MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MINORE

A A A

QUADERNI DEL 1944 CAPITOLO 343


23 giugno 1944

   Venerdì

   Dovevo descrivere la visione avuta ieri sera. Ma la scrivo dopo. Dice Gesù:
   «Colui che ha disegnato questa copertina che ti piace tanto e che solo ora, dopo 19 anni, vedi nel suo vero significato, non ha fatto unicamente un’opera graziosa e simbolica, ma ha detto una verità.
   La piccola Teresa che, appoggiata su nuvole empiree, sfoglia incessantemente rose, e due angeli l’aiutano a convogliare sul mondo la sua pioggia di rose, era una vera somiglianza di Me Bambino. Perciò hanno fatto bene a raffigurarla così somigliante ad un Bambino Gesù da poter essere scambiata con Lui. Tu lo vedi ora che è lei e non sono Io.
   Questo riprende in parte il dettato di ieri. Più il mistico si avvicina col suo desiderio amoroso a Colui che egli ama completamente, e più la sua effigie spirituale si identifica col Modello.
   Il mio piccolo grande Fiore era Teresa del Bambino Gesù e del Volto santo. E se il mio doloroso Volto fu il sole impresso nel suo cuore e che lo arse, per voi che aborrite il dolore e che l’austerità sgomenta, ha avuto nel suo esterno spirituale la somiglianza con la mia dolce infanzia, la soavità, la grazia, la semplicità di questa. Così ho voluto e così l’ho guidata con l’ispirazione, per darvi un modello che la vostra incapacità odierna, incapacità spirituale, sappia seguire.
   Teresa è per tutti. Tutti possono sforzarsi ad imitarla. Anche gli appena formati nello spirito. Non credere però che Teresa sia stata risparmiata. Oh! no! Ella vi mostra un volto d’amore e di sorriso, il placido volto di un bambino felice. Ma nel suo interno la mia Passione la scavava con scalpello di fuoco.
   Ve l’ho data per pietà della vostra debolezza. Do i miei santi per tutte le personalità spirituali. Do gli asceti di una severità quasi paurosa per le tempre di acciaio, per le fiamme che non conoscono languore. Do i santi di una ilare santità per coloro che non sanno santificarsi col pianto. Do i santi dalle grazie infantili per quelli che non possono – ed è già assai se lo sanno fare – amarmi altro che con delle ben piccole forze.
   E notate che la piccola Teresa, avendo un cuore da eroe, dovette – e fu martirio aggiunto a tutti i suoi altri – dovette forzare se stessa per darvi l’impronta che Io volevo, perché il suo spirito la portava ai voli d’aquila e agli eroismi più fieri. Sapete cosa è contraddire la propria natura? Provatelo e capirete quale fu il suo doppio merito.»
   Questo dettato è stato originato dall’osservazione che io facevo sulla copertina del libro: “Storia di un’anima”411. Ho questo libro da 19 anni, ma avevo sempre creduto che il pargolo che sparge rose dall’alto della nube fosse Gesù Bambino.
   Questa mattina il mio interno ammonitore mi dice: “No. È la piccola Teresa del Bambino Gesù quel paradisiaco infante. Ella ha voluto ‘l’infanzia spirituale’ per sua forma di santità, e in essa è divenuta tanto perfetta da essere proprio un secondo piccolo Gesù”.
   Dopo, Gesù mi detta il dettato. E lo devo scrivere subito. Perché il dettato è una sequela di parole e io non le posso ricordare esattamente se non le scrivo mentre le ricevo, e non mi permetterei mai di farvi modifiche mie o alterazioni. Mentre una visione la posso ricordare esattissimamente anche dopo delle ore, tanto mi si scolpisce nella mente.
   Perciò ho preferito scrivere il dettato e dopo descrivere la visione avuta ieri sera. E premetto che ieri sera, negli strazi più grandi che mi strappavano lamenti, non potevo proprio stare seduta e scrivere. Ero tutta di un pezzo per i dolori vertebrali che mi si irradiavano, per tutti i nervi, a tutto il corpo. Il cervelletto mi pareva [che] me lo strappassero continuamente o vi configgessero dentro un fascio di spine. Il dolore alla nuca era insopportabile. E così quello del cuore e dei polmoni. Ma già, dove non ero straziata? Fino nelle più lontane falangi pareva fossero seghe e tenaglie minuscole che segassero, torcessero, strappassero. Ora sono ancora tanto forti. Ma, sebbene con vertigini e nausee, per riflesso cerebrale, posso scrivere, a fatica, ma scrivere.
   Ieri sera, prima che i dolori, iniziati alle 15, divenissero feroci, mi ero prefissa di fare l’Ora santa. Ma non potevo proprio farla. Ho detto a Gesù: “Tu lo vedi. Volevo passare con Te questa sera in memoria della tua agonia nell’orto. Ma non posso”. E allora Gesù mi ha mandato questa visione.
   La descrivo, per quanto a coloro che odiano le ripetizioni possa esser uggiosa. Ma se è cosa già vista nel complesso e, data la mia particolare condizione di allora, non potuta descrivere nei singoli particolari, ora appare più minuta appunto perché la mia attenzione è presa da un solo punto.
   Ecco dunque. È la morte di Gesù.412
   Egli è sulla croce nel lividore di una luce di grandissima burrasca, che sempre più si fa cupo. Pure la luce verdognola e, direi quasi, violetta permette di vedere il Corpo straziato del Morente nei minuti particolari. Così sono visibilissimi gli ansiti affrettati e brevi del povero torace che lotta con l’asfissia. Il movimento respiratorio è limitato al sommo del petto. La bocca aperta e lievemente storta, sia per la contusione zigomatica destra, sia per una contrazione di dolore, cerca bere avidamente l’aria, e la lingua ingrossata appare, e pare frema per il fremito generale del corpo.
   Vedo le zebrature del Corpo straziato dai flagelli e dalle percosse e rigato dal sangue che scola dalle ferite delle mani lungo le braccia, perché le mani sono lievemente più alte della spalla per il peso del corpo che tende al basso, così:     

   A destra vi è più sangue che a sinistra perché Gesù ha anche la spalla lacerata dalla piaga del portare la croce e nel levargli la veste, attaccata alla piaga, questa si è aperta e ha dato molto sangue che è sceso anche sul davanti e sul fianco, lungo le costole. E poi Gesù tiene solitamente il capo coronato di spine piegato a destra, e anche da esso è sceso sangue in minuti rivoli lungo i capelli e la barba.
   Così Gesù pare sino alla cintola vestito di una aderentissima veste zebrata di molta porpora mista a color viola e a rare chiazzature di un bianco esangue, che pare ancor più esangue fra la porpora e il bluastro delle lividure o del sangue. Ben rari sono i punti in cui l’epidermide appare netta. È una vista di grande pietà.
   Alla cintura il velo di Maria ha assorbito il sangue che cola e il velo sembra mutato in un cordone rosso intorno alla vita. Dopo appare bianco screziato di rosso.
   Le gambe sono di un biancore lugubre, di morte contro il legno scuro e il cielo anche più scuro che pare si sia fatto basso basso. Ma, tolte le lividure di qualche sassata o bastonata e le contusioni ai ginocchi per le cadute – il destro è molto ferito e fra le slabbrature della lacerazione avuta contro la pietra aguzza appare la rotula biancheggiante fra il rosso livido – le gambe non hanno sangue che le righino. Esso è sui piedi e goccia dalle dita a terra.
   Maria sorretta da Giovanni guarda il Figlio che muore. Sta a capo alzato verso la croce. Io vedo Lei e l’apostolo alle spalle. Non parla la Mamma. Sta muta nel suo dolore, tutta scura nel suo vestito e nel suo manto, immobile come una statua. È lontana un due metri dalla croce per vedere bene il suo Gesù ed esserne vista, dato che possa vedere ancora.
   Ma ecco la convulsione finale… e Gesù muore. Dopo l’estremo grido succede un grande silenzio da parte del Morente. Non vi è più rantolo né più lamento. Silenzio. La terra no. La terra urla e scuote e la gente urla e fugge.
   Maria non si occupa che del suo Gesù. Lo chiama, poiché nel buio profondo che è sopravvenuto poco lo vede. Lo chiama tre volte: “Gesù! Gesù! Gesù!”. E poi, vedendolo, ad un lampo che riga il cielo, immobile, tutto pendente in avanti, col capo fortemente piegato a destra e in avanti, staccato dalla croce dalle anche in su, comprende. Tende le braccia, le mani. Due biancori che tremano nell’aria nera; e grida: “Figlio mio! Figlio mio! Mio! Mio!”. E ascolta… non si vuole persuadere che Egli non l’ode più, e attende un gemito di risposta.
   Ma Gesù non può più gemere. E Giovanni, passando un braccio intorno alle spalle di Maria – prima la teneva per il braccio con rispetto – cerca allontanarla e persuaderla dicendo: “Non soffre più!”.
   Ma Maria ha capito anche prima che Giovanni termini la frase e, girando su se stessa di modo che ora mi guarda, si curva, non a ginocchi, ma come ad arco, portandosi le mani al viso, a coprirsi gli occhi dilatati dal dolore, e grida: “Non ho più Figlio!”. Io non posso far sentire il tono di questa voce… Ma mi strazia perché ancora l’odo.
   Maria vacilla e Giovanni la raccoglie così curva e vacillante e se la appoggia al cuore. E poiché Ella non si regge, la siede adagio là dove prima erano i soldati a giocare ai dadi, e le fa da appoggio col suo petto sinché, nella generale confusione, le Marie accorrono, non più respinte dai soldati, e sostituiscono l’apostolo presso la Madre.
   Vedo che mentre la Maddalena prende la posa che prima aveva Giovanni, e perciò Maria le è quasi adagiata sui ginocchi, un’altra, non avendo altro, afferra la spugna che è nell’aceto e fiele e le fa odorare quell’afrore e le bagna le tempie e le narici con l’aceto.
   Longino si avvicina alla croce e guarda. Dice due parole, che non afferro, a Giovanni. Poi guarda il gruppo delle donne. Quando le vede tutte intente intorno a Maria, con le spalle alla croce, vibra il colpo di lancia.
   Solo Giovanni, ritto in piedi fra la croce e le donne e messo per fianco per guardare queste e quella, vede l’atto. Ecco perché può dire413: “E ne uscì sangue e acqua”, mentre Maria non vede nulla sinché più tardi trova la ferita al costato toccando con le mani.
   Mi piace l’atto di Longino che attende a ferire di lancia quando la Madre non vede. Tempera il dovere con la pietà.
   Ecco la mia visione di ieri sera. L’ho riportata fedelmente. A molti parrà ripetizione. A me non parve tale perché ho potuto meglio ancora meditare sulla Passione del Salvatore nostro. Cosa che, se mi fa soffrire per la compassione, è conforto alla mia passione. Non posso disperare della Bontà quando vedo quanto ci ha amato.

[411] Storia di un’anima è il titolo dell’autobiografia di S. Teresa del Bambino Gesù o di Lisieux, incontrata nella “visione” del 10 gennaio e menzionata nel “dettato” del 19 marzo. Ricordata anche altre volte, Teresa parla e si manifesta alla scrittrice il 13 luglio e le appare il giorno dopo.
[412] la morte di Gesù, già “vista” il 18 febbraio e, per un solo particolare di essa, il 7 aprile. Oltre alla presente descrizione, ve ne sarà ancora un’altra del 27 marzo 1945. Quest’ultima è nel capitolo 609 dell’opera maggiore, per il quale si può rinviare a Matteo 27, 33-58; Marco 15, 22-45; Luca 23, 33-52; Giovanni 19, 17-39.
[413] può dire, in Giovanni 19, 34.