MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MINORE

A A A

QUADERNETTI CAPITOLO 695


28 giugno 1944

   Ricevo questa mattina un comando singolare che mi stupisce ma che non discuto. Devo fare tre copie uguali del motivo per cui ho finito a cedere venendo qui. 
   Dice la Voce: «Ciò perché le cose restino nella verità presso te e gli altri, posto che ti si accusa di incostanza e di insincerità, e tu, per l'amore che hai agli altri, non finisca a credere che il torto è solo tuo, come gli altri, per l'amore che hanno per loro stessi, non credano che solo tu hai torto. Non tacere oltre perciò. Per il Padre non occorre. Egli ha già tutto in forma esatta.» 
   Scrivo perciò. 
   Fin dal giorno 7 aprile, Venerdì Santo, ossia da quando P. Migliorini mi parlò di un sicuro sfollamento obbligatorio di Viareggio, notizia che mi tenni in cuore per far fare una Pasqua tranquilla a tutti, io scelsi per luogo di sfollamento il Camaiorese, e ciò allo scopo di non perdere del tutto l'aria marina, di non incorrere in una spesa per me eccessiva con un trasporto mobiglio molto lontano, e soprattutto di non allontanarmi dal Padre che già aveva il suo alloggio presso il dottore di Camaiore. E questo dissi anche al Padre. 
   Venuta la notizia a tutti, il 10 aprile, riconfermai al Padre la mia decisione e lo pregai di occuparsi per un alloggio per noi, non per me sola, perché l'affetto e la religione mi impedivano di dire ai parenti miei ospiti: «Io penso per me e voi andatevene». Maria non fa certe cose anche se questo le porta un disagio, una pena e una spesa più grave. 
   P. Migliorini credeva avere un alloggio alla Pieve, alloggio sufficiente per tutti, e venerdì 14 aprile, mentre Marta e Paola venivano qui a vedere, per misura di prudenza, così io volevo, se vi era un buco, nel caso non si trovasse altrove, Padre Pennoni andò alla Pieve. Ma nella villa del Sig. Graziani vi era tanto da accogliere me e Marta e il mio mobiglio. Nulla da fare perciò. 
   Padre Migliorini mi chiese se doveva cercare ancora e udito da me che «doveva cercare non solo alloggio ma anche un carro perché volevoandare nel Camaiorese, dato che a Compito non ci volevo venire per il clima e perché non mi ci sentivo sicura e anche per la spesa trasporto e, più forte di tutte, per la lontananza dal Padre», cercò presso le Mantellate, ospiti in una villa, presso le Domenicane, presso un suo conoscente. Le Mantellate non avevano che posto per me e Marta, neppure per il mobiglio. Le Domenicane per nessuno, il conoscente per me sola. 
   Intanto era venuta la infausta domenica in Albis. Paola nel pomeriggio esce con suo padre. Marta va da Reggiani per informarsi di come si può fare. Io sto con Anna. Poco prima avevo riconfermato al Padre l'intenzione fermissima di andare nel Camaiorese, avevo incaricato anche Ada Vassalle di cercare là. Compito era rimasto un estremo appiglio e io non ci volevo neppur pensare. 
   Rientrano Paola e Giuseppe. E Paola, perché è sempre lei quella che ha l'incarico di inghiottire e far inghiottire i rospi più odiosi, dice, con un'aria di impiccio e di funerale: «Senti, Maria. Abbiamo pensato che sarebbe meglio scegliere Compito. Anche dal punto di vista che là conosciamo i Competti, la Sig. Giulia ecc. ecc., e poi a Compito si starà quieti. Non si è [due parole illeggibili], strade ecc. e ci potrebbero aiutare per i rifornimenti ecc. ecc.». 
   Io rispondo subito, e mi ci riscaldo molto bene, che a Compito potevano mangiare sì e no loro perché per me latte, uova, agnello, coniglio, ricotta ecc. sono cibi nocivi. E lo avrebbero potuto fare se avessero trovato, perché ho sempre sentito da Marta, anche in tempi normali, della difficoltà di rifornimenti di Compito. Ora non faccio commenti perché mi stanco. Dico solo che i fatti hanno riconfermato il mio asserto su questo. Il resto verrà più tardi. 
   Faccio notare il paese a me nocivo per clima e pericoloso per avere mancanza di ciò che necessita ad un malato ecc. ecc. Tutte le ragioni spirituali, morali e fisiche per cui era da escludersi Compito se mi si voleva bene. Ma fu creduto un puntiglio. E dopo una discussione accesa termino dicendo: «Se poi ci volete andare, andiamoci pure. Ma ora e sempre mi sentirete dire che mi portate a morire in una galera». Avevo contro anche Anna, la quale strepitava che era bene andare là perché era un posto dove se magnava e se stava tranquilli... 
   P. Migliorini mi trova disperata la mattina dopo. Tanto disperata che va a piedi a Camaiore e insiste così pressantemente presso le Stimmatine che mi fa mettere a disposizione una camera per me e Marta e il salone del teatrino per il mobiglio.
   Sono sempre vissuta fra le Suore e non ho nessuna ripugnanza a viverci ancora. Non bisogna fraintendere quando dico: «Non ho voluto andare dalle Barbantini o averle intorno». Là era una casa di cura e le suore mi avrebbero voluto lavare, siringare ecc. ecc. Tutte cose che né da loro né da nessuno mi lascerò fare finché potrò. Non amo le mani d'altri sul mio corpo. Non volevo quelle di mia madre!... 
   Ma dalle Suore Stimmatine avrei avuto né più né meno ciò che ho ora. Una camera e Marta per quelle piccole cure che non posso fare da me. In compenso, essendo al terreno, su un bel giardino e con molte Suore, non avrei affogato me stessa nella desolazione della solitudine in cui affogo ora per tante ore al giorno. E avrei sempre avuto il Padre vicino. Non temevo di scandalizzare nessuno. 
   Avevo capito dal settembre che le Stimmatine conoscevano il mio stato speciale. Prudenti e ubbidienti, non mi avevano fatto domande. Neppure ora la Superiora me ne ha fatte, eppure sa che io so che lei conosce le mie facoltà. 
   Non temevo neppure che avrei disturbato con brutti sopori. Qui sto tornando al manicomio del 1935-36-37-38-39, 40-41. Ma ciò è perché troppe scosse ha continuamente il mio essere e tutte le cure del povero Lapi sono distrutte da queste alterazioni di cui molte: le compitesi almeno, mi si potevano risparmiare e sarebbe stato carità. Là sarei tornata subito in equilibrio dopo le scosse avute per l'abbandono della casa. Là sarebbe stato diverso. Prima di tutto perché Dio non avrebbe permesso che io turbassi [?] e mi vergognassi, secondo perché Padre Migliorini mi teneva l'anima così quieta che ogni dolore si placava vicino a lui, prova ne sia che da quando l'ho conosciuto non ho avuto più sopori deliranti. 
   Pensare che sono sola al mondo, senza papa, pensare a Mario perduto non era più cosa che mi sconvolgeva. Ora è di nuovo tutto con l'aggiunta di esser orfana anche della mamma e che forse non avrò più casa e non avrò più P. Migliorini. Ma sono sempre stata la stessa imbecille e lo sarò sino alla morte. 
   Quando ho saputo che per gli altri non ci sarebbe stato posto, poiché voglio loro bene e avrei voluto avere il loro bene per il più tempo possibile e, lo ripeto, non uso dire: «Andatevene che ho bisogno di pensare a me», con un dolore tale che mi ha finito di rovinare ho ceduto. 
   Ma non mi dica ora Giuseppe: «Noi si voleva andare a Roma». Ciò è bugia. Più e più volte a Paola, presente Marta e se questa è sincera e non scema lo deve dire, ho detto: «Se volete stare con me dovete rassegnarvi a sentirmi lamentare. Se no ognuno vada per conto suo e buona notte». Non ho mai costretto nessuno. Anche in gennaio, a Giuseppe che mi diceva che Anna a Viareggio aveva troppa paura ho detto: «Andate altrove». Giuseppe soltanto una sera, quando già era fissato alloggio, barrocci e camion per Compito, seccato della mia disperazione, che lui non ha mai capito, ha detto: «Sistemata che ti abbiamo, noi andiamo altrove». Al che io con Marta mi sono lamentata dicendo: «Perché non farlo prima? Mi confinano dove odio e dove mi sacrificai ad andare per causa loro e poi mi piantano. Bell'affetto, in verità!». 
   Sino al 5 giugno ho sempre sentito Anna dire: «Paola vorrebbe andare a Roma. Ma non si può perché la vita a Roma è troppo cara». Nessuna idea perciò di andare a Roma e tanto meno a Mirandola. E nessuna voglia di dire, dal primo momento: «Pensa a te sola che noi ce ne andiamo». Ciò per la verità. 
   Ormai le cose sono così e così restano. Perché io sono un pezzo di pietra e non avrei cuore, anche pensando che ne avrei un utile fisico, morale e spirituale, di pormi in salvo a Camaiore perdendo le tracce loro. Maria Valtorta non usa così. 
   Ma la verità va detta come è. Piaccia o non piaccia. 
   Spero che P. Migliorini non sia morto e non muoia. Egli può confermare che quanto dico è vero perché me l'ha udito dire a voce e l'ha deposto giorno per giorno tutto ciò per scritto. 
Questo ho ripetuto alla Superiora nelle due volte che è venuta costì come già le avevo detto nelle due volte che venne a Viareggio pregandomi di andare da lei. Oh! se ci Sarei andata! Ed, egoisticamente, quanto mi sarei risparmiato di sofferenze d'ogni genere, desolazioni, spese ecc. ecc! 
   E non è finita per me. Non è finita. 
   E vedo, dolore aggiunto agli altri, che non c'è più quella coesione fra noi che il mio affetto e il mio sacrificio meritava si conservasse. Anche questo lo devo dire. 
   E ho finito. Non so perché m'è stato imposto di scrivere ciò in triplice copia. 

[Il breve "dettato" che segue è stato trascritto su un quaderno in data 29 giugno e perciò si trova anche nel volume I quaderni del 1944.Nello stesso volume, alla data del 24 aprile, abbiamo messo una nota sullo sfollamento, che può far luce su fatti e persone di cui tratta il precedente scritto del 28 giugno 1944]. 

   Dice Gesù quando ho finito le tre copie uguali: «Per amore di ubbidienza e di verità. Sei stata molto castigata per non aver voluto seguire la voce interna e la parola del tuo Direttore. Ma se il castigo dura la colpa è stata annullata dalla causa stessa che ti aveva portato a fare resistenza. Hai agito per un motivo d'amore e l'amore copre il peccato e lo distrugge1. Però non farlo più. Sopra le voci di qualsiasi genere vi è la Mia e quella di chi parla in mio Nome, e quelle vanno sempre ascoltate. Hai agito da bambina sventata. Ma poiché sono giusto, calcolo le attenuanti e guardo il motivo di amore che, se anche umano, è sempre amore, e saprò trarre un bene anche da questo tuo sbaglio. Va' in pace».


   1 Pt, 4,8