MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MINORE

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QUADERNI DEL 1944 CAPITOLO 388


19 agosto 1944

   Ieri era il terzo venerdì dell’Addolorata e ci ha pensato Gesù a farmelo fare. Per quanto io cercassi desolatamente, nella grande tristezza dei ricordi di questi giorni, Gesù, unica medicina delle mie tristezze, Egli non si è fatto trovare. Ed io sono rimasta schiacciata da questa solitudine. E lo sono tuttora, poiché Egli non si fa sentire coi suoi conforti anche muti. E appena sono sola sento di nuovo il gusto atroce del mio calice dell’aprile scorso.
   Alle mie tristezze Gesù risponde col 22° salmo del primo libro570 dei salmi. Me lo fa leggere e mi dice: “Vediti nella pecorella amata dal pastore. Io ho fatto per te tutto quanto nel salmo si dice”.
   Sì, è vero, e anche io posso dire: “Quanto è bello il mio calice inebriante!”. Anche nella sua amarezza è bello e inebria perché trovo sul suo orlo il sapore delle labbra del mio Gesù che vi ha bevuto prima di me. Il dolore è inebriante più della gioia, quando è il dolore di Cristo. Ed io posso dire che sono proprio ebbra di dolore perché è tanto acuto che, senza una pietà di Dio, mi farebbe uscir di ragione. Lo sforzo di continuare a sperare contro ogni possibilità di speranza è uno sforzo che logora.
   Eppure voglio dire, e dirlo credendolo fermamente: “La tua misericordia mi seguirà tutti i giorni della mia vita”, e sperare più ancora che non per molti anni, ma in eterno, abiterò con Te, Gesù. Ma spicciati a venire a prendermi… perché è troppo lunga questa passione per le povere forze mie.
   Dice Gesù:
   «Scrivi:
   “So, o Signore, che i giorni in cui mi fai piangere di più sono quelli in cui mi fai più guadagnare. Perciò grazie di farmi piangere.
   So, o Signore, che i giorni in cui mi fai soffrire di più sono quelli in cui mi fai più sollevare gli altrui dolori. Perciò grazie di farmi soffrire.
   So, o Signore, che i giorni in cui mi fai più spasimare perché ti nascondi, sono quelli in cui Tu vai ad un mio povero fratello che s’è perduto. Perciò grazie di questo spasimare.
   So, o Signore, che i giorni in cui lasci su me l’onda amara della desolazione, che sa già del sale della disperazione, sono quelli in cui io ti rendo ad un fratello disperato. Perciò grazie per quest’onda amara.
   So, o Signore, che le tenebre che mi fanno cieca, che la fame che mi fa languire, che la sete che mi fa morire, per Te, di Te, serve a ridarti – Luce, Fonte e Cibo – a chi muore di tutte le morti. Perciò grazie delle mie tenebre, della mia fame, della mia sete.
   So, o Signore, che le mie spirituali morti sulla tua croce sono risurrezioni ad altrettante morti alla tua croce. Perciò grazie di farmi morire.
   Perché io credo, Signore, che tutto quanto Tu mi fai è per mio bene, è per un fine di bene, è per la gloria di Dio: Bene supremo;
   perché io credo che ritroverò tutto questo quando il vederti mi smemorerà di tutto il dolore subìto;
   perché credo che la mia gioia sarà aumentata per ogni soffrire;
   perché credo che essa si ornerà dei nomi di coloro che io avrò salvati col mio soffrire;
   perché credo che per le ‘vittime’ non c’è Giustizia ma solo Amore;
   perché credo che il nostro incontro sarà sorriso, sarà bacio, il tuo bacio, Gesù-Amore, che mi rasciugherà ogni traccia di pianto;
   perché credo tutto questo, io ti ringrazio delle mie non numerabili spine e ti amo di moltiplicato amore.
   Tu mi hai dato non la parte di Maria, che è la migliore571, ma la tua stessa, che è la parte perfetta: il Dolore.
   Grazie, Gesù”.
   Questo devi dire, non con le labbra, ma con lo spirito persuaso di tale verità, che ti dice chi è Verità.
   Se per farti un eterno futuro più bello Io avessi conosciuto cosa meno penosa, l’avrei scelta per te, perché ti amo; ma non v’è. Te l’ho data, dunque, per un motivo d’infinito amore.
   Ogni lacrima versata con costante adesione ai voleri di Dio, ogni lacrima versata con amore per Chi te la chiede, ogni lacrima saputa offrire si ingemma del nome di un’opera o di una creatura che il piangente compie o porta a salvezza.
   Il pianto non è colpa. È tributo alla nostra condizione. Dico “nostra” perché il tuo Dio fu uomo e pianse, e Maria, l’esente dalle miserie per la sua immacolatezza, pianse perché, Corredentrice come era, dovette vivere il Dolore che pur non le spettava. Ha pianto l’Uomo e la Donna. Puoi piangere tu pure, anima stretta a Dio, ma non divina e non immacolata.
   L’essenziale è saper piangere senza rendere il pianto peccato, ossia senza acredine, e saperlo fare facendo del pianto una moneta per riscattare gli schiavi che Satana tiene legati alla sua galera.
   Salva, salva! E non temere. Dio è con te.»

[570] 22° salmo del primo libro, che nella neo-volgata corrisponde a Salmo 23 (dove si legge “Il mio calice trabocca” al posto di “Quanto è bello il mio calice inebriante” dell’antica volgata).
[571] la migliore, come è detto in Luca 10, 42.