mesi, essendo la mamma deceduta il 4 ottobre 1943, come si legge nel volume “I quaderni del 1943”.