MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MINORE

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QUADERNI DEL 1944 CAPITOLO 438


29 novembre 1944

   Un poco di penosa cronaca. E sento il bisogno di dirle quanto potrà parerle puerile. Ma così non è per me che da anni so la veridicità dei miei sogni.
   Otto giorni or sono, 22-11, proprio la notte che precedeva la discesa a Lucca di Marta per sentire del permesso di autotrasporto, nel breve sonno dell'alba sogno di essere incamminata per Viareggio (a piedi) insieme a Marta e di incontrare per via Padre Pio, o un francescano, ma era Padre Pio1 per me, il quale mi guarda e dice come parlando a se stesso: "Però è amara! Aver fatto la bocca al ritorno e avere tanto ritardo!". Io mi volto e un poco risentita e emozionata dico: "Cosa? Cosa?". E lui: "Niente. Dicevo che è amaro aver fatto bocca al ritorno e avere tanto ritardo". Lo dice due volte e scompare.
   Mi sveglio affannata e dico a Marta: "Vedrai che non si fa nulla". Marta dice: "Ma no! Anzi Padre Pio le è venuto a dire che il ritardo è stato amaro, ma è finito". Ed io: "No, no. Vedrai che incomincia ora. Era troppo triste nel dire quelle parole. Mi compassionava".
   Marta va a Lucca… e sa che non si può partire fino a dopo il 30 per negati permessi. E uno!
   Passano due notti. Altro breve sonno e sogno, 24-11. Mi pare di scendere verso Viareggio seguendo, anzi precedendo il camion dei mobili. Ma ostacoli di ogni sorta ritardano il cammino. Il carro non può, infine, proseguire. A me viene contro un toro furente e mi salvo a stento rifugiandomi in una casa che è quella della Sig. Sacconi di Viareggio. La signora è stupita che io sia potuta passare da via Aurelia, perché dice "è sempre battuta dalle cannonate". Infatti si sente il cannone. Mi dice anche: "Non è prudente stare qui. Io ormai ci sono. Ma chi è via è bene resti via". E due!
 Passano altre due notti. Ieri notte, 27, mi sogno una sorella di Giuseppe, morta da più anni e mai sognata né da viva né da morta, benché fossi stata con lei due anni e le volessi bene. Nel sogno mi pareva che io fossi in attesa di Irma o Maria per partire con loro alla volta di Viareggio (le altre due sorelle viventi di Giuseppe2, ora a Vigevano e a Mirandola). Ma non viene né Irma né Maria. Vedo invece entrare la morta Amelide. Me ne stupisco e dico: "Tu qui? Aspettavo Irma o Maria per partire". Mi risponde: "Loro non possono venire. Io posso andare dove voglio. Tieni. Ti ho portato questi due pani perché ti faranno comodo. Devi ancora aspettare due tempi (marca molto il due)". E mi dà due pani di un mezzo chilo l'uno. Uno bello, intatto. L'altro come cincischiato e ammaccato. E tre!
   Questa notte poi!… 28-29. Ieri sera il sopore mi aveva atterrata, e con molta sofferenza, alle 17,30, per trarmene poi alle 20,30. Poi avevo sofferto e smaniato fino a quasi mezzanotte. Poi mi sono addormentata per svegliarmi che l'una era appena suonata. Mi pareva di decidermi a partire per Viareggio perché su Pontedera erano state lanciate bombe di grosso calibro e la zona era tutta insicura. Dritta presso la finestra di questa stanza, dicevo a Marta: "Insicure per insicure, andiamo a Viareggio. Almeno sarò in casa mia e avrò vicino P. Migliorini".
   Una voce d'uomo mi dice dalla porta: "Non ci puoi andare". Mi volto e vedo ritto sul limitare D. Giuseppe Giurlani, l'ex curato di S. Paolino, morto da più anni. Si avanza sorridendo, naturalissimo, e ripete: "Non ci puoi andare. Non lo permettono per le cannonate che spesseggiano e specie sulla tua zona. Picchiano quasi sempre nel rettangolo che va da piazza dell'Ospizio (della vasca) a via Aurelia coi lati lunghi fatti dalle vie Vespucci e Mazzini. Specie lì. Tu, col tuo cuore e nel tuo stato, non ci puoi andare. Ti ho voluto sempre bene perché eri una delle migliori parrocchiane e non voglio ti accada del male".
   "Ma dicono che sono piccoli proiettili che fanno poco danno!".
   "Eh! no. Ora sono calibri grossi e dove picchiano… fanno morti e rovine. Le ultime sono cadute proprio vicino alla tua casa. Nel triangolo fra il villino Andreotti (via Veneto, in fronte a via Raffaelli), la casa del Sanminiatelli (in fondo a via Leonardo da Vinci) e la casa Soccani (ancora in via Leonardo). Vuoi rovinare tutta la mobilia ora che hai speso tanto per salvarla?".
   "Ma Padre Migliorini mi scrive di andar sicura perché non c'è pericolo e altri mi dicono che sono cose di poca importanza".
   "Ti possono dire quello che vogliono. La verità è questa che dico io. Povera Maria! Fra tutti quelli che ti circondano non ce ne è uno che ti dirà la vera verità. Chi per un motivo, chi per un altro. Ma io non ho nessuno scopo. Ti voglio bene perché lo meriti e voglio difenderti. Dàmmi retta. Porta pazienza. Che ci vuoi fare? Ci sei stata tanto… stàcci ancora. E poi, già, non ti lasciano entrare. Il Governatore non vuole vittime umane". Mi benedice e scompare.
   Mi sveglio in pianto. E resto sotto questa impressione al punto che racconto, appena Marta si desta, il sogno a lei, poi al Sig. Lucarini alle 11, e a sua moglie alle 15.
   Viene alle 17 Enzo Lucarini da Lucca. Era andato per sollecitare il permesso del camion. Porta la notizia delle cannonate, con rovine e vittime, nella zona presso casa mia: via Vinci e Fratti, e dice che non ha fatto nulla perché persone serie, al disopra di ogni dubbio di esagerazione, lo hanno sconsigliato. Fra queste, P. Fantoni.
   Rimango mesta e sconfortata…
   … e alle 20 Marta mi dice della morte del D.r Lapi…3
   La notizia l'ha portata venerdì 24 il Dr. Winspaere, suo collega e amico, nelle cui braccia egli è morto. Il dottore ha detto di dirmelo con cautela dato il mio stato. Lui non ha avuto cuore di dirlo. È morto in Corsica, in un'imboscata il 26-10-43. Ventidue giorni dopo mia mamma…
   Si ricorda, Padre, quando le dicevo che non sarebbe passato senza pena il fatto di avermi dato dolore col trascurare mamma al punto di provocarne la fine, fra sofferenze ben gravi, per noncuranza nel diagnosticare e curare la frattura costale riportata da mamma il 5 dicembre 1942? In gennaio 1943 lui pure si ruppe una costola e da lì vennero punizioni (per essersi allontanato abusivamente dal suo posto) e tutto il resto: Corsica e morte…
   Avevo sempre pregato per lui, complesso di buono e di molto umano. Per lui, non fra i peggiori né come uomo né come medico. E più per il suo bambino che egli adorava e per la sua povera mamma che ha già perduto due figli nella guerra 15-18 e che nel suo Lamberto aveva ogni conforto. Ma da mesi lo sognavo (5 volte l'ho sognato) sempre così sofferente, giallo, vecchio, curvo, triste, che mi ero fatta certa della sua morte e del suo purgatorio (almeno speriamo sia Purgatorio). Ora pregherò per la sua pace.
   Mi spiace pensare che non lo vedrò più. Per me era come un fratello. In nove anni mi aveva curato con pazienza e amicizia. Vero anche: con utile. Ma chi sarebbe stato come lui? Quante volte si era messo fra me e mamma per calmare le sue paranoie che mi aggravavano! Anche solo 6 giorni prima di partire. E il suo astio per mamma era originato dal fatto che egli, medico, egli più di tutti, capiva che nel mio male almeno 6 parti su dieci dipendevano dalla tortura morale che fin dall'infanzia avevo subito per il carattere materno. Eppure io non volevo [che] egli la trascurasse, perché quella vita mi era cara. Un tormento che era il mio amore…
   Mi spiace anche che lei, Padre, con la sua lentezza, se lo sia fatto sfuggire senza interrogarlo su me e farsi rilasciare un certificato. Quale altro medico può farlo così esatto come avrebbe potuto Lapi, che veniva da nove anni tre e più volte al dì, e che sapeva tutto il corso del male, le sue forme, la mia pazienza, e per le sofferenze dei molti mali che mi straziano, e del contorno familiare e amico che avevo intorno, rovo fra le spine? Groviglio di rovi? Lapi sapeva tutto. E onesto come era, avrebbe potuto deporre esaurientemente.
   Ora è morto. E anche questa prova si è perduta, come quella di molta corrispondenza che lei mi ha lasciato distruggere, aspettando a dire che la desiderava quando era già bruciata. Molti dei miei amici sono morti. E sono tutte prove che mancano. Prove per coloro, però, ai quali le prove servono solo per provare la loro non fede.
   Basta… se no mi svengo. Sto tanto male.
           


   Padre Pio, già menzionato il 25 luglio.
           
   2 Giuseppe è, come sempre, il cugino Giuseppe Belfanti.
           
   3 D.r Lapi è Lamberto Lapi, per nove anni medico curante della scrittrice, morto in guerra. Maria Valtorta ne parla nell'Autobiografia, specialmente nella parte sesta.