MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MINORE

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QUADERNI DEL 1944 CAPITOLO 418


18 ottobre 1944

   Scrivo come posso alla luce del crepuscolo.
   È uscita ora una delle povere creature che contribuiscono a rendermi ancor più insopportabile questo luogo d’esilio. È uscita dopo aver sciorinato la sua… cultura. Mentre la udivo io pensavo a Te, Maestro mio, e alle tue lezioni, vere lezioni che educano ad un sapere che è pane allo spirito oltre che al pensiero. E… avevo nausea di quest’altra povera scienza che non ha sapore di Te. Non posso pregare perché penso ancora… e Tu mi porti a vedere.
   Ecco: io ti vedo, mio Dio incarnato, sfolgorante e maestoso, ritto nell’etere più puro. Sei solo. Non vedo che Te, glorioso nell’aspetto di Re del creato. Splende la veste di immateriale e perlifera materia, e più splende la tua Carne glorificata che è carne e luce insieme. O Bellezza sconosciuta a tanti che non si curano di agire in modo di conoscerti un giorno! O mia Bellezza che abolisci ogni mia pena col tuo mostrarti!
   Gesù non parla, ma mi invita con lo sguardo ad andare a Lui. Ed io vado. Lo spirito mio sale, aspirato dal suo desiderio, spinto dal mio, sino al mio Re.
   Ed Egli dice: «Guarda. Conosci. Confronta.» E con la mano luminosa, su cui è il rubino della piaga, accenna ad uno sconfinato orizzonte celeste. Sì. Perché io sono elevata oltre gli spazi, oltre stratosfera, nelle zone in cui non sono altro che astri ed etere. Non più nubi, non più polveri, non più venti. Ossia un vento vi è ancora: quello cantante, armonico, che si crea per il moto degli astri.
   Comprendo che Gesù, senza parole, mi vuole mostrare la “verità” di questo segno stellare. Oh! come è dissimile dal povero concetto che poco fa fu enunciato e da tutti quelli che sin qui ho conosciuto. Mi sforzo a dire.
   Astri formati vanno, quali rettilinei nella corsa come proiettili di cannone a zero, quali guizzanti come serpenti nell’azzurro, quali roteanti, oltre che correnti, sul loro asse, quali danzanti come festosi fanciulli sul prato etereo. Ad ogni moto la luce ha un palpito, quasi la gioia del moto e dell’ubbidienza alle leggi del Creatore desse maggior incandescenza al loro corpo ardente. Unico fisso, il sole, enorme globo di un oro fuso a topazi ardenti, metallo e gioielli che i nostri più belli sono sudici sassolini e opaco ottone, raggia la sua luce uguale. Pare una enorme e votiva lampada adorante la maestà di Dio.
   Quanti astri! Lo sguardo mi va, mi va, mi va… e dovunque astri e pianeti… Quante vite stellari sconosciute! Quanti fulgori ignoti! Quanti misteri di parole quassù! E di vite!
   Astri che si purificano nella loro corsa fulminea perdendo emanazione e scorie, le quali si fondono ad altre di altre stelle e creano nuclei di nuove vite, polveri d’astri che fanno una via di innumeri piccole vite, piccole rispetto ai pianeti, incalcolabilmente grandi rispetto al nulla che è un corpo d’uomo. E questa via, tutta luminosa, vera peschiera di stelle, lascia ogni tanto evadere una delle sue vite di luce, fiore che si abbandona al vento del firmamento, abbandonando l’aiuola natìa, e va a compiersi, per un processo che io non so spiegare, nutrendosi di sostanze che rapisce nell’andare… e una nuova stella è nata. O meglio: si è isolata per dire all’uomo che la scoprirà: “Io pure sono”. E altre stelle ancora in processo di formazione che vanno, con la scia della loro combustione e solidificazione come manto di fiamma o capigliatura disciolta e stesa dal vento dell’andare. E tutto questo in una prateria di un etereo azzurro in cui perde pregio la più pura turchese e il più prezioso zaffiro chiaro, tanto sono pallidi e opachi al confronto.
   Oh! luce dei campi del cielo! Oh! perché non so meglio dire queste congiunzioni, queste formazioni, queste disgregazioni, questo fermentare inesausto di vite, questa ubbidienza, bellezza, maestà del mondo stellare?
   Ma per quanto la luce di questo sconfinato giardino d’astri che è il firmamento sia quale mente di poeta o di scienziato non può neppure lontanamente pensare, ecco che Gesù fa un movimento.­ Non fa che abbandonare con lo sguardo le stelle per volgersi verso sinistra e indietro. Un ordine deve scoccare dal suo Pensiero, un desiderio. Ma io non odo parola. Un angelo viene velocissimo e si prostra adorando ai piedi del Salvatore. E Gesù mi dice: «Confronta questa luce a quelle luci». Non dice altro. Infatti l’angelo, ed è uno solo, splende più che non tutti gli astri insieme…