MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MINORE

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QUADERNI DAL 1945 AL 1950 CAPITOLO 503


13 ottobre 1945

   Ieri sera, ore 23, mentre cercavo il sonno e il riposo, e tutti dormivano, mi appare Gesù, sempre come appare a me, in veste di lana bianca. Ha in mano, nella destra, un calice di metallo lungo e piuttosto stretto. Mi si accosta dal lato destro del letto. Sorride, ma mestamente. Però il suo sorriso mi incoraggia, perché capisco che non è mesto per me, ma anzi viene a me per avere un sollievo. Mi pone la mano sinistra sulla spalla sinistra e mi attira a Sé, mentre con la destra mi accosta il calice alle labbra dicendo: "Bevi". Il calice è colmo di un liquido che pare acqua pura. Lo intravvedo nell'attimo che Gesù me lo porge forzandomi a bere.
   Bevo. Che amarezza! Oh! non è certo il calice inebbriante del Giovedì pasquale1, colmo del vivo Sangue del mio Signore! Dolce, pastoso Sangue dal quale mai avrei staccato le labbra!… Questa è un'acqua di un'amarezza così disgustosa quale nessun medicamento la possiede. Morde la gola, lo stomaco, lo agita di disgusto, fa salire le lacrime agli occhi, perdura come un'arsione di acido bruciante.
   Gesù me ne fa bere solo un sorso… e poi scosta Lui il calice, e spiega: «Questo è il calice che Io ho bevuto nel Getsemani2. Ma Io l'ho bevuto tutto, fino in fondo, e sul fondo è più amaro. E questo è il calice che le colpe degli uomini giornalmente fanno colmo e poi tendono fino al Cielo perché Io ne beva sempre. Ma Io non posso più bere che l'Amore infinito. E allora, ecco, lo offro ai generosi, ai prediletti. Grazie di questo sorso! Ora vado da altre anime care. Ti benedico per il Padre, per Me e per l'eterno Amore.»
   E se ne va lasciandomi la bocca e lo stomaco arsi di tossico e l'anima colma di pace.
 

[Seguono il capitolo 301 e, con date dal 14 ottobre al 14 novembre 1945, i capitoli da 302 a 330 dell'opera L'EVANGELO]
           


      del Giovedì pasquale, di cui parla il 29-30 e il 31 marzo 1945.
           
      2 nel Getsemani, in Matteo 26, 39Marco 14, 36Luca 22, 42. L'amarezza del calice bevuto metaforicamente nel Getsemani è illustrata nell'opera "L'Evangelo" (capitolo 603, specialmente nei brani 6 e 7) e nel "dettato sublime", non scrit­to sui quaderni, richiamato il 6 luglio 1944.