MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MINORE

A A A

QUADERNI DEL 1944 CAPITOLO 382


10 agosto 1944

   Dice Gesù:
   «Sei andata molto vicino al vero ma non lo hai perfettamente raggiunto. Coloro che sono meco in Paradiso e che, per motivi imperscrutabili, hanno sulla Terra vissuto un’ora di inferno, come tu la chiami549, se ne ricordano, è vero. Ma non ne sentono l’amaro, non ne vedono il nero, non ne riceveranno più sussulti d’orrore nel ricordarla. Qui tutto è luce, dolcezza e pace. E nulla può annullarle, neppure il ricordo dei più atroci strazi subiti. Ma il ricordo resta. Non fa più male, ma vive. Esso è fomite ad una carità operante.
   Non dire mai più, mia piccola figlia, non dire mai più: “Se posso essere altrove, non mi vorrò più ricordare d’esser vissuta. Neppure uno sguardo avrò più per questa Terra dolorosa dove è tanto dolore e tanto male”. Tu, ragionando così, ragioni umanamente. Questo non lo devi fare. Io ti ho messa fuori dalla piccola cerchia meschina di ciò che è umano. Ti ho già messa nell’infinita e gioiosa libertà del soprannaturale. Spògliati con santa fretta e con ilare volontà da ogni residuo di umano. Sii “figlia di Dio” in maniera totale.
   Esser figlia di Dio in maniera totale vuol dire esserlo come lo si è in Cielo, ossia possedere un amore che supera ogni ostacolo di ricordo amaro, anzi, che dei ricordi amari fa pungolo per maggiore carità.
   Vedi, figlia. Quando si è qui, nel mio Paradiso, si possiede l’Amore, perché il Paradiso è il possesso eterno di Dio che è Amore. Possedendo l’Amore perfetto, lo spirito subisce una metamorfosi di perfezione che ne capovolge anche l’ultimo residuo di giustizia umana.
   Ha sofferto sulla Terra uno spirito? Appunto perché è conscio che sulla Terra si soffre, ha pietà della Terra e si dà ad una carità operante per pietà della Terra.
   Ha sofferto sulla Terra per causa degli uomini? Perché la Terra, per se stessa, è buona. Vi dà pane e lana, frutti e fuoco, non vi è nemica e crudele come lo è l’uomo. Ma appunto perché sa che sulla Terra sono gli uomini quelli che fanno soffrire e che soffrono, ecco che lo spirito indiato sente una santa volontà di agire a pro dei poveri fratelli in esilio. Tutti poveri. Coloro che soffrono e, più, coloro che fanno soffrire, perché si procurano una povertà eterna e un’eterna desolazione.
   I miei santi, dal seno beatifico della contemplazione, non cessano un momento di operare per voi che siete ancora raminghi nell’esilio, ed è una grande gioia per essi quando un mio sorriso ordina loro di venire fra voi a beneficarvi e a ricondurvi al Bene.
   Il Paradiso dei santi ha due facce. L’una guarda e si bea di Dio. L’altra è volta verso i poveri fratelli e non cesserà, questa vigile e amorosa carità, altro che quando l’ultimo uomo avrà finito di lottare sulla Terra. I santi pregano la mia Maestà perché conceda loro di venire a voi per aiutarvi.
   Vedi, figlia? Oggi550 il mio martire Lorenzo guarda con più amore che mai la povera Terra e i poveri uomini, perché, immerso come è nella Carità e nella Sapienza, vede in essa Terra e in essi uomini una delle due ragioni principali della sua eterna beatitudine, e vuole beneficarli per riconoscenza di essere stati per lui ragione di gloria. Anche [se] tu fossi nel luogo di temporanea espiazione, avresti questa carità operante. Perché le anime purganti non vedono ancora Dio, ma lo amano già come in Cielo e già hanno gli impulsi caritativi dei beati.
   Non dire, dunque, mai più di voler dimenticare la Terra. I miei figli non hanno mai un amore egocentrico, ma imitando il loro Signore irradiano come soli i loro raggi su buoni e malvagi per richiamarli tutti alla Luce.
   Questa lezione te l’ho voluta dare Io, Padre tuo, che ho tanto amato la Terra, di cui conoscevo tutti i misfatti passati e futuri, i misfatti commessi in essa dagli uomini, che mi sono strappato dal seno il mio Verbo per mandarlo a santificare la Terra. Il mio Pensiero sapeva che fra i misfatti futuri ci sarebbe stato il deicidio. Eppure ciò non ha posto freno al mio amore. Come non lo ha posto all’amorosa fretta del Verbo, né all’amorosa attività del Paraclito.
   Pensa da figlia di Dio, e la benedizione del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo sarà sempre su te.»
   Come dolcemente ha parlato il Padre santissimo! Una lezione che è stata tutta una carezza, detta con tanta e pacata maestà che, come lei può notare, meno la parola “indiato”, che ho scritto di nuovo perché avevo fatto uno sgorbio per un improvviso scarto della mano, non ho avuto da fare correzioni o aggiunte per esser rimasta indietro mentre la Voce dettava.
   Non dirò più neppure quella cosa, dunque, e da oggi penserò, e lo dico a denti stretti, di occuparmi della Terra quando l’avrò lasciata. Dài e dài, spero giungere a pensarlo senza fatica, e ciò se Dio mi aiuta…
   Quante cose che deve “non fare più” la povera Maria da quando è “portavoce”! Potrei dire che piano piano ho dovuto rinunciare ad ogni mio pensiero. Potrei dire che la parola base degli amorosi colloqui divini è: “Non fare questo per amore di Me”. Così sia, però, sempre. Mi basta che Egli mi tenga fra le braccia per impedire a Satana di seviziarmi coi ricordi…
   Più tardi dice Gesù (è proprio Lui, perché ne sento la carezza):
   «Nei momenti di pericolo e di burrasca un padrone di barca è sempre vigile al suo posto. Non si fida più dei suoi marinai, neppure di quello che sta al timone, neppure del marinaio scelto, preposto alla manovra delle vele. Prende la barra del timone fra le sue mani e dà ordini e sovraintende alle manovre delle vele. Perché sa che nessuno come lui, che ne è il padrone, può amare quella barca in cui egli ha messo le sue economie per averne pane per i figli e della quale ogni tavola, ogni chiodo, ogni cordame ha nome di un ricordo.
   Questo fu preso col sacrificio della sposa che volle negarsi una veste e un monile per fare più bella la navicella; quello è stato dato da quell’aspra fatica su nave straniera, lontano per tanto tempo dalla casa, fatica compiuta per averne larga mercede e raggiungere il sogno di possedere la barca più bella fra le barche del paese; su quella tavola fece i primi passi il primo dei suoi nati, sull’altra il vecchio padre pianse di gioia vedendo il figlio ormai padrone, e quelle lacrime sono state l’acqua lustrale del navicello… Quanti ricordi!
   Egli non vuole che la barca pericoli, perché le è troppo cara, amata come fosse la sua donna od il suo nato, come fosse una parte della sua casa… Veglia dunque su essa con vigile amore e nelle ore di pericolo non ne lascia un attimo la cura, perché non vuole vederla perire; neppure vuole vederla ferirsi, dando di cozzo contro gli scogli e le secche, o vederla disalberata, senza l’ala delle vele, perché una improvvida manovra le ha lasciate ghermire dagli artigli del vento di fortuna. Non vuole neppure che rallenti, con le vele flosce in una bonaccia sciroccosa, perché sa quanto infido è il mare e come la calma troppo fonda preluda ad una tempesta, appena fuori delle zone dove predominano le calme.
   Così fa il buon padrone. Ed Io non dovrei fare ugualmente con te? Guardati indietro e osserva se, ogni volta che per te si preparava la burrasca, o quando t’era sopra e ti sbatteva, Io non presi il tuo timone.
   Ora che hai l’occhio spirituale lucido e forte, tu puoi vedere tutta la tua vita nella sua verità, nelle sue verità: umane e soprumane. E in queste vedi la previdenza e l’amore del tuo Gesù brillare come una stella sulla vetta del tuo albero. Non ho lasciato che tu cercassi la Stella polare dell’uomo. Ma sono sceso. Mi sono messo a capo del tuo io, e col magnetismo della mia divinità, ben più forte di quello che piove dagli astri, ho sprigionato fluidi per domare gli eventi e per chiamare te a Me.
   Tu… tu per tanto tempo, fra le nebbie della tua umanità, hai preso quel lume di Stella per un lumicino qualunque che ti dava noia agli occhi col suo palpitare costante. Tu… tu fra le voci delle tue burrasche non hai saputo comprendere la Voce di quei palpiti. Ma Io ero ugualmente Io. E con dolcezza che ti assopiva o con violenza che ti prostrava, quando vedevo che tu correvi contro un pericolo, quale che sia, ti strappavo di mano timone e vele e li drizzavo Io verso l’aperto oceano del mio amore che ti voleva. Quando mi hai saputo vedere, tu eri già fuori dalle secche e dagli scogli. Non avevi che da veleggiare fidente verso il Sole.
   Guarda ancora. È bene ogni tanto voltarsi indietro per vedere le opere che sono altrettanti segni d’amore lasciati lungo il nostro cammino da chi ci ama. Guarda ancora. Anche a chi naviga su aperto mare può accadere tempesta. Essa non è soltanto verso le scogliere. E tu ne hai incontrate molte, e molte ne incontrerai. Ma sei mai perita? Mai. Perché? Perché Io sono con te. Permetto che tu le senta avvicinare, queste tempeste. Voglio anzi che tu conosca che esse stanno per venire, perché tu ti possa fortificare in anticipo ad affrontarle, e anche perché tu ne abbia un doppio merito, soffrendone anche in anticipo. Anche in questo, sorella-sposa, ti faccio simile a Me e a Maria. Noi conoscemmo molto in anticipo la nostra Passione… Permetto che esse vengano. Perché?
   Una creatura serafica ha scritto551: “Molte pagine della mia vita non saranno lette sulla Terra”. Non è solo Teresa di Lisieux che può dire così. Di tutte le anime, e specie delle privilegiate, si può dire senza mentire “che molte pagine della loro vita non saranno lette sulla Terra”. Sono le pagine dei segreti del Re.552 Degli imperscrutabili motivi della sua condotta verso le anime. Quando, tuffata nella Luce, potrai leggere le immortali pagine dei libri eterni, conoscerai il perché di certe tue ore.
   Permetto che vengano, queste burrasche. Atroci. Sì. Atroci, atrocissime. Lo riconosco, povera Maria, vittima dell’amore nostro: mio e tuo. Ma quando vengono, non mi limito neppur più a stare sull’alto dell’albero maestro, Stella scesa a spargere astrali influenze sul tuo cammino. Scendo ancora più giù. Ti vengo al fianco. Ti prendo – sì, Maria, è come tu vuoi – ti prendo la povera testa e il povero cuore fra le mani, e sulle ferite del cuore verso i balsami delle mie carezze e del sangue che goccia dai palmi trafitti, e ti chiudo occhi e orecchi con queste mani che ti amano per non farti vedere e udire gli aspetti e le voci terrificanti della burrasca.
   Non dire: “Ma in aprile553 mi hai lasciata sola”. Non lo dire. Quando un bambino malato delira, inutilmente il padre suo lo carezza e lo bacia e lo tiene fra le sue braccia, perché non si faccia del male e senta che non è solo. Il bambino malato non vede e comprende, e piange: “Papà, papà! Perché non vieni? Perché non mi aiuti?”. Finché la febbre dura, piange il bimbo e si angoscia il padre, l’uno di esser lasciato solo, l’altro di non poter farsi riconoscere.
   Questo è avvenuto nello scorso aprile fra Me e te. Il perché è uno dei misteri che saranno letti negli eterni libri. Ma pensalo, e credilo, e con te lo creda chi assisté al tuo tormento, credetelo tutti fermamente, che è un perché di “grande” amore. Ma tu mi eri fra le braccia. Ti dibattevi e mi chiamavi. Credevi di cozzare contro Satana e la malvagità umana. No. Ti erano ai fianchi. Ma tu urtavi contro Me. Me solo. Perché eri nel cerchio delle mie braccia e serrata contro il mio petto. Non stretta da Satana. Da Me. Credevi d’esser sola. Non udivi la mia voce. Ma Io ti parlavo fra i capelli. Tanto ho parlato al tuo supercosciente che esso si è calmato come un bambino sotto la ninna–nanna che lo culla.
   Sono il Gesù che ha calmato le tempeste554 sul lago di Galilea. Le ha calmate senza toccare barra e velame, col solo imperio del suo volere. Posso calmare la tempesta che rugge intorno ad un mio figlio tenendolo fra le braccia e comandando ai venti e alle onde di farsi quieti.
   Non temere, figlia. Non uscire dal cerchio delle mie braccia e poi non temere di nulla. Crollasse tutto il mondo intorno a te, Io non ti farei conoscere desolazione. Io verserò su te i “torrenti di pace e gioia” di cui parla555 Isaia. Rimanessi unica in un mondo vuoto, troveresti sempre “un seno che ti accoglie: il mio, che ti cullerebbe sulle sue ginocchia come su quelle di una madre”.
   Lo scorso anno, proprio in questi giorni, ti ho detto556: “Io ti sarò padre e madre e fratello e sposo”. Gesù non mente mai. Lo fui, lo sono e lo sarò. “Perché ti ho amata557 di un amore eterno e per questo ho continua benignità verso di te”.
   Vai sicura sotto i raggi della Stella del tuo amore: Io, Gesù.»
   Due ore dopo questo dettato, vengo presa da una crisi cardiaca molto forte e credo morire. Prostrata in essa, per morire guardando la Mamma e Gesù mi metto in grembo l’immagine di Maria Addolorata e quella del mio Gesù Crocifisso, quella dietro la quale ho scritto, nei giorni maledetti nei quali non potevo più pregare, 3 versetti del “Dies irae” e 4 dello “Stabat Mater”. Li leggo, li guardo, leggo anche il cartoncino su cui ho scritto le mie litanie alla Bontà di Dio, anche queste trascritte in quei giorni dai miei libri manoscritti di preghiera, per averle sempre davanti e riuscire a dire una parola a Dio.
   E mentre soffro e languo, penso e dico a Gesù: “Gesù, Tu dici bene. Ma io in quei giorni non ero più capace di dirti una parola. Neanche una!… Tanti giorni senza poterti dire che ti amavo!…”.
   E Gesù risponde, e lo scrivo, benché mi senta morire, perché è troppo bello questo fiore perché si perda:
   «Non importa. La preghiera è l’elevazione dell’anima a Dio. Perciò è il pensiero che l’anima ha verso Colui che essa ama. Quando si ama, si ama anche se non si può dire all’amato: “Io ti amo”. Tacciono le labbra perché lo spazio è fra i due e la voce non giunge, ma il cuore non tace.
   Hai cessato di amarmi in quei giorni? No. Anzi hai amato come non mai, perché hai continuato ad amare senza sentire corrispondenza dall’Amor tuo. E deliravi, pazza d’amore, non tanto per quello che ti affliggeva quanto perché non mi sentivi più. Era di questo che non sapevi darti pace… Quale nome vuoi allora dare a questo delirio che ti impediva di dirmi le note parole ma non ti impediva di anelare a Me? Quale se non “amore”? Amore il più perfetto che possa avere creatura. Amore per Me. Non per quello che poteva venire da Me. Per Me. Me solo. L’amore del tuo serafico Francesco: “Beato quegli che ama e non chiede essere amato”. Ama per amare.
   Perciò tu pregavi non con le labbra ma con la tua parte superiore, con la più perfetta. Sta’ in pace. Da quando mi ami non hai cessato un attimo di pregare perché non hai cessato un attimo di amare.»
   Che bella assoluzione! Gesù ne sia benedetto.

[549] come tu la chiami nello scritto del giorno prima. Come si vedrà, il “dettato” non è di Gesù ma del “Padre santissimo”.
[550] Oggi, 10 agosto, giorno in cui la Chiesa festeggia il martire Lorenzo, ricordato già nel secondo “dettato” del 16 marzo.
[551] ha scritto S. Teresa del Bambino Gesù nell’autobiografia, già ricordata in nota al 23 giugno.
[552] segreti del Re, di cui in Tobia 12, 7.
[553] in aprile, quando sono iniziati i quaranta giorni dell’abbandono da parte di Dio.
[554] ha calmato le tempeste, come in Matteo 8, 23-27; Marco 4, 35-41; Luca 8, 22-25.
[555] parla in Isaia 66, 12-13, che comprende la citazione che segue.
[556] ti ho detto il 12 agosto 1943.
[557] ti ho amata…, come è detto in Geremia 31, 3.