MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MINORE

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QUADERNI DAL 1945 AL 1950 CAPITOLO 634


17 ottobre 1947

   Dice Gesù:
   «Ascolta e sia tua pace l'infinita Misericordia mia. Pace. Sempre. Non toccherai mai il limite di questa mia Misericordia perché è illimitata. Ma sappi anche questo, e ti sia parola di Sacerdote assolutore per le tue miserie delle quali ti accuori. Serve per te, ma anche per molti altri.
   Nel mio infinito amore per le anime ho industrie infinite per usare tutto ciò che le povere anime, o le anime già sulla via della perfezione, mi dànno, purché esse mi amino così come esse sono capaci con tutte se stesse, con le loro capacità e relatività che cercano sempre di aumentare. Non c'è santo, che pure ora è glorioso, che pur seguendo sulla Terra la via perfetta, non abbia messo nel suo oro delle parti di terriccio, anche se minime. Ebbene, Io ho preso anche queste parti di umanità pertinace di un giusto. Il mio amore se ne è servito, le ha lavorate, e da zavorra ne ha fatto cosa di utilità per altre anime.
   Sì. Mentre gli uomini si servono soltanto di ciò che è buono e utile ad un lavoro o interesse, e anche negli affetti amano solo le parti buone dell'amato, il mio amore si serve anche delle loro miserie. Prende e trasforma le cose più comuni della vita ordinaria di un'anima che lo ama, e delle azioni semplici fa azioni meritorie. E va oltre: si serve delle stesse loro miserie e debolezze, delle loro piccole bugie, talora, di quanto non è perfetto ma non nocivo al prossimo però – quelle miseriucce che un complesso di stimoli suscitano, paragonabili alle curiosità e vanterie imprudenti e scherzose di un fanciullino – e le adopera perché altre anime vengano sulla via buona, cosa questa che fa, della imperfezione commessa da un'anima irriflessiva o che ha ceduto un istante, un mezzo di bene per gli altri. Atto questo che sminuisce l'imperfezione e il debito verso la Giustizia che per esse imperfezioni l'anima contrae. E nel contempo fa sì che l'anima che le ha commesse aumenti il suo amore per Me con la riconoscenza verso la mia Misericordia che non le mortifica smentendole, ma anzi, quando vede che da una loro debolezza può venire una forza ad altri, le seconda.
   Il mio metodo d'amare e di salvare ha forme da Me solo usate e che pochi comprendono.
   È allora, quando mi valgo delle miserie delle anime per corroborare altre anime, che dico1 all'anima che le ha commesse: "Nessuno ti ha condannata?". E quando essa mi risponde: "Nessuno, Signore", Io dico: "E neppure Io ti condanno. Va' e non più peccare". Pronto a ripeterglielo 70 volte 7, perché le miserie di queste anime amanti generalmente scaturiscono da una malintesa volontà di portare altri ad amarmi, magari seguendo vie traverse, cosa questa di cui poi si dolgono.
   Ma non sapete, anime mie, che quando non c'è volontà di offendermi ma solo di onorarmi non si pecca? Ma non sapete, mie dolci anime, che l'umiltà di sentirsi incapaci, il pentimento di aver fatto male per voler fare bene il bene, l'amore che più forte fiammeggia in voi dopo una di queste… cadute di pargolo, mi dànno gloria e creano un bene alle anime più che se mai le aveste commesse? Sembra un paradosso. Ma è verità.
   Sta' in pace, sta' in pace. Il mio e il tuo amore ti lavano di ogni polvere che possa tentare di coprire il tuo oro: il tuo volere di amarmi con perfezione. Sta' in pace. E per l'Eucarestia che non ti fu portata prendi la mia Parola. Essa è nutrimento, vita, salute, gioia. Io sono che a te mi comunico con i miei infiniti mezzi. Ripòsati su Colui che ti ama.»
           

  
   dico, come in Giovanni 8, 10-11.