MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MINORE

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QUADERNI DEL 1944 CAPITOLO 347


27 giugno 1944

   Dice Gesù:
   «Le anime che Io prediligo ricevono il comando422 che ebbe A­bramo: “Esci dal tuo paese e dal tuo parentado e vieni nella terra che ti mostrerò”.
   Reale oltreché metaforica uscita. Reale, perché realmente colui che a Me si consacra si rende straniero e ignoto presso i suoi stessi parenti.
   Ignoto con la sua nuova personalità. Straniero perché fra loro e lui avviene come la caduta di un diaframma, come la creazione di una singolare Babele423, per cui egli va oltre, verso la terra che Dio gli addita, e loro restano là dove sono, né anche, essendo ancora vicini, possono più intendersi, perché egli già parla la lingua di quella terra e ne pratica gli usi mentre essi continuano a pensare, agire, parlare nella loro maniera abituale. Ciò produce un grande motivo di dolore e di stupore, se pure non di derisione.
   Il dolore è particolarmente sentito da colui che Dio ha chiamato alla “nuova terra”. Egli vorrebbe esser seguito da chi ama, perché ha compreso che “quella terra” è paese di elevazione. Vorrebbe che gli altri lo comprendessero per poter innamorarli delle bellezze che egli discopre.
   Loro si stupiscono del suo mutamento. E quando non lo giudicano “manìa”, lo chiamano egoismo, disamore, stranezza. Nulla di ciò. Amore perfetto, e per coloro che ama e per se stesso, dando e cercando dare agli altri il bene che a sé procura. Non stranezza, ma anzi regola perfetta, essendo costui nella sua eccezione colui che si trova nella regola del figlio di Dio: ubbidienza assoluta, superiore ad ogni altra voce di sangue, di interesse, di rispetto umano, alla voce di Dio.
   La ferita non si sana e non si può sanare. Perché l’eletto alla “nuova terra” con la sua parte inferiore conserva la sensibilità comune ai figli dell’uomo, e di doversi sentire accusare di disamore da quelli che più lo dovrebbero capire, e di doverli respin­gere, strappandosi il cuore, per inoltrarsi sul sentiero che Dio gli indica, soffre continuamente, tenendo sempre aperta la fe­rita, in cui sono confitti l’amore dei suoi che per amarlo lo tor­turano e l’amore suo che per non esser compreso si torce nella piaga e la volontà imperiosa di Colui che egli ama con tutto se stesso. Ferita d’amore, dunque. Ferita, dunque, in cui è Dio, per­ché Dio è dove è carità.
   “Vieni nella terra che ti mostrerò”. Dio non la mostra avanti. Dice: “Vieni”. Il premio del vedere questa terra sarà dato a colui che ubbidisce senza attendere di conoscere ciò che lo aspetta. Dio dice: “Vieni”. Non altro. Egli va e non chiede altro.
   L’inizio della terra benedetta – il cui sole non conosce tramonti, in cui non regnano aspidi e scorpioni né fiere selvagge, in cui sono ignote bufere e brine ed eterna è la primavera, e pingue di sovrannaturale cibo è ogni essere, e miele stillano tronchi e di latte sono le fonti, e l’armonia è luce e la luce è armonia, e felici come fiori in un sereno mattino d’aprile sono gli abitanti e ridono di perenne gioia riflettendo il divino riso del loro Signore – è molto irto e spinoso. Sassi e rovi, liane e stretti passaggi su orridi e torrenti vorticosi, oscure svolte e ventose zone di burrasca sono nel suo principiare.
   In alto una sola stella: Io. Io che devo essere luce, calore, voce, speranza, conforto, fede, guida per l’eroico camminatore. Io solo. Guai a non guardare continuamente Me.
   Ma chi persevera vede che ai sassi, ai rovi sussegue più liscia strada e qualche fiore si affaccia ai suoi bordi, vede che alle liane, che prima hanno straziato come funi di ferro spinoso, succedono morbidi festoni che non sono più costrizione ma aiuto, e più ampi si fanno i passaggi, meno paurosi i sentieri, più sicura la via, più ampia, più luminosa, più calda, più serena nel suo continuo salire. In ultimo l’anima vola, non cammina più. Vola. Penetra come strale d’amore nella terra che si è conquistata. Il Cielo è suo.
   Ma quanta generosità è necessaria! Dare tutto, Maria. E non avere nulla. “Neppure tanto da posarvi il piede” (v. 5)424. Non pretendere nulla perché non prometto nulla quando dico: “Vieni”. Nulla di umano. Prometto il sovrumano eterno.
   Ecco cosa ti devi sforzare di capire e di accettare, e con te tutti i tuoi uguali per la mia elezione che vi consacra nel chiostro o nel mondo, e anche coloro che per esser migliori, pur non essendo i chiamati a vie di perfezione speciale, non essendo militi della perfezione consigliata e non imposta, si chiedono il perché non sia placida di benessere anche terreno la loro vita.
   Io non mento e non ho mai mentito. Io ho promesso e prometto di darvi la Vita e le cose inerenti alla Vita. Questo è necessario e questo vi do. Il resto è il superfluo perché è destinato a ciò che perisce. E ve lo do perché sono buono anche con il moscerino al quale concedo per letto il calice di una mentuccia montana e per cibo la microscopica goccia di miele che essa contiene. Così do a voi, perituri, le cose necessarie a ciò che perisce: cibo, vesti, dimora. Ma vi invito a tendere a ciò che è più alto: allo spirito e a ciò che è dello spirito.
   Chi più mi ama più mi comprenda. E proceda. Nudo, affamato, misero di ciò che è di questa giornata terrena, ma sazio, ricco, in veste regale di ciò che è del Giorno eterno.
   Va’ in pace.»

[422] comando, che è in Genesi 12, 1. Accanto alla data, la scrittrice mette il rinvio ad Atti Cap. 2 v. 3, ma sbagliando, perché il tema del “dettato” riguarda Atti 7, 2-3. L’errore involontario è confermato da lei stessa che, sulla Bibbia di cui si serviva, annota la data del presente “dettato” accanto ai primi versetti del capo 7 di Atti.
[423] Babele, con riferimento a Genesi 11, 1-9.
[424] (v. 5), messo dalla scrittrice, si riferisce ad Atti 7, 5, che sembra riprendere l’immagine di Genesi 8, 9.