MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MINORE

A A A

QUADERNI DEL 1944 CAPITOLO 383


11 agosto 1944

   Ore 11

   Resto pensierosa per il discorso di una conoscente. Tutti vedono lunga e nera la situazione… ed io ho fretta di andare presso il mio Direttore.558
   Gesù mi dice: «Porta pazienza, portate pazienza. Ormai, per tutti, è questione di giorni.» Non dice altro. Non scrivo altro perché sono intenta a “vedere” e Gesù vuole che veda.

   Ore 12

   In una sosta del “vedere”, certo concessa per pietà di me, penso a come praticare le virtù di questo secondo venerdì del­l’Addolorata.
   Per la superbia e vanità, spero andare passabilmente benino dopo tante lezioni avute. L’ubbidienza alle ispirazioni va ancora meglio, perché è caso rarissimo quello di non aderire prontamente e totalmente all’ispirazione che sento venirmi da Dio. Ma per il distacco da tutto sono… indietro. È vero che Gesù ci ha pensato, al punto che non saprei più cosa dargli, perché mi ha levato tutto. Ma manca in me la serenità per la perdita di certe cose. Non rimpiango la salute, non la mia vita senza affetti… ma rimpiango la mia casa…
   Questi i pensieri che rimugino; e la dolce voce della Mamma mi dice:
   «Figlia, prima di salire con me al Calvario, mentre riposi la tua debolezza, ascolta la lezione della Mamma. Ti voglio insegnare la perfezione del distacco.
   Hai da dare al mio Gesù la cosa più preziosa. Ancora gliela devi dare. Più preziosa della vita, più cara degli affetti, più amata della casa. Non si può uccidere il ricordo… e non si può impedire la nostalgia. Basta però tenere ricordo e nostalgia intrisi di rassegnazione. Allora non sono imperfezioni. Sono meriti agli occhi di Dio. Spine che serriamo al cuore perché si ingemmino di lacrime e sangue e divengano monili da offrire al trono divino. Le ho avute anche io, e so.
   Ma io ti voglio insegnare la perfezione del distacco. Una per­fezione che non è evento unico, che superato più non si ripresenta. Ma è perfezione che si ripresenta cento e cento volte nella vita. Che dico? Durante un anno, un mese di vita. Pensa quale somma di grazie eterne che ce ne viene. È sapersi distaccare dal proprio modo di pensare umano.
   Il pensare umano di che è composto? Per metà da risentimenti, per un altro quarto da eccessiva sensibilità, e per l’altro quarto da egoismo. Un prossimo sfiora con una corolla o con una piuma? Oh! che al sensibilissimo io umano quello sfioramento è più che colpo di frusta, è più che punta di gladio che penetra e fruga!
   L’egoismo allora scatta: “Io sono re e non voglio offese di sor­ta. Io impero e non voglio resistenze al mio volere”. Ed ecco che fra sensibilità eccessiva ed egoismo spietato figliano i risenti­menti che non cadono, gli attaccamenti alle proprie idee.
   Ecco: “Si vis perfectu esse va, vende quae habe”, ha detto559 il Figlio mio. Ed io ti dico: se vuoi essere perfetta vieni, metti nella mia mano il tuo modo di pensare, l’attaccamento ad esso e soprattutto i risentimenti. Io li getterò sul rogo della Carità. Ti paiono di materia buona? Vedrai che non sono oro, ma strame che brucia e lascia cenere, cenere, cenere.
   Pensa da figlia di Dio. Lo vedi il Figlio mio? È sotto la croce e con la corona sul capo. Ma non pensa a Sé. Dice: “Figlie di Gerusalemme, non piangete su Me, ma sui vostri peccati”.
   Basta. Continua a seguirlo sino alla vetta.»
   Ed ecco un’altra cosa che la “povera Maria non deve fare560”.
   Ora posso scrivere ciò che ho visto. O per lo meno dire ciò che ho rivisto senza farne la particolareggiata descrizione, perché è già stata fatta a suo tempo561.
   Ieri sera volevo fare l’Ora di agonia al Getsemani perché era giovedì. E mi ero preparato vicino il quaderno in cui è quella che mi ha dettata Gesù il 6 luglio562. L’avrei letta alla mezzanotte, a lume di candela, perché non si può usare la luce elettrica. Ma alle 21, rimasta sola perché gli altri erano al [piano] terreno a cena, alla mia vista spirituale, che inutilmente si sforzava a vedere qualcosa del martire Lorenzo563 – lo avrei proprio desiderato e ci pensavo dalla mattina del 9 – è apparso Gesù fra gli apostoli per l’ormai a me nota via che dal Cenacolo va al Getsemani passando oltre il Cedron sul ponticello.
   L’inizio è in tutto uguale alla visione prima che ho avuto, in febbraio. E così prosegue. Soffro come allora nel vedere la tristezza prima solenne, poi agitata, poi accasciata di Gesù, nelle tre fasi della preghiera. Lo osservo attentamente. Conscia come sono del futuro della visione, sono più capace di notare i particolari più minuti dei gesti, degli abiti, delle sofferenze.
   Gesù sta in piedi a braccia aperte e con sufficiente calma nella prima parte della preghiera. Ma quando torna, dopo aver trovato i tre a dormire, è già meno calmo. Il suo volto è già mutato. Pare che delle rughe si siano incise ai lati del naso, e la bocca cade con piega triste mentre lo sguardo è sconfortato. Prega, prima in ginocchio poi in piedi, molto agitato nella seconda parte, andando e venendo, come chi smania. Quando ritorna dall’aver trovato i tre riaddormentati, è tanto sconfortato che va persino curvo, sotto il peso di una croce morale che lo schiaccia… l’indifferenza.
   Poi noto molto come cade col volto a terra e come, quando lo solleva, questo volto sia una maschera di sangue. Noto che l’angelo è proprio soltanto un chiarore sospeso su Lui e comprendo, per ammonizione interna, che l’angelo gli apparì come Gesù appare a me: allo spirito. Quella luce c’è per farmi capire quando Gesù ha il conforto angelico, immateriale.
   L’agonia di Gesù è sempre tragica. L’averla già veduta più volte non ne leva tragicità, ma anzi l’aumenta perché si ha sempre maggior agio di seguirla più la si conosce.
   Quando Gesù, svegliati i tre, va verso l’uscita del Getsemani per riunirsi agli altri otto e incontra Giuda e le guardie, rivedo lo sguardo di Gesù e odo le sue parole come in febbraio. Ma posso anche notare l’atteggiamento degli apostoli. Pietro è avanti a tutto il gruppo che è alla sinistra di Gesù.
   Il volto di Pietro è angosciato, spaurito e irritato insieme. Gli altri apostoli sono addossati alle sue spalle come un branchetto di pecore spaurite. Sono 22 occhi sbarrati e undici bocche socchiuse in undici visi resi pallidi dalla sorpresa, dal dolore e dal raggio di luna.
   Posso notare anche che Pietro e Matteo sono i due più bassi di statura, che l’onestà di Pietro appare limpidamente dal suo rude volto di popolano. Vedo anche quando il suo sangue popolano si scalda e gli fa fare un balzo da pantera e calare il fendente a Malco.
   Vedo anche che il gesto buono di Gesù, troppo mite secondo il desiderio e il concetto che di Lui si erano fatti i suoi seguaci, è quello che provoca la fuga generale. Devono aver pensato che era inutile combattere per un imbelle che, avendo potestà su tutto, anche sugli elementi, si lasciava prendere come una pecora da un pugno di mercenari, di plebei raffazzonati da soldati. Una grande delusione
   Poi ancora tutto uguale per la via.
   Nell’aula del Sinedrio ho modo di notare meglio ancora la faccia scimmiesca e furente di Caifas e la calma di Gesù. E poi il suo sguardo di dolore a Pietro che si scalda presso il fuoco. Il volto di Pietro, già rosso nello sforzo di mentire alla serva che lo interroga, diviene di porpora quando Gesù, passando sul marciapiede elevato del portico, lo guarda. Le fiamme del fuoco mi permettono vedere bene.
   Poi seguo Gesù nel suo andare e venire dal Pretorio a Erode e viceversa, e noto il suo sguardo quando incontra Giuda. Mi insegna a perdonare, quello sguardo… E seguo le interrogazioni di Pilato, seduto sulla sua sedia posta sulla predella sopraelevata. E quelle schernevoli di Erode, e poi l’atroce flagellazione… Per me è sempre uno dei punti più tormentosi a vedersi. Vedo come cade, afflosciandosi al suolo, sacco sanguinolento e vivo… Vedo lo sguardo sui soldati quando lo scherniscono avendolo mascherato da re. Par che dica: “Amatemi! Perché mi fate del male, a Me che vi amo?”.
   E poi l’Uomo presentato fuori dai tre gradini della dimora di Pilato. Gesù calmo e solenne di fronte alla folla ubbriaca, eretto nonostante debba avere le membra frante dai flagelli, pieno di maestà. E infine Pilato che si alza dalla sua sedia e, in piedi sulla predella, stende il braccio destro a palma in avanti e volto in basso, come uno che giura, e ordina: “Vada alla croce”, e poi: “Andate, soldati. Lo mando alla croce”. Lo dice in latino564 e credo capirlo.
   E l’andare di Gesù preceduto dai militi a cavallo e fiancheggiato dagli altri a piedi. Tutta una centuria per scortare un innocente! A meno che non lo fosse per proteggerlo da eccessi di sevizie, apparsi eccessi anche ai soldati di Roma!…
   E poi, e poi quello che non si può dire senza averne il cuore di nuovo spezzato: la Madre, la inchiodatura e l’agonia. La morte è infine sollievo. Quello che non si può sopportare è la sua sofferenza…
   Ecco. Ho scritto dietro comando di Gesù che ha voluto giungessi a descrivere la fine mentre la vedevo, alla sua giusta ora: sono le 15,15 dell’ora solare di oggi venerdì. La contemplazione nitidissima dura da ieri sera con degli intervalli non voluti e delle riprese non cercate.
   Le faccio osservare questo. Perché mi pare abbia importanza. Sono cose così extra la mia volontà che io non le posso né provocare, né allontanare, né renderle più chiare concentrandomi, né soffrirne meno divagandomi. Se è cosa che amo vedere e chiudo gli occhi del corpo e le orecchie per esser più concentrata, la perdo di vista magari o mi si offusca, mentre invece è netta, se Dio lo vuole, anche se io apparentemente faccio e guardo cose comuni. Solo mi si muta il viso e Paola565 talora se ne accorge. Il 2 c.m., per esempio, anche mio cugino Giuseppe disse: “Cosa hai? Hai il viso di uno che ha sonno e sei pallidissima”.
   Nelle pause ho avuto i due brevi dettati di Gesù e Maria. Ora è finito. Almeno per ora. Non so se più tardi vedrò, come tutti i venerdì sera, la Mamma piangere su Gesù nel Sepolcro.
   Il dettato di Maria è provocato da un mio pensiero di stamane. Pensavo che, posto che devo mostrarmi serena per non crucciare gli altri, sarebbe giusto che gli altri facessero altrettanto con me, mentre tutti vengono a mettere giù il loro fagottino o fagottone di sospiri e poi se ne vanno più lieti, loro sani, mentre io, malata e tanto triste, resto col mio e col loro peso di dolore, e avevo una grande voglia di dire: “Neh? amici! Teniamoci un poco tutti e ognuno per sé i nostri guai. Tanto…” e qui saltava fuori, anche se muto, il diavoletto del risentimento e del ricordo. Seconda tentazione: quella di rispondere per le rime a Marta dicendo: “Ho fatto fin qui il comodo altrui e con nessun pro e molto danno. Ora basta. Faccio il mio. Tanto…” e altra comparsa del suddetto diavolino.
   Ma la Mamma mi placa e mi dice che “non lo devo fare”. È il ritornello566 santo dei miei Maestri! A furia di non fare, Maria non esisterà più. Ma purché Essi mi aiutino e amino…
   [Seguono, con date del 12 e 13 agosto, i brani 11-14 del capitolo 174 e
   gli interi capitoli 183, 233 e 234 dell’opera L’EVANGELO]

[558] ho fretta di andare presso il mio Direttore, rimasto a Viareggio e del quale la scrittrice, sfollata a Sant’Andrea di Còmpito (nota al 24 aprile), sentiva la mancanza. Una visita di Padre Migliorini è ricordata l’11 luglio.
[559] ha detto in Matteo 19, 21; Marco 10, 21; Luca 18, 22. Come sempre, il latino di Maria Valtorta è approssimativo. Ripresa dall’antica volgata, la frase suona così: Si vis perfectus esse, vade, vende quae habes… La citazione successiva, riportata in italiano, è da Luca 23, 28.
[560] non deve fare, come scrive nel suo commento al primo “dettato” del 10 agosto.
[561] fatta a suo tempo, in data 11-12 febbraio.
[562] dettata… il 6 luglio, ma che non appartiene a questi quaderni, come spieghiamo in una nota in calce alla data del 6 luglio.
[563] martire Lorenzo, menzionato il 10 agosto, giorno della sua festa.
[564] latino, che Maria Valtorta non doveva aver studiato. Tuttavia vuole ugualmente mettere, in calce alla pagina autografa, le due frasi latine, che riportiamo così come le ha scritte. La prima: Ibis ad crucem. La seconda: Expedi crucem, o ad crucem. E aggiunge: Così dice Pilato.
[565] Paola, come ricordiamo ancora una volta, è Paola Belfanti, figlia di Giuseppe Belfanti, cugino della mamma della scrittrice, che parlerà di lui nello scritto del 14 agosto.
[566] ritornello, perché già detto il 10 agosto e ripetuto più sopra, in questo stesso giorno 11