MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MINORE

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QUADERNI DEL 1944 CAPITOLO 381


9 agosto 1944

   Dice Gesù:
   «Vieni, piccolo Giovanni. Come il piccolo Beniamino la cui visione546 ti è tanto piaciuta, metti la tua mano nella mia, ché Io ti conduca per i miei campi di grazie. Grazie per te e per gli altri. Doni e doni. Perché ogni cosa che Io ti svelo o ti dico è un grande dono.
   Tu non ne conosci neppure il valore. Non il valore spirituale. Quello per te è infinito. Il valore colturale, dico, storico, se più ti piace. Sono gemme di prezzo. Tu, come un bambino, te le trovi messe nelle mani e le ami per il loro colore variato, ma non sai dar loro altro valore di quello di dono e di bellezza e di prova del mio amore. Altri invece, più dotti di te, ma meno prediletti di te, te le osservano con ansia e con ansia te le chiedono, queste spirituali gemme che il tuo Gesù ti dona, e le osservano e le studiano e le valutano con maggior scienza della tua e, volesse la loro volontà che fosse, col tuo modo di amare. Ma ciò è più difficile per loro che sono complicati. Non ci sono che i pargoli che sanno amare semplicemente, schiettamente, puramente.
   Tu non sai che amare. Ma restami sempre così. Dilettati con le variegate gemme che Io ti dono e poi dàlle, generosa e lieta, a chi attende. Io ti riempirò sempre la manina di nuovi tesori. Non temere. Dài, dài. Il tuo Re ha forzieri inesausti per la gioia dei suoi piccoli.»
   E vedo quanto segue.
   [Segue il capitolo 629 dell’opera L’EVANGELO]
   La prima parte di quanto è in data di oggi è stata provocata dal fatto che io, per tutte le ore che fui sveglia nella notte, avevo pensato alle belle cose che Gesù mi rivela e gli dicevo: “Come sei buono con la povera Maria! Quante cose mi insegni! E che belle!”. Non dicevo certo parole sublimi. Parlavo proprio da bambina perché, ignorante come sono, non so infatti capire il valore storico delle cose che vedo e che scrivo, e me ne diletto perché sono soprannaturalmente belle e mi fanno vivere con Gesù o con gli amici di Gesù. Non per altro. E fa bene Gesù a farmi vivere così.
   Sembra che da quando lei è stato qui, ossia da un mese547, io sia più quieta e serena. No. Ho ubbidito al suo consiglio cercando di torcere lo sguardo dalla mia condizione di esiliata in [un] paese che non amo e non posso amare, cercando di non dire più una parola, né a me né agli altri, in merito. Cercando di distrarmi dal dolore che mi macina.
   Credo, se mi esamino con acuta osservazione e sincerità, di aver mancato con la parola solo tre volte e col pensiero meno ancora, perché tutte le volte che il cuore e la mente vanno alla mia casa, al bisogno di lei, Padre, ai ricordi di questi mesi – morte di papà, onomastico di mamma, genetliaco di papà, malattia della mamma, per cui posso dire che io l’ho perduta col 24 agosto, perché da quel giorno non l’ho più vista – io ne fuggo subito subito.
   Guardi. Solo domenica, 6 agosto, ho osato correggere il fascicolo548 che lei mi ha portato: dal 30 marzo al 26 maggio, fascicolo che porta perciò la disperata cronaca dei giorni maledetti. E ne ho sofferto indicibilmente. Lo sapevo che avrei sofferto. Sembra che sulle ferite del mio cuore questo studio di non stuzzicarle abbia steso un sottile velo di epidermide, per cui sembrano guarite. Non è così. Anzi la ferita, sotto il velo che non permette sfogo agli acri umori della ferita, sempre più lavora nel profondo e mi consuma. Io sola so come si sta spezzando il mio cuore. Reagire era uno sfogo. Non reagire è spezzarsi. Ma ubbidisco e mi spezzo.
   Non voglio per ubbidienza pensare, ricordare che Dio ha permesso che io conoscessi l’inferno. Ma quel ricordo è in me, anche a mia insaputa. E se lo spirito non lo vuole ricordare, lo ricorda la mente. E se questa si impone di non ricordare, lo grida il cuore. E se questo viene stritolato per farlo tacere, lo urla la carne. Quando si è vissuto l’inferno, non lo si dimentica più, neppure se si è in Paradiso. Io credo che quelli che per un motivo imperscrutabile hanno avuto sulla Terra questa tortura, fra la luce paradisiaca vedranno sempre un puntino nero: il loro inferno; fra la dolcezza paradisiaca sentiranno sempre una goccia di fiele: il loro inferno; fra la gioia paradisiaca saranno ogni tanto scossi da un sussulto di orrore per il ricordo del loro inferno.
   E dico a Gesù: “Non mi far pensare, Maestro e Amore mio. Tienimi la mia povera testa fra le tue care mani perché non veda, non senta, non ricordi il passato, le voci del passato, i ricordi del passato, e neppure veda le ombre del futuro… Non mi far pensare… non mi far pensare, Gesù mio. Pensare vuol dire riavere in bocca l’amaro della disperazione, della follia. Abbi pietà, Gesù buono!”. E mi appoggio al cuore della Mamma che dal 2 agosto è sempre a me vicina, Mamma amorosa che non si impone, ma che io ritrovo subito, non appena la cerco a rifugio.
   Però, se leggere la cronaca di quei giorni mi ha fatto male, le altre pagine mi hanno fatto tanto bene.
   Nel primo foglio – visione della morte della Maddalena – è detto: “Non vi è attesa per Maria”, e Gesù con una carezza mi ha sussurrato: “anche per la piccola Maria non c’è attesa”, e poi è detto: “Ti benedico, benedetta”. E Gesù a me: “Ti benedico, benedetta”.
   E ancora: “Non ci sono stato che Io che ho bevuto sino in fondo il calice senza temperarlo col miele, e quello che ho patito non voglio che voi lo soffriate”, e Gesù a me: “Credilo per te”.
   E oltre: “La nostra sofferenza deve esser tua”, e Gesù: “Vedi come ti amo? Ti accomuno al dolore mio e di mia Madre”.
   E più oltre dice Maria a Giovanni: “Egli (Gesù) non ha tenuto conto del tuo smarrimento”, e Gesù: “È vero. Non ho tenuto conto del tuo smarrimento dell’aprile. Sta’ in pace”.
   E il 9 aprile: “Ti chiedo la carità (di soffrire più ancora anche nel tempo pasquale) per le anime”. E Gesù: “Me l’hai data. Con dolore. Ma sei rimasta fedele. Grazie”.
   Non commento i disgraziati 20 giorni. Dico solo che, tanto essi che quelli non continui ma sparsi col loro spasimo fra le oasi di pietà divina, riletti ora, a distanza di tempo e fra le braccia di Gesù e Maria, mi sembrano ancora troppo dolci e moderati rispetto a quello che era la verità che io pativo. Non credevo che fra le strette di Satana io sapessi ancora rimanere fedele tanto.
   E come sono giusti i dettati di Gesù, i primi dopo la bufera! Giusti sempre, è naturale, ma questi giusti nel dire il mio tormento che solo Lui poteva con giustizia valutare.
   Non sono andata oltre al 12 maggio, perché correggo alla domenica quando non lavoro d’ago. Ma insomma ne ho avuto conforto misto a dolore. Conforto, però, più che dolore. E basta, perché ho le spalle rotte.

[546] visione del 7 marzo, inserita nel capitolo 352 (brani 5-9 e brano 18) dell’opera maggiore.
[547] da un mese, come si legge in data 11 luglio.
[548] il fascicolo, cioè la copia dattiloscritta del Padre Migliorini, come i fascicoli di cui si parla il 4 e 22 febbraio.