MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MINORE

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QUADERNI DAL 1945 AL 1950 CAPITOLO 453


10 gennaio 945

   Una singolare visione mi si presenta appena mi sveglio.
   Vedo un lungo, stretto e basso stanzone, scuro. Una sola finestrella in uno dei lati stretti. In fondo, presso il lato opposto, una porticina a muro che, semiaperta come è, mostra un poverissimo corridoio appena appena rischiarato da un poco di luce che entra da qualche finestrino, che io però non vedo. Nello stanzone, che pare più un corridoio che una stanza, vi è una lunga tavola rustica: un'asse alta e piallata, senza altra tinta che quella naturale del legno divenuto scuro per lungo uso, sostenuta da quattro paia di gambe, pioli tondi messi ai due estremi e ad un quarto della tavola. Un grande Crocifisso alla parete.
   Seduti alla tavola sono sette francescani: S. Francesco, sempre macilento e pallido; frate Elia, bello, giovane, dagli occhi imperiosi e neri, capelli neri, ricci… ahi! una somiglianza molto brutta, nei tratti e nei modi soprattutto, con Giuda1. È anche alto. Poi frate Leone: giovane, non molto alto, dal viso buono e giocondo. Sono ai lati di Francesco. Dopo Leone, frate Masseo, un poco corpulento, anzianotto, pacato. Poi tre fraticelli che credo novizi o conversi: tacciono sempre, umili e impacciati, vestiti anche più poveramente dei quattro frati perché non hanno mantello. Mangiano, in piatti di stagno, verdure lessate e pane bigio. Mi paiono broccoli o cavoli neri.
   Frate Elia dice: "Buono questo pane! Ha un sapore speciale. Sembra un dolce. Non so…".
   Frate Masseo: "Un dolce, e anche è succoso come carne. Nutre. Ristora. È completo come un pasto intero".
   Frate Leone: "E la santa Ostia?! Mai ho sentito quel sapore in essa. Una levità incorporea che si è sciolta in dolcezza… Oh! una dolcezza di Paradiso!".
   "Vi farò conoscere colei che fa questo pane e queste ostie. Non la guardate all'aspetto: florida e allegra, cela sotto il sorriso semplice la sua austerità. Lei, conversa, fa il pane e cura la mensa delle suore. Ma io so, per sicura conoscenza, che in lei non scende che ben poco cibo, il più ripugnante e spregiato dalle altre. E se è scarso il cibo, ella lo lascia per le più deboli di corpo e di spirito, e alla sua fame e alla sua fatica non concede che ciò che è schifo per l'uomo… Giovanna Battista2 la dovremmo chiamare! In questo suo deserto di vera claustrata — deserto in sé, perché clausura è deserto sol se si vuole, ossia se in essa si sa viver col Solo — ella si ciba di cavallette e chiocciole strappate alle verdure dell'orto e arrostite alla fiamma del forno. E ride e canta, allegra come allodola libera. Eccola".
   I frati si volgono, tutti curiosi, verso la porticina socchiusa. Entra una bella, giovane (30 anni circa), robusta suora. Sorridente, posa sul tavolo una brocca d'acqua e una ciotola di legno. È vestita di un marrone ruggine, maniche ampie, veste dritta, sul davanti e sul dietro la pazienza scende sino a terra. Non vedo cordone che scenda. E non cintura, perché ha un mantelletto corto sino ai fianchi, tondo, serrato alla gola da un cavicchio di legno. In testa, le bende che le serrano la fronte coprendola sino alle ciglia e le fasciano le gote scendendo sotto alla pazienza. Sopra, il velo messo a cappa, nero. Bel viso roseo, rotondo, occhi neri, ridenti e vivaci, bei denti sani e robusti. Statura media, complessione robusta.
   "Ecco Suor Amata Diletta di Gesù" dice Francesco. E poi: "I miei compagni vorrebbero sapere che usi mettere nel tuo pane che è tanto buono e come fai le ostie per la santa Mensa. Diverse son da tutte".
 La suora ride e risponde pronta: "Me ne dà l'aroma il mio speziere".
   "Che aroma è?".
   "La Carità di Lui: Gesù, Signore, lo Sposo mio".
   Non vedo altro. Tutto cessa sul viso di Suor Amata Diletta di Gesù, che splende nel dire queste parole.
   Mentre ancora parla P. Migliorini3, avanti la Comunione, ecco il Maestro che parla anche Lui. È così imperioso che lascio in asso il Padre e mi occupo di Gesù. Detta:
   «Il tuo Superiore sono Io. Ti senti la mia Grazia in te? Ti senti Me nel tuo cuore, e che ti approvo? E allora? Non sono Io il Superiore dei superiori? La tua Clausura non sono Io? Sbarre e cancelli [non sono forse] l'amore tuo per Me e il mio per te?
   Vi è chi si impunta sulla durezza delle necessità? Perché questo? Per superbia ed egoismo. Oh! santa Umiltà che fu mia! Oh! santa Povertà che fu mia! Oh! santa Carità che sono Io!
   Per te che soffri ho dato una luce. Suor Amata Diletta di Gesù, che è tua più che dei francescani.»
   

   Ieri sera mi ha dettato Gesù per Suor Gabriella4:
   «Ave, Maria Gabriella di mia Madre. Né so saluto più dolce.
   La "parola d'oro"? Sì. La metto dove qualche cosa soffre. Qualche cosa di ancora umano… e che Io voglio abolire. Lo brucio perciò coll'oro acceso della mia Carità. Non essere solamente amati, ma temuti e non compresi, è la sorte che do a quelli che prediligo perché mi assomiglino di più e perché non amino che Me. Ogni affetto che si dà o che si riceve, umanamente si dà e si riceve, è come una molecola di impurità nell'amalgama di una verga d'oro.
   L'oro, tu dirai, non è mai puro. Va sempre unito ad altri metalli per poterlo lavorare. Lo so. Mettici dell'argento: del pianto. Mettici del platino: del dolore. Ma non ci mettere mai del rame: del rancore. Mai dello stagno: la stanchezza. Mai, mai, mai del ferro e del carbone: il desiderio di essere amata e quello di essere compresa. Lo sporcheresti il tuo oro.
   Quando sarai solo oro, platino e argento, tutti attirerai a te. Perché credi, Gabriella di Maria, che solo quando non si è più che una fiamma che arde per ardere, senza preoccuparsi di chi e neppure perché si arde, allora tutto si volge a guardare la luce. Perché? Perché quella luce che arde così, come il tuo Francesco diceva: "Senza desiderio di essere amato", riflette il Cielo e il Volto di Dio, si fonde col Fuoco che è Dio, ama ogni cosa in Dio, diviene perciò luminoso di Dio. Non è più un'anima che ama, è Dio che ama in un'anima. Io te lo posso dire: allora tutto converge a noi. Il "tutto" buono. Un poco meno il men buono. Meno ancora il malvagio. Ma sempre si volge stupito.
   Sei stanca? Eccomi. Io dico sempre: "Eccomi" quando c'è chi mi vuole. E Io solo che, anche se taccio, so, posso sollevare le stanchezze e assopire il dolore.
   La guida per fare, e fare bene? L'amore. Il mio Giovanni era giovane e ignorante, anche un poco zuccone come tu dici e pigro come gli orientali in genere. Ma capiva a volo perché amava tanto che l'amore sopperiva tutto quanto mancava. Non chiederti mai: "Ma potrò fare questo?". Se te lo ispiro è segno che lo puoi fare.
   Il resto te lo dirà l'Amore.
   Sta' con la mia pace. E dico ancora: vorresti che ti dicessi "vieni"? Ma Io ho camminato oggi, domani e domani ancora, per anni… e ho messo un passo dopo l'altro, colla Croce addosso, su, su, su… Guarda quante pedate… Guarda quanto Sangue…
   Cammina: oggi, domani e poi domani ancora… e le ultime ore saranno le più angosciose… Ma poi… poi nelle mani del tuo Gesù verrà a riposare il tuo spirito.»
 

   [Seguono, con date dall'11 al 15 gennaio 1945, i capitoli da 75 a 79 del­­l'opera L'EVANGELO]
           

   Giuda, cioè l'apostolo Giuda Iscariota come viene descritto nell'opera "L'Evangelo come mi è stato rivelato".
           
   2 Giovanna Battista è chiamata per la sua somiglianza con Giovanni Battista come è descritto in Marco 1, 2-8.
           
   3 P. Migliorini è padre Romualdo M. Migliorini (1884-1953), dell'Ordine dei Servi di Maria, direttore spirituale della scrittrice dal 1942 al 1946. Negli scritti dei "Quaderni" Maria Valtorta gli si rivolge come in forma epistolare dandogli del "lei". Viene spesso nominato come "il Padre".
           
   4 Suor Gabriella o Suor M. Gabriella, incontrata già nei "Quaderni del 1944" e che sarà ancora menzionata più volte, era la Superiora delle Stimmatine di Camaiore. Avrebbe dovuto fondare un istituto aperto ad accogliere le vocazioni religiose di donne dalla nascita illegittima. Uscita dalla Congregazione cui apparteneva, non riuscì a realizzare quella che doveva essere la sua missione. Il suo nome da secolare era Emma Federici.