MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

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Pubblicato il 10/04/2020

Via Crucis con le Rivelazioni a Maria Valtorta

   

Cari amici e amiche in Cristo Gesù, Vero ed unico Maestro e Salvatore nostro, finalmente abbiamo realizzato la Via Crucis delle 14 Stazioni tradizionali, parallelando le descrizioni evangeliche con quelle del 'Piccolo Giovanni', traendo dalle Fonti originali e ufficiali, e disponendo il tutto secondo uno stile coerente.
   Abbiamo preferito dare precedenza alle 'Condiderazioni e Pensieri' di Gesù nell'Opera; tuttavia, per chi volesse approfondire le descrizioni fattuali, si può rimandare all'intero Capitolo da quello riportato in calce nelle singole Stazioni.
   Le Immagini sono state tratte dal Libro dell'Editore 'Via Crucis'.
   In questo tempo di tenebre esteriori, che investe la società e il popolo di Dio con inusitata violenza e volontà disfattiva, il Signore ci copra della Sua Grazia, con la Sua 'Lezione continua', donandoci:
   la Fede nel 'Re dei Re, del Fedele e Verace', l'Eterno 'Vincitore della bestia e dei suoi servi e profeti' che 'giudica e combatte con Giustizia';
   la Speranza nel Suo Aiuto e nel Suo 'Amore di predilezione vi faccia fedeli contro ogni insidia' e 'bugiardo aspetto';
   la Carità materiale e spirituale, perché i fratelli trovino le mani tese ai bisogni, e la 'vostra voce dica le Mie Parole'.
   Sempre sotto il Manto della Mamma Celeste Corredentrice, nella Forza salvifica dell'Eterno Vincitore, nella Grazia del Padre e nella Luce dello Spirito Santo. Per sempre.
   Amen, Amen, Amen. 

VIA CRUCIS

V. Nel nome del Padre
e del Figlio e dello Spirito Santo.
R. Amen.

Preghiamo.
Guarda, Padre santo,
il sangue che sgorga dal costato trafitto del Salvatore;
guarda il sangue versato da tante vittime
dell'odio, della guerra, del terrorismo,
e concedi benigno che il corso degli eventi nel mondo
si svolga secondo la tua volontà nella giustizia e nella pace,
e la tua Chiesa si dedichi con serena fiducia
al tuo servizio e alla liberazione dell'uomo.
Per Cristo nostro Signore.
R . Amen.

I Stazione - Gesù è condannato a morte

V. Ti adoriamo Cristo e Ti benediciamo
R. Perché con la Tua Santa Croce hai redento il mondo.

Dal Vangelo secondo Marco. 15, 14-15

La folla gridò più forte: " Crocifiggilo! ".
E Pilato, volendo dare soddisfazione alla moltitudine,
rilasciò loro Barabba
e, dopo aver fatto flagellare Gesù ,
lo consegnò perché fosse crocifisso.

 

'L'Evangelo come mi è stato rivelato' di Maria Valtorta' Cap. 604

   [...] 34«Ponzio, la liberta di Claudia Procula chiede di entrare. Ha uno scritto per te».
   «Domine! Anche le donne ora! Venga».
   Entra una romana e si inginocchia porgendo una tavoletta cerata. Deve essere quella su cui Procula prega il marito di non condannare Gesù. La donna si ritira a ritroso mentre Pilato legge.
   «Mi si consiglia evitare il tuo omicidio. È vero che sei più di un aruspice? Mi fai paura».
   Gesù tace.
   «Ma non sai che ho potere di liberarti o di crocifiggerti?».
   «Nessun potere avresti, se non ti fosse dato dall'alto. Perciò, chi mi ha dato nelle tue mani è più colpevole di te».
   «Chi è? Il tuo Dio? Ho paura…».
   Gesù tace.
   Pilato è sulle spine. Vorrebbe e non vorrebbe. Teme il castigo di Dio, teme quello di Roma, teme le vendette giudee. Vince un momento la paura di Dio. Va sul davanti dell'atrio e tuona: «Non è colpevole».
   «Se lo dici, sei nemico di Cesare. Chi si fa re è suo nemico. Tu vuoi liberare il Nazzareno. Faremo sapere a Cesare questo».
   Pilato viene preso dalla paura dell'uomo.
   «Lo volete morto, insomma? E sia. Ma il sangue di questo giusto non sia sulle mie mani», e fattosi portare un catino si lava le mani alla presenza del popolo, che pare preso da frenesia mentre urla: «Su noi, su noi il suo sangue. Su noi ricada e sui nostri figli. Non lo temiamo. Alla croce! Alla croce!».
 35Ponzio Pilato torna sul tronetto, chiama il centurione Longino e uno schiavo. Dallo schiavo si fa portare una tavola su cui appoggia un cartello e vi fa scrivere: «Gesù Nazareno, Re dei Giu­dei». E lo mostra al popolo.
   «No. Non così. Non re dei Giudei. Ma che ha detto che sarebbe re dei Giudei», così urlano in molti.
   «Ciò che ho scritto, ho scritto», dice duro Pilato e, dritto in piedi, stende la mano a palma in avanti e volta in basso e ordina: «Vada alla croce. Soldato, va'. Prepara la croce». (Ibis ad crucem! I, miles, expedi crucem). E scende senza neppure più voltarsi verso la folla in tumulto, né verso il pallido Condannato. Esce dall'atrio…
   Gesù resta al centro di esso, sotto la guardia dei soldati, in attesa della croce.    

   10 marzo 1944. Venerdì. 

  36Dice Gesù:
   «Ti voglio far meditare il punto che si riferisce ai miei incontri con Pilato.
   Giovanni, che essendo stato quasi sempre presente, o per lo meno molto prossimo, è il testimone e narratore più esatto, racconta come, uscito dalla casa di Caifa, Io fui portato al Pretorio. E specifica "di mattina presto". Infatti, lo hai visto, il giorno si iniziava appena. Specifica anche: "essi (i giudei) non entrarono per non contaminarsi e poter mangiare la Pasqua".
   Ipocriti come sempre, essi trovavano pericolo di contaminarsi nel calpestare la polvere della casa di un gentile, ma non trovavano peccato uccidere un Innocente e, coll'animo soddisfatto del delitto compiuto, poterono gustare meglio ancora la Pasqua. Hanno anche ora molti seguaci. Tutti quelli che nel­l'interno agiscono male e all'esterno professano rispetto alla religione e amore a Dio, sono simili a questi. Formule, formule e non religione vera! Mi fanno ripugnanza e sdegno.
   Non entrando i giudei da Pilato, uscì Pilato per udire che avesse la turba vociferante e, esperto come era nel governo e nel giudizio, con un solo sguardo comprese che il reo non ero Io, ma quel popolo ubbriaco di odio. L'incontro dei nostri sguardi fu una reciproca lettura dei nostri cuori. Io giudicai l'uomo per quel che era. Egli giudicò Me per quel che ero. In Me venne per lui della pietà perché era un uomo debole. Ed in lui venne per Me della pietà perché ero un innocente. Cercò di salvarmi dal primo momento. E, dato che unicamente a Roma era deferito e riserbato il diritto di esercitare giustizia verso i malfattori, tentò di salvarmi dicendo: "Giudicatelo secondo la vostra legge".
 37Ipocriti per la seconda volta, i giudei non vollero dare condanna. Vero che Roma aveva diritto di giustizia, ma quando, ad esempio, Stefano venne lapidato, Roma imperava tuttora su Gerusalemme ed essi, ciononostante, definirono e consumarono giudizio e supplizio senza curarsi di Roma. Per Me, di cui avevano non amore ma odio e paura — non mi volevano credere Messia, ma non volevano uccidermi materialmente nel dubbio lo fossi — agirono in maniera diversa e mi accusarono come sobillatore contro la potenza di Roma (voi direste: "ribelle") per ottenere che Roma mi giudicasse.
   Nella loro aula infame, e più volte nei tre anni del mio ministero, mi avevano accusato d'esser bestemmiatore e falso profeta, e come tale avrei dovuto esser da essi lapidato o comunque ucciso. Ma ora, per non compiere materialmente il delitto di cui sentono per istinto che sarebbero puniti, lo fanno compiere a Roma accusandomi d'esser malfattore e ribelle.
   Nulla di più facile, quando le folle sono pervertite ed i capi insatanassati, di accusare un innocente per sfogare la loro libidine di ferocia e di usurpazione, e levare di mezzo chi rappresenta un ostacolo e un giudizio. Siamo tornati ai tempi di allora. Il mondo ogni tanto, dopo una incubazione di idee perverse, esplode in queste manifestazioni di pervertimento. Come una immensa gestante, la folla, dopo aver nutrito nel suo seno con dottrine da fiera il suo mostro, lo partorisce perché divori. Divori per primi i migliori e poi divori se stessa.
 38Pilato rientra nel Pretorio e mi chiama vicino. E mi interroga.
   Egli aveva già sentito parlare di Me. Fra i suoi centurioni c'erano alcuni che ripetevano il mio Nome con amore riconoscente, con le lacrime agli occhi e il sorriso nel cuore, e parlavano di Me come di un benefattore. Nei loro rapporti al Pretore, interrogati su questo Profeta che attirava a Sé le folle e predicava una dottrina nuova in cui si parlava di un regno strano, inconcepibile a mente pagana, essi avevano sempre risposto che ero un mite, un buono che non cercavo onori di questa Terra e che inculcavo e praticavo il rispetto e l'ubbidienza verso coloro che sono le autorità. Più sinceri degli israeliti, essi vedevano e deponevano la verità.
   La scorsa domenica egli, attratto dal clamore della folla, si era affacciato sulla via ed aveva visto passare su un'asinella un uomo disarmato, benedicente, circondato da bimbi e da donne. Aveva compreso che non poteva certo essere in quell'uomo un pericolo per Roma.
   Vuol dunque sapere se Io sono re. Nel suo ironico scetticismo pagano, voleva ridere un poco su questa regalità che cavalca un asino, che ha per cortigiani dei bambini scalzi, delle donne sorridenti, degli uomini del popolo, di questa regalità che da tre anni predica di non avere attrazioni per le ricchezze ed il potere e che non parla di altre conquiste fuorché quelle dello spirito e di anima. Che è l'anima per un pagano? Neppure i suoi dèi hanno un'anima. E la può avere l'uomo? Anche ora questo re senza corona, senza reggia, senza corte, senza soldati, gli ripete che il suo regno non è di questo mondo. Tanto vero che nessun ministro e nessuna milizia insorge a difendere il suo re ed a strapparlo ai nemici.
   Pilato, seduto sul suo seggio, mi scruta, perché Io sono un enigma per lui. Sgomberasse l'anima dalle sollecitudini umane, dalla superbia della carica, dall'errore del paganesimo, comprenderebbe subito Chi sono. Ma come può la luce penetrare dove troppe cose occludono le aperture perché la luce entri?
 39Sempre così, figli. Anche ora. Come può entrare Dio e la sua luce là dove non c'è più spazio per loro, e le porte e finestre sono sbarrate e difese dalla superbia, dall'umanità, dal vizio, dall'usura, da tante, tante guardie al servizio di Satana contro Dio?
   Pilato non può capire quale sia il mio regno. E, quel che è doloroso, non chiede che Io glielo spieghi. Al mio invito perché egli conosca la Verità, egli, l'indomabile pagano, risponde: «Che cosa è la verità?», e lascia cadere con una alzata di spalle la questione.
   Oh! figli, figli miei! Oh! miei Pilati di ora! Anche voi, come Ponzio Pilato, lasciate cadere con una alzata di spalle le questioni più vitali. Vi sembrano cose inutili, sorpassate. Cosa è la Verità? Denaro? No. Donne? No. Potere? No. Salute fisica? No. Gloria umana? No. E allora si lasci perdere. Non merita che si corra dietro ad una chimera. Denaro, donne, potere, buona salute, comodi, onori, queste sono cose concrete, utili, da amarsi e raggiungersi a qualunque scopo. Voi ragionate così. E, peggio di Esaù, barattate i beni eterni per un cibo grossolano che vi nuoce nella salute fisica e che vi nuoce per la salute eterna. Perché non persistete a chiedere: "Cosa è la verità"? Essa, la Verità, non chiede che di farsi conoscere, per istruirvi su di essa. Vi sta davanti come a Pilato e vi guarda con occhi di amore supplicante, implorandovi: "Interrogami. Ti istruirò".
    Vedi come guardo Pilato? Ugualmente guardo voi tutti così. E, se ho sguardo di sereno amore per chi mi ama e chiede le mie parole, ho sguardi di accorato amore per chi non mi ama, non mi cerca, non mi ascolta. Ma amore, sempre amore, perché l'Amore è la mia natura.
 40Pilato mi lascia dove sono, senza interrogare di più, e va dai malvagi che hanno la voce più grossa e che si impongono con la loro violenza. E li ascolta, questo sciagurato che non ha ascoltato Me e che ha respinto con una scrollata di spalle il mio invito a conoscere la Verità. Ascolta la Menzogna. L'idolatria, quale che sia la sua forma, è sempre portata a venerare ed accettare la Menzogna, quale che sia. E la Menzogna, accettata da un debole, porta il debole al delitto.
   Pure Pilato, sulle soglie del delitto, mi vuole salvare ancora e una e due volte. È qui che mi manda a Erode. Sa bene che il re astuto, che barcamena fra Roma e il suo popolo, agirà in modo da non ledere Roma e da non urtare il popolo ebreo. Ma, come tutti i deboli, allontana di qualche ora la decisione che non si sente di prendere, sperando che la sommossa plebea si calmi.
   Io ho detto: "Il vostro linguaggio sia: sì, sì; no, no". Ma egli non l'ha sentito o, se qualcuno glielo ha ripetuto, ha fatto la solita alzata di spalle. Per vincere nel mondo, per avere onori e lucro, occorre saper fare del sì un no, o del no un sì, a seconda che il buon senso (leggi: senso umano) consigli.
   Quanti, quanti Pilati che ha il ventesimo secolo! Dove sono gli eroi del cristianesimo che dicevano , costantemente  alla Verità e per la Verità, e no, costantemente no per la Menzogna? Dove sono gli eroi che sanno affrontare il pericolo e gli eventi con fortezza d'acciaio e con serena prontezza e non dilazionano, perché il Bene va subito compiuto e il Male subito fuggito senza "ma" e senza "se"?
 41Al mio ritorno da Erode, ecco la nuova transazione di Pilato: la flagellazione. E che sperava? Non sapeva che la folla è la belva che, quando comincia a vedere il sangue, inferocisce? Ma dovevo esser franto per espiare i vostri peccati di carne. E vengo franto. Non ho più un brano del mio corpo che non sia percosso. Sono l'Uomo di cui parla Isaia. E al supplizio ordinato si aggiunge quello non ordinato, ma creato dalla crudeltà umana, delle spine.
   Lo vedete, uomini, il vostro Salvatore, il vostro Re, coronato di dolore per liberarvi il capo da tante colpe che vi fermentano? Non pensate quale dolore ha subito la mia testa innocente per pagare per voi, per i vostri sempre più atroci peccati di pensiero che si tramutano in azione? Voi, che vi offendete anche quando non c'è motivo di farlo, guardate al Re offeso, ed è Dio, col suo ironico manto di porpora lacera, con lo scettro di canna e la corona di spine. È già morente e lo schiaffeggiano ancora con le mani e con gli scherni. Né ve ne muovete a pietà. Come i giudei, continuate a mostrarmi i pugni, a gridare: "Via, via, non abbiamo altro dio che Cesare", o idolatri che non adorate Dio, ma voi stessi e chi fra voi è più prepotente. Non volete il Figlio di Dio. Per i vostri delitti non vi dà aiuto. Più servizievole è Satana. Volete perciò Satana. Del Figlio di Dio avete paura. Come Pilato. E quando lo sentite incombere su voi con la sua potenza, agitarsi in voi con la voce della coscienza che vi rimprovera in suo nome, chiedete come Pilato: "Chi sei?".
   Chi sono lo sapete. Anche quelli che mi negano sanno che sono e Chi sono. Non mentite. Venti secoli stanno intorno a Me e vi illustrano Chi sono e vi istruiscono sui miei prodigi. È più perdonabile Pilato. Non voi, che avete un retaggio di venti secoli di cristianesimo per sorreggere la vostra fede o per inculcarvela, e non ne volete sapere. Eppure con Pilato fui più severo che con voi. Non risposi. Con voi parlo. E, ciononostante, non riesco a persuadervi che sono Io, che mi dovete adorazione e ubbidienza.
   Anche ora mi accusate di esser Io stesso la rovina di Me in voi, perché non vi ascolto. Dite di perdere la fede per questo. Oh! mentitori! Dove l'avete la fede? Dove è il vostro amore? Quando mai pregate e vivete con amore e fede? Siete dei grandi? Ricordatevi che tali siete perché Io lo permetto. Siete degli anonimi fra la folla? Ricordatevi che non vi è altro Dio che Io. Niuno è da più di Me e avanti di Me. Datemi dunque quel culto d'amore che mi spetta ed Io vi ascolterò, perché non sarete più dei bastardi ma dei figli di Dio.
 42Ed ecco l'ultimo tentativo di Pilato per salvarmi la vita, dato che la potessi salvare dopo la spietata e illimitata flagellazione. Mi presenta alla folla: "Ecco l'Uomo!". A lui faccio umanamente pietà. Spera nella pietà collettiva. Ma, davanti alla durezza che resiste ed alla minaccia che avanza, non sa compiere un atto soprannaturalmente giusto, e perciò buono, e dire: "Io libero costui perché è innocente. Voi siete dei colpevoli e, se non vi disperdete, conoscerete il rigore di Roma". Questo doveva dire se era un giusto, senza calcolare il futuro male che gliene sarebbe venuto.
   Pilato è un falso buono. Buono è Longino che, meno potente del Pretore e meno difeso, in mezzo alla via, circondato da pochi soldati e da una moltitudine nemica, osa difendermi, aiutarmi, concedermi di riposare, di confortarmi con le donne pietose, di esser soccorso dal Cireneo e infine di avere la Mamma ai piedi della Croce. Quello fu un eroe della giustizia e divenne per questo un eroe di Cristo.
   Sappiatelo, o uomini che vi preoccupate unicamente del vostro bene materiale, che anche ai sensi di questo il vostro Dio interviene quando vi vede fedeli alla giustizia che è emanazione di Dio. Io premio sempre chi agisce con rettezza. Io difendo chi mi difende. Io lo amo e soccorro. Sono sempre Quello che ha detto: "Chi darà un bicchier d'acqua in mio nome avrà ricompensa". A chi mi dà amore, acqua che disseta il mio labbro di Martire divino, Io do Me stesso, ossia protezione e benedizio­ne».

Santa Madre, deh voi fate che le piaghe del Signore siano impresse nel mio cuore.
Pater, Ave, Gloria

II Stazione - Gesù si è caricato della Croce

V. Ti adoriamo Cristo e Ti benediciamo 
R. Perché con la Tua Santa Croce hai redento il mondo.

Dal Vangelo secondo Marco. 15, 20

Dopo averlo schernito,
lo spogliarono della porpora
e gli rimisero le sue vesti,
poi lo condussero fuori
per crocifiggerlo.

'L'Evangelo come mi è stato rivelato' di Maria Valtorta' Cap. 608

1 Passa qualche tempo così, non più di una mezz'ora, forse anche meno. Poi Longino, incaricato di presiedere all'esecuzione, dà i suoi ordini.
   Ma prima che Gesù sia condotto fuori, nella via, per ricevere la croce e mettersi in moto, Longino, che lo ha guardato due o tre volte, con una curiosità che si tinge già di compassione e con l'occhio pratico di chi non è nuovo a certe cose, si accosta a Gesù con un soldato e gli offre un ristoro: una coppa di vino, credo. Perché mesce da una vera borraccia militare un liquido di un biondo-roseo chiaro. «Ti farà bene. Devi avere sete. E fuori c'è sole. E lunga è la via».
   Ma Gesù risponde: «Dio ti compensi della tua pietà. Ma non te ne privare».
   «Ma io sono sano e forte… Tu… Non mi privo… E poi… volentieri lo farei, se fosse, per darti un conforto… Un sorso… per mostrarmi che non odi i pagani».
   Gesù non ricusa più e beve un sorso della bevanda. Ha le mani già slegate, come non ha più canna né clamide, e lo può fare da Sé. E poi rifiuta, nonostante la bevanda fresca e buona dovrebbe essere di un grande ristoro alla febbre che già si manifesta nelle striature rosse che si accendono sulle sue guance pallide e nelle labbra asciutte, screpolate.
   «Prendi, prendi. È acqua e miele. Sostiene. Disseta… Mi fai pietà… sì… pietà… Non eri Tu da uccidere fra gli ebrei… Mah!… Io non ti odio… e cercherò di farti soffrire solo il necessario».
  Ma Gesù non torna a bere… Ha veramente sete… La tremenda sete degli svenati e dei febbrili… Sa che non è bevanda narcotizzata e berrebbe volentieri. Ma non vuole soffrire meno. Ma io comprendo, come comprendo questo che dico per luce interna, che ancora più che l'acqua melata gli è di ristoro la pietà del romano.
   «Dio ti renda in benedizione questo sollievo», dice poi. E ha ancora un sorriso… uno straziante sorriso con la bocca enfiata, ferita, che si piega a fatica, anche perché fra il naso e lo zigomo destro sta enfiando fortemente la forte contusione della bastonata presa nel cortile interno dopo la flagellazione.
 2 Sopraggiungono i due ladroni, inquadrati da una decuria per uno di armati.
   È l'ora di andare. Longino dà gli ultimi ordini.
   Una centuria si dispone in due file distanti un tre metri l'una dall'altra ed esce così nella piazza, su cui un'altra centuria ha formato un quadrato per respingere la folla acciò non ostacoli il corteo. Sulla piazzetta sono già degli uomini a cavallo: una decuria di cavalleria con un giovane graduato che la comanda e con le insegne. Un soldato a piedi tiene per la briglia il morello del centurione. Longino monta in sella e va al suo posto, davanti un due metri dagli undici a cavallo.
   Portano le croci. Quelle dei due ladroni sono più corte. Quella di Gesù molto più lunga. Io dico che l'asta verticale non lo è meno di un quattro metri.
   Io la vedo portata già formata. Ho letto su questo, quando leggevo… ossia anni fa, che la croce fu composta sulla cima del Golgota e che lungo il cammino i condannati portavano solo i due pali a fascio sulle spalle. Tutto può essere. Ma io vedo una vera croce, ben contesta, solida, perfettamente incastrata nell'incrocio dei due bracci e ben rinforzata con chiodi e bulloni negli stessi. E infatti, se si pensa che era destinata a sostenere un peso non indifferente, quale è il corpo di un adulto, e sostenerlo anche nelle convulsioni finali, non indifferenti, si comprende che non poteva essere fabbricata lì per lì sulla stretta e scomoda cima del Calvario.
   Prima di dare la croce a Gesù, gli passano al collo la tavola con la scritta Gesù Nazzareno Re dei Giudei. E la fune che la sostiene si impiglia nella corona, che si sposta e sgraffia dove non è già sgraffiato e penetra in nuovi posti dando nuovo dolore e facendo sgorgare nuovo sangue. La gente ride di sadica gioia, insulta, bestemmia.
   Ora sono pronti. E Longino dà l'ordine di marcia. «Per primo il Nazzareno, dietro i due ladroni; una decuria intorno ad ognuno, le altre sette decurie a fare da ala e rinforzo, e sarà responsabile il soldato che fa ferire a morte i condannati». [...]

Santa Madre, deh voi fate che le piaghe del Signore siano impresse nel mio cuore.
Pater, Ave, Gloria

 

III Stazione - Gesù cade per la prima volta

 

 

V. Ti adoriamo Cristo e Ti benediciamo 
R. Perché con la Tua Santa Croce hai redento il mondo.

 

Dal libro del profeta Isaia. 53, 4-6

Eppure egli si è caricato delle nostre sofferenze,
si è addossato i nostri dolori
e noi lo giudicavamo castigato,
percosso da Dio e umiliato.
Egli è stato trafitto per i nostri delitti,
schiacciato per le nostre iniquità .
Il castigo che ci dà salvezza si è abbattuto su di lui;
per le sue piaghe noi siamo stati guariti.
Noi tutti eravamo sperduti come un gregge,
ognuno di noi seguiva la sua strada;
il Signore fece ricadere su di lui
l'iniquità di noi tutti.

 

'L'Evangelo come mi è stato rivelato' di Maria Valtorta' Cap. 608

   [...]5 Ha inizio la salita del Calvario. Una via nuda, senza un filo d'ombra, selciata a pietre sconnesse, che attacca direttamente la salita.
   Anche qui, quando leggevo, ho letto che il Calvario era alto pochi metri. Sarà. Non è certo un monte. Ma un colle lo è, e non certo più basso di quello che è, rispetto ai Lungarni, il monte alle Croci, là dove è la basilica di S. Miniato, a Firenze. Qualcuno dirà: «Oh! poca cosa!». Sì, per uno sano e forte è poca cosa. Ma basta avere il cuore debole per sentire se è poca o tanta!… Io so che, dopo che mi si ammalò il cuore, anche se ancora in forma benigna, non potevo più fare quella salita senza soffrirne molto e dovendo sostare ad ogni poco, e non avevo pesi sulle spalle. E Gesù credo che avesse il cuore molto male a posto dopo la flagellazione e il sudore sanguigno… e non contemplo altro che queste due cose.
   Gesù soffre perciò acutamente nel salire e col peso della croce che, così lunga come è, deve anche pesare molto.
   Trova una pietra sporgente e siccome, sfinito come è, alza ben poco il piede, inciampa e cade sul ginocchio destro, riuscendo però a sorreggersi con la mano sinistra. La gente urla di gioia… Si rialza. Procede. Sempre più curvo e ansante, congestionato, febbrile…
   Il cartello che gli ballonzola davanti gli ostacola la vista; la veste lunga che, ora che Lui va curvo, strascica per terra sul davanti, gli ostacola il passo. Inciampa di nuovo e cade sui due ginocchi, ferendosi di nuovo dove è già ferito; e la croce che gli sfugge di mano e cade, dopo averlo percosso fortemente sulla schiena, lo obbliga a chinarsi a rialzarla ed a faticare per porsela sulle spalle di nuovo. Mentre fa questo, appare nettamente visibile sulla spalla destra la piaga fatta dallo sfregamento della croce, che ha aperto le molte piaghe dei flagelli e le ha unificate in una sola che trasuda siero e sangue, di modo che la tunica bianca è in quel luogo tutta macchiata. La gente ha persino degli applausi per la gioia di vederlo cadere così male…
   Longino incita a spicciarsi, e i soldati, con colpi di piatto dati con le daghe, sollecitano il povero Gesù a procedere. Si riprende il cammino con una lentezza sempre maggiore, nonostante ogni sollecitazione.
   Gesù sembra tutt'affatto ebbro, tanto va barcollando, urtando or l'una or l'altra delle file dei soldati, tenendo tutta la via. E la gente lo nota e urla: «Gli è andata al capo la sua dottrina. Ve', ve' come traballa!». E altri, e non sono popolo questi, ma sacerdoti e scribi, sogghignano: «No. Sono i festini in casa di Lazzaro che ancora fanno fumo. Erano buoni? Ora mangia il nostro cibo…», e simili altre frasi.[...]

Santa Madre, deh voi fate che le piaghe del Signore siano impresse nel mio cuore.
Pater, Ave, Gloria

IV Stazione - Gesù incontra Sua Madre

V. Ti adoriamo Cristo e Ti benediciamo 
R. Perché con la Tua Santa Croce hai redento il mondo.

Dal Vangelo secondo Luca. 2, 34-35. 51

Simeone parlò a Maria, sua madre:
" Egli è qui per la rovina
e la risurrezione di molti in Israele,
segno di contraddizione
perché siano svelati i pensieri di molti cuori.
E anche a te una spada trafiggerà l'anima "...
Sua madre serbava tutte queste cose nel suo cuore.

'L'Evangelo come mi è stato rivelato' di Maria Valtorta' Cap. 608

   [...] 13Lo raggiunge proprio mentre Gesù si volge verso la Madre, che solo ora vede venire verso di Lui, perché procede così curvo e ad occhi quasi chiusi che è come fosse cieco, e grida: «Mam­ma!».
   È la prima parola, da quando è torturato, che esprima il suo soffrire. Perché in quel grido c'è la confessione di tutto e ogni suo tremendo dolore di spirito, di morale e di carne. È il grido straziato e straziante di un bambino che muore solo, fra aguzzini, fra le peggiori torture… e che giunge ad avere paura anche del suo proprio respiro. È il lamento di un fanciullo delirante che è straziato da visioni d'incubo… E vuole la mamma, la mamma, perché solo il suo bacio fresco calma l'ardore della febbre, la sua voce fuga i fantasmi, il suo abbraccio fa meno paurosa la morte…
   Maria si porta la mano al cuore, come ne avesse una pugnalata, e ha un lieve vacillamento. Ma si riprende, affretta il passo e, mentre va a braccia tese verso la sua Creatura straziata, grida: «Figlio!». Ma lo dice in maniera tale che chi non ha cuore di iena se lo sente fendere per quel dolore.
   Vedo che anche fra i romani vi è un moto di pietà… eppure sono uomini d'arme, non nuovi alle uccisioni, segnati da cicatrici… Ma la parola «Mamma!» e «Figlio!» sono sempre quelle, e per tutti coloro che, ripeto, non sono peggio delle iene, e sono dette e comprese dovunque, e dovunque sollevano onde di pie­tà…
   Il Cireneo ha questa pietà… E poiché vede che Maria non può abbracciare il suo Figlio per via della croce e, dopo avere teso le braccia, le lascia ricadere, persuasa di non poterlo fare — e lo guarda soltanto, volendo sorridere del suo martire sorriso per rincuorarlo, mentre le labbra tremanti bevono il pianto, e Lui, torcendo il capo da sotto il giogo della croce, cerca a sua volta di sorriderle e di inviarle un bacio con le povere labbra ferite e spaccate dalle percosse e dalla febbre — si affretta a levare la croce, e lo fa con delicatezza di padre, per non urtare la corona o strofinare sulle piaghe.
   Ma Maria non può baciare la sua Creatura… Anche il tocco più lieve sarebbe tortura sulle carni lacerate, e Maria se ne astiene, e poi… i sentimenti più santi hanno un pudore profondo. E vogliono rispetto o almeno compassione. Qui è curiosità e soprattutto scherno. Si baciano solo le due anime angosciate. [...]

Santa Madre, deh voi fate che le piaghe del Signore siano impresse nel mio cuore.
Pater, Ave, Gloria

V Stazione - Gesù è aiutato da Simone di Cirene a portare la Croce 

V. Ti adoriamo Cristo e Ti benediciamo 
R. Perché con la Tua Santa Croce hai redento il mondo.

Dal Vangelo secondo Marco. 15, 21-22

Allora costrinsero un tale che passava,
un certo Simone di Cirene che veniva dalla campagna,
padre di Alessandro e Rufo,
a portare la croce.
Condussero dunque Gesù al luogo del Golgota,
che significa luogo del cranio.

'L'Evangelo come mi è stato rivelato' di Maria Valtorta' Cap. 608

   [...]12Longino si stanca e sprona il cavallo, seguito dai dieci lancieri, contro la canea insultante, che fugge una seconda volta. Ed è nel fare questo che vede fermo un carretto, certo salito lì dalle ortaglie che sono ai piedi del monte, e che attende col suo carico di insalate che la turba sia passata per scendere verso la città. Penso che un poco di curiosità nel Cireneo e nei suoi figli lo abbia fatto salire fin lì, perché non era proprio necessario per lui di farlo. I due figli, sdraiati sull'alto del mucchio verdolino delle verdure, guardano e ridono dietro i giudei fuggenti. L'uomo invece, un robustissimo uomo sui quaranta-cinquan­t'anni, ritto presso il ciuchino che spaventato cerca di rinculare, guarda attentamente verso il corteo.
   Longino lo squadra. Pensa gli possa far comodo e ordina: «Uomo, vieni qui».
   Il Cireneo finge di non sentire. Ma con Longino non si scherza. Ripete l'ordine in un modo tale che l'uomo getta la redine ad un figlio e viene vicino al centurione.
   «Vedi quell'uomo?», chiede. E nel dire così si volge per indicare Gesù e vede a sua volta Maria, che supplica i soldati di farla passare. Ne ha pietà e urla: «Fate passare la Donna». Poi torna a parlare al Cireneo: «Non può più procedere così carico. Tu sei forte. Prendi la sua croce e portala per Lui sino alla cima».
   «Non posso… Ho l'asino… è riottoso… i ragazzi non sanno tenerlo…».
 Ma Longino dice: «Vai, se non vuoi perdere l'asino e acquistare venti colpi di castigo».
 Il Cireneo non osa più reagire. Urla ai ragazzi: «Andate a casa e presto. E dite che vengo subito», e poi va da Gesù.[...]

Santa Madre, deh voi fate che le piaghe del Signore siano impresse nel mio cuore.
Pater, Ave, Gloria

VI Stazione - La Veronica asciuga il Volto Ss di Gesù

   

V. Ti adoriamo Cristo e Ti benediciamo 
R. Perché con la Tua Santa Croce hai redento il mondo.

Dal libro del profeta Isaia. 53, 2-3

Non ha apparenza né bellezza
per attirare i nostri sguardi,
non splendore per potercene compiacere.
Disprezzato e reietto dagli uomini,
uomo dei dolori che ben conosce il patire,
come uno davanti al quale ci si copre la faccia.

 

'L'Evangelo come mi è stato rivelato' di Maria Valtorta' Cap. 608

   [...] 8 La gente che seguiva Gesù urla di rabbia. Era più bello, per essa, vederlo cadere. Con oscene imprecazioni al Condannato e a chi lo conduce, si dà in parte a seguire il corteo giudiziario e parte prosegue quasi di corsa su per la via ripida, per rifarsi, con un ottimo posto sulla vetta, della delusione avuta.
   Le donne che vanno piangendo, e sono al punto che segno con la lettera D, si volgono nel sentire gli urli e vedono che il corteo piega per quella parte. Si fermano, allora, addossandosi al monte, per tema di essere gettate giù dalla china dai violenti giudei. Calano ancor più i loro veli sul volto. E vi è chi è completamente velata come una mussulmana, lasciando liberi solo gli occhi nerissimi. Sono vestite molto riccamente ed hanno, a difesa, un vecchio robusto che, tutto ammantellato come è, non distinguo nel volto. Ne vedo solo la barba lunga, e più bianca che nera, sporgere dal mantellone scurissimo.
   Quando Gesù giunge alla loro altezza, esse hanno un pianto più alto e si curvano in profondo saluto. Poi si fanno risolutamente avanti. I soldati vorrebbero respingerle con le aste. Ma quella tutta coperta come una mussulmana scosta per un attimo il velo all'alfiere, sopraggiunto a cavallo per vedere che è questo nuovo intoppo, e questo dà ordine di farla passare. Non posso vedere né il volto, né il vestito, perché lo spostamento del velo è fatto con rapidità di lampo e l'abito è tutto nascosto in un mantello lungo fino a terra, pesante, chiuso completamente da una serie di fibbie. La mano, che per un attimo esce da là sotto per spostare il velo, è bianca e bella. Ed è, con gli occhi nerissimi, l'unica cosa che si veda di questa alta matrona, certo influente se è così ubbidita dall'aiutante di Longino.
 9 Si accostano a Gesù piangendo e si inginocchiano ai suoi piedi mentre Egli si ferma ansante… e pure sa ancora sorridere a quelle pietose e all'uomo che le scorta, che si scopre per mostrare che è Gionata. Ma questo le guardie non lo fanno passare. Solo le donne.
   Una è Giovanna di Cusa. Ed è più disfatta di quando era morente. Di rosso non ha che le righe del pianto, e poi è tutta una faccia di neve con i dolci occhi neri che, così offuscati come sono, sembrano divenuti di un viola scurissimo come certi fiori. Ha in mano un'anfora d'argento e l'offre a Gesù. Ma Egli ricusa. D'altronde, è tanto il suo affanno che non potrebbe neppur bere. Con la mano sinistra si asciuga il sudore e il sangue che gli cade negli occhi e che, scorrendo lungo le guance paonazze e il collo, dalle vene turgide nel battito affannoso del cuore, bagna tutta la veste sul petto.
   Un'altra donna, che ha presso una fanciulla servente con uno scrignetto fra le braccia, apre lo scrignetto, ne trae un lino finissimo, quadrato, e lo offre al Redentore. Questo lo accetta. E poiché non può con una mano sola fare da Sé, la pietosa lo aiuta, badando di non urtargli la corona, a posarselo sul volto. E Gesù preme il fresco lino sulla sua povera faccia e ve lo tiene, come ne trovasse un grande ristoro.
   Poi rende il lino e parla: «Grazie Giovanna, grazie Niche,… Sara,… Marcella,… Elisa,… Lidia,… Anna,… Valeria,… e tu… Ma… non piangete… su Me… figlie di… Gerusalemme… Ma sui peccati… vostri e su quelli… della vostra città… Benedici… Giovanna… di non avere… più figli… Vedi… è pietà di Dio… non… non avere figli… perché… soffrano di… questo. E anche… tu, Elisabetta… Meglio… come fu… che fra i deicidi… E voi… madri… piangete sui… figli vostri, perché… quest'ora non passerà… senza castigo… E che castigo, se così è per… l'Innocente… Piangerete allora… di avere concepito… allattato e di… avere ancora… i figli… Le madri… di allora… piangeranno perché… in verità vi dico… che sarà fortunato… chi allora… cadrà… sotto le macerie… per primo. Vi benedico… Andate… a casa… pregate… per Me. Addio, Gionata… conducile via…».
   E fra un alto clamore di pianto femminile e di imprecazioni giudee Gesù si rimette in moto.[...]

Santa Madre, deh voi fate che le piaghe del Signore siano impresse nel mio cuore.
Pater, Ave, Gloria

VII Stazione - Gesù cade per la seconda volta

 Dal libro delle Lamentazioni. 3, 1-2. 9. 16

Io sono l'uomo che ha provato la miseria
sotto la sferza della sua ira.
Egli mi ha guidato, mi ha fatto camminare
nelle tenebre e non nella luce...
Ha sbarrato le mie vie con blocchi di pietra,
ha ostruito i miei sentieri...
Mi ha spezzato con la sabbia i denti,
mi ha steso nella polvere.

V. Ti adoriamo Cristo e Ti benediciamo 
R. Perché con la Tua Santa Croce hai redento il mondo.

'L'Evangelo come mi è stato rivelato' di Maria Valtorta' Cap. 608

   [...] 5 Ha inizio la salita del Calvario. Una via nuda, senza un filo d'ombra, selciata a pietre sconnesse, che attacca direttamente la salita.
   Anche qui, quando leggevo, ho letto che il Calvario era alto pochi metri. Sarà. Non è certo un monte. Ma un colle lo è, e non certo più basso di quello che è, rispetto ai Lungarni, il monte alle Croci, là dove è la basilica di S. Miniato, a Firenze. Qualcuno dirà: «Oh! poca cosa!». Sì, per uno sano e forte è poca cosa. Ma basta avere il cuore debole per sentire se è poca o tanta!… Io so che, dopo che mi si ammalò il cuore, anche se ancora in forma benigna, non potevo più fare quella salita senza soffrirne molto e dovendo sostare ad ogni poco, e non avevo pesi sulle spalle. E Gesù credo che avesse il cuore molto male a posto dopo la flagellazione e il sudore sanguigno… e non contemplo altro che queste due cose.
   Gesù soffre perciò acutamente nel salire e col peso della croce che, così lunga come è, deve anche pesare molto.
   Trova una pietra sporgente e siccome, sfinito come è, alza ben poco il piede, inciampa e cade sul ginocchio destro, riuscendo però a sorreggersi con la mano sinistra. La gente urla di gioia… Si rialza. Procede. Sempre più curvo e ansante, congestionato, febbrile…
   Il cartello che gli ballonzola davanti gli ostacola la vista; la veste lunga che, ora che Lui va curvo, strascica per terra sul davanti, gli ostacola il passo. Inciampa di nuovo e cade sui due ginocchi, ferendosi di nuovo dove è già ferito; e la croce che gli sfugge di mano e cade, dopo averlo percosso fortemente sulla schiena, lo obbliga a chinarsi a rialzarla ed a faticare per porsela sulle spalle di nuovo. Mentre fa questo, appare nettamente visibile sulla spalla destra la piaga fatta dallo sfregamento della croce, che ha aperto le molte piaghe dei flagelli e le ha unificate in una sola che trasuda siero e sangue, di modo che la tunica bianca è in quel luogo tutta macchiata. La gente ha persino degli applausi per la gioia di vederlo cadere così male…
   Longino incita a spicciarsi, e i soldati, con colpi di piatto dati con le daghe, sollecitano il povero Gesù a procedere. Si riprende il cammino con una lentezza sempre maggiore, nonostante ogni sollecitazione.
   Gesù sembra tutt'affatto ebbro, tanto va barcollando, urtando or l'una or l'altra delle file dei soldati, tenendo tutta la via. E la gente lo nota e urla: «Gli è andata al capo la sua dottrina. Ve', ve' come traballa!». E altri, e non sono popolo questi, ma sacerdoti e scribi, sogghignano: «No. Sono i festini in casa di Lazzaro che ancora fanno fumo. Erano buoni? Ora mangia il nostro cibo…», e simili altre frasi.[...]

Santa Madre, deh voi fate che le piaghe del Signore siano impresse nel mio cuore.
Pater, Ave, Gloria

 

VIII Stazione - Gesù incontra le pie donne  

 

 

Dal Vangelo secondo Luca. 23, 28-31

Gesù , voltandosi verso le donne, disse:
" Figlie di Gerusalemme, non piangete su di me,
ma piangete su voi stesse e sui vostri figli.
Ecco, verranno giorni nei quali si dirà :
Beate le sterili e i grembi che non hanno generato
e le mammelle che non hanno allattato.
Allora cominceranno a dire ai monti:
Cadete su di noi! e ai colli: Copriteci!
Perché se trattano così il legno verde,
che avverrà del legno secco? ".

 

'L'Evangelo come mi è stato rivelato' di Maria Valtorta' Cap. 608

 

 

 9 Si accostano a Gesù piangendo e si inginocchiano ai suoi piedi mentre Egli si ferma ansante… e pure sa ancora sorridere a quelle pietose e all'uomo che le scorta, che si scopre per mostrare che è Gionata. Ma questo le guardie non lo fanno passare. Solo le donne.
   Una è Giovanna di Cusa. Ed è più disfatta di quando era morente. Di rosso non ha che le righe del pianto, e poi è tutta una faccia di neve con i dolci occhi neri che, così offuscati come sono, sembrano divenuti di un viola scurissimo come certi fiori. Ha in mano un'anfora d'argento e l'offre a Gesù. Ma Egli ricusa. D'altronde, è tanto il suo affanno che non potrebbe neppur bere. Con la mano sinistra si asciuga il sudore e il sangue che gli cade negli occhi e che, scorrendo lungo le guance paonazze e il collo, dalle vene turgide nel battito affannoso del cuore, bagna tutta la veste sul petto.
   Un'altra donna, che ha presso una fanciulla servente con uno scrignetto fra le braccia, apre lo scrignetto, ne trae un lino finissimo, quadrato, e lo offre al Redentore. Questo lo accetta. E poiché non può con una mano sola fare da Sé, la pietosa lo aiuta, badando di non urtargli la corona, a posarselo sul volto. E Gesù preme il fresco lino sulla sua povera faccia e ve lo tiene, come ne trovasse un grande ristoro.
   Poi rende il lino e parla: «Grazie Giovanna, grazie Niche,… Sara,… Marcella,… Elisa,… Lidia,… Anna,… Valeria,… e tu… Ma… non piangete… su Me… figlie di… Gerusalemme… Ma sui peccati… vostri e su quelli… della vostra città… Benedici… Giovanna… di non avere… più figli… Vedi… è pietà di Dio… non… non avere figli… perché… soffrano di… questo. E anche… tu, Elisabetta… Meglio… come fu… che fra i deicidi… E voi… madri… piangete sui… figli vostri, perché… quest'ora non passerà… senza castigo… E che castigo, se così è per… l'Innocente… Piangerete allora… di avere concepito… allattato e di… avere ancora… i figli… Le madri… di allora… piangeranno perché… in verità vi dico… che sarà fortunato… chi allora… cadrà… sotto le macerie… per primo. Vi benedico… Andate… a casa… pregate… per Me. Addio, Gionata… conducile via…».
   E fra un alto clamore di pianto femminile e di imprecazioni giudee Gesù si rimette in moto.[...]
10Gesù è di nuovo tutto bagnato di sudore. Sudano anche i soldati e gli altri due condannati, perché il sole di questo giorno temporalesco è scottante come fiamma e il fianco del monte, arroventato di suo, aumenta il calore solare.
   Cosa deve essere questo sole sulla veste di lana di Gesù, posta sulle ferite dei flagelli, è facile pensare e inorridire… Ma Egli non ha mai un lamento. Soltanto, nonostante la via sia molto meno ripida e non abbia quelle pietre sconnesse dell'altra, così pericolose al suo piede che ormai è strascicante, Gesù barcolla sempre più forte, tornando ad urtare da una fila all'altra dei soldati e piegando sempre più verso terra.
   Pensano di risolvere la cosa in bene passandogli una fune alla cintura e tenendolo per due capi come fossero redini. Sì. Questo lo sostiene. Ma non lo solleva dal peso. Anzi la fune, urtando nella croce, la fa spostare continuamente sulla spalla e picchiare nella corona, che ormai ha fatto della fronte di Gesù un tatuaggio sanguinante. Inoltre, la fune sfrega alla cintura dove sono tante ferite, e certo le deve rompere di nuovo, tanto che la tunica bianca si colora alla vita di un rosso pallido. Per aiutarlo, lo fanno soffrire più ancora.[...]

Santa Madre, deh voi fate che le piaghe del Signore siano impresse nel mio cuore.
Pater, Ave, Gloria

IX Stazione - Gesù cade per la terza volta

   

Dal libro delle Lamentazioni. 3, 27-32

È bene per l'uomo portare il giogo
fin dalla giovinezza.
Sieda costui solitario e resti in silenzio,
poiché egli glielo ha imposto;
cacci nella polvere la bocca,
forse c'è ancora speranza;
porga a chi lo percuote la sua guancia,
si sazi di umiliazioni.
Poiché il Signore non rigetta mai...
Ma, se affligge, avrà anche pietà
secondo la sua grande misericordia.

'L'Evangelo come mi è stato rivelato' di Maria Valtorta' Cap. 608

   [...] 6 Longino, che si volta ogni tanto, ha pietà e ordina una sosta di qualche minuto. Ed è insultato tanto dalla plebaglia che il centurione ordina alle milizie di caricare. E la folla vile, davanti alle lance che luccicano e minacciano, si allontana urlando e gettandosi qua e là giù per il monte.
   È qui che rivedo, fra i pochi rimasti, emergere da dietro una maceria, forse di qualche muretto franato, il gruppetto dei pastori. Desolati, stravolti, polverosi, stracciati, essi chiamano a loro, con la forza degli sguardi, il loro Maestro. Ed Egli gira il capo, li vede… li fissa come fossero volti di angeli, pare dissetarsi e fortificarsi col loro pianto, e sorride… Viene ridato l'ordine di marcia e Gesù passa proprio davanti a loro e ne ode il pianto angoscioso. Torce a fatica il capo da sotto il giogo della croce e ha un nuovo sorriso… I suoi conforti… Dieci volti… una sosta sotto al cocente sole…
   E poi subito il dolore della terza completa caduta. E questa volta non è che inciampi. Ma è che cade per subita flessione delle forze, per sincope. Va lungo disteso, battendo il volto sulle pietre sconnesse, rimanendo nella polvere sotto la croce che gli si piega addosso. I soldati cercano rialzarlo. Ma, poiché pare morto, vanno a riferire al centurione. Mentre vanno e vengono, Gesù rinviene, e lentamente, con l'aiuto di due soldati, di cui uno rialza la croce e l'altro aiuta il Condannato a porsi in piedi, si rimette al suo posto. Ma è proprio sfinito.
   «Fate che non muoia che sulla croce!», urla la folla.
   «Se lo fate morire avanti, ne risponderete al Proconsole, ricordatelo. Il reo deve giungere vivo al supplizio», dicono i capi degli scribi ai soldati.
   Questi li fulminano con sguardi feroci, ma per disciplina non parlano.
 7 Longino, però, ha la stessa paura dei giudei che il Cristo muoia per via, e non vuole noie. Senza bisogno che nessuno glielo ricordi, sa quale è il suo dovere di preposto alla esecuzione, e provvede. Provvede disorientando i giudei che sono già corsi avanti per la via, raggiunta da tutte le parti del monte, sudando, graffiandosi per passare fra i rari e spinosi cespugli del monte brullo e arso, cadendo sulle macerie che lo ingombrano come fosse un luogo di sbratto per Gerusalemme, senza sentire altra pena fuorché quella di perdere un ansito del Martire, un suo sguardo di dolore, un atto anche involontario di sofferenza, e senza altra paura che non sia quella di non giungere ad avere un buon posto.
   Longino dà, dunque, ordine di prendere la via più lunga, che sale a spirale lungo il monte e che perciò è molto meno ripida. Sembra questa un sentiero che a forza di essere percorso si sia mutato in via abbastanza comoda.
   Questo incrocio di una via con l'altra avviene ad una metà circa del monte. Ma vedo che più su, per quattro volte, la strada diretta viene tagliata da questa, che va su con molto meno pendenza e molto più lunghezza in compenso. E su questa strada sono persone che salgono, ma che non partecipano all'indegna gazzarra degli ossessi che seguono Gesù per godere dei suoi tormenti. Donne, per la più parte, e piangenti e velate, e qualche gruppetto di uomini, molto sparuto in verità, che, più avanti di molto delle donne, sta per scomparire alla vista quando, nel proseguire, la strada gira il monte.
   Qui il Calvario ha una specie di punta nella sua bizzarra struttura, fatta a muso da una parte, mentre dall'altra scoscende. Cercherò dargliene un'idea del suo aspetto preso di profilo. Ma bisogna che volti il foglio, perché qui mi viene male per mancanza di spazio.[...]

Santa Madre, deh voi fate che le piaghe del Signore siano impresse nel mio cuore.
Pater, Ave, Gloria

X Stazione - Gesù spogliato delle vesti

Dal Vangelo secondo Marco. 15, 24

I soldati si divisero le sue vesti,
tirando a sorte su di esse
quello che ciascuno dovesse prendere.

'L'Evangelo come mi è stato rivelato' di Maria Valtorta' Cap. 609

1 Quattro nerboruti uomini, che per l'aspetto mi paiono giudei, e giudei degni della croce più dei condannati, certo della stessa categoria dei flagellatori, saltano da un sentiero sul luogo del supplizio. Sono vestiti di tuniche corte e sbracciate ed hanno in mano chiodi, martelli e funi che mostrano con lazzi ai tre condannati. La folla si agita in un delirio crudele.
   Il centurione offre a Gesù l'anfora perché beva la mistura anestetica di vino mirrato. Ma Gesù la rifiuta. I due ladroni invece ne bevono molta. Poi l'anfora, dall'ampia bocca svasata, viene posta presso un grosso sasso, quasi sullo scrimolo della cima.
 2 Viene dato l'ordine ai condannati di spogliarsi. I due ladroni lo fanno senza nessun pudore. Anzi si divertono a fare atti osceni verso la folla e specie verso il gruppo sacerdotale, tutto candido nelle sue vesti di lino e che è piano piano tornato sulla piazzetta più bassa, usando della sua qualità per insinuarsi lì. Ai sacerdoti si sono uniti due o tre farisei e altri prepotenti personaggi, che l'odio fa amici. E vedo persone di conoscenza, come il fariseo Giocana e Ismaele, lo scriba Sadoch, Eli di Cafarnao…
   I carnefici offrono tre stracci ai condannati perché se li leghino all'inguine. E i ladroni li pigliano con più orrende bestemmie. Gesù, che si spoglia lentamente per lo spasimo delle ferite, lo ricusa. Forse pensa conservare le corte brache che ha tenute anche nella flagellazione. Ma, quando gli viene detto di levarsi anche le stesse, Egli tende la mano per mendicare lo straccio dei boia a difesa della sua nudità. È proprio l'Annichilito fino a dover chiedere uno straccio ai delinquenti.
   Ma Maria ha visto e si è sfilata il lungo e sottile telo bianco, che le vela il capo sotto al manto oscuro e nel quale Ella ha già versato tanto pianto. Se lo leva senza far cadere il manto, lo dà a Giovanni perché lo porga a Longino per il Figlio. Il centurione prende il velo senza fare ostacolo e, quando vede che Gesù sta per denudarsi del tutto, stando voltato non verso la folla ma verso la parte vuota di popolo, mostrando così la sua schiena rigata di lividi e di vesciche, sanguinante di ferite aperte o dalle croste oscure, gli porge il lino materno. E Gesù lo riconosce. Se ne avvolge a più riprese il bacino, assicurandoselo per bene perché non caschi… E sul lino, fino allora solo bagnato di pianto, cadono le prime gocce di sangue, perché molte delle ferite, appena coperte di coagulo, nel chinarsi per levarsi i sandali e deporre le vesti si sono riaperte e il sangue riprende a sgorgare. [...]

Santa Madre, deh voi fate che le piaghe del Signore siano impresse nel mio cuore.
Pater, Ave, Gloria

XI Stazione - Gesù è inchiodato alla Croce

Dal Vangelo secondo Marco. 15, 25-27

Erano le nove del mattino quando lo crocifissero.
E l'iscrizione con il motivo della condanna diceva:
" Il re dei Giudei ".
Con lui crocifissero anche due ladroni,
uno alla sua destra e uno alla sinistra.


'L'Evangelo come mi è stato rivelato' di Maria Valtorta' Cap. 609

   [...] 4 I ladroni sono legati sulle croci e vengono portati al loro posto, uno a destra, uno a sinistra rispetto al posto destinato a Gesù. Urlano, imprecano, maledicono e, specie quando le croci vengono portate presso il buco e li sconquassano facendo segare i polsi dalle funi, le loro bestemmie a Dio, alla Legge, ai romani, ai giudei, sono infernali.
   È la volta di Gesù. Egli si stende mite sul legno. I due ladroni erano tanto ribelli che, non bastando a farlo i quattro boia, erano dovuti intervenire dei soldati a tenerli, perché a calci non respingessero gli aguzzini che li legavano per i polsi. Ma per Gesù non c'è bisogno di aiuto. Si corica e mette il capo dove gli dicono di metterlo. Apre le braccia come gli dicono di farlo, stende le gambe come gli ordinano. Si è solo preoccupato di accomodarsi per bene il suo velo. Ora il suo lungo corpo, snello e bianco, spicca sul legno oscuro e sul suolo giallo.
 5 Due carnefici gli si siedono sul petto per tenerlo fermo. E io penso che oppressione e che dolore deve aver provato sotto quel peso. Un terzo gli prende il braccio destro, tenendolo con una mano sulla prima porzione dell'avambraccio e l'altra al termine delle dita. Il quarto, che ha già in mano il lungo chiodo acuminato sulla punta quadrangolare nel fusto, terminato in una piastra rotonda e piatta, larga come un soldone dei tempi passati, guarda se il buco già fatto nel legno corrisponde alla giuntura radio-ulnare del polso. Va bene. Il boia appoggia la punta del chiodo al polso, alza il martello e dà il primo colpo.
   Gesù, che aveva gli occhi chiusi, all'acuto dolore ha un grido e una contrazione, e spalanca gli occhi nuotanti fra le lacrime. Deve essere un dolore atroce quello che prova… Il chiodo penetra spezzando muscoli, vene, nervi, frantumando ossa…
  Maria risponde al grido della sua Creatura torturata con un gemito che ha quasi del lamento di un agnello sgozzato, e si curva, come spezzata, tenendosi la testa fra le mani. Gesù, per non torturarla, non grida più. Ma i colpi ci sono, metodici, aspri, di ferro contro ferro… e si pensa che sotto è un membro vivo quello che li riceve.
 La mano destra è inchiodata. Si passa alla sinistra. Il foro non corrisponde al carpo. Allora prendono una fune, legano il polso sinistro e tirano fino a slogare la giuntura e a strappare tendini e muscoli, oltre che lacerare la pelle già segata dalle funi della cattura. Anche l'altra mano deve soffrire, perché è stirata per riflesso, e intorno al suo chiodo si allarga il buco. Ora si arriva appena all'inizio del metacarpo, presso il polso. Si rassegnano e inchiodano dove possono, ossia fra il pollice e le altre dita, proprio al centro del metacarpo. Qui il chiodo entra più facilmente ma con maggiore spasimo, perché deve recidere nervi importanti, tanto che le dita restano inerti, mentre le altre della destra hanno contrazioni e tremiti che denunciano la loro vitalità. Ma Gesù non grida più, ha solo un lamento roco dietro le labbra fortemente chiuse, e lacrime di spasimo cadono per terra dopo esser cadute sul legno.
 Ora è la volta dei piedi. A un due metri e più dal termine della croce è un piccolo cuneo, appena sufficiente ad un piede. Su questo vengono portati i piedi per vedere se va bene la misura. E dato che è un poco in basso e i piedi arrivano male, stiracchiano per i malleoli il povero Martire. Il legno scabro della croce sfrega così sulle ferite, smuove la corona che si sposta strappando nuovi capelli e minaccia di cadere. Un boia gliela ricalca sul capo con una manata…
   Ora, quelli che erano seduti sul petto di Gesù si alzano per spostarsi sui ginocchi, dato che Gesù ha un movimento involontario di ritirare le gambe, vedendo brillare al sole il lunghissimo chiodo, lungo il doppio e largo il doppio di quello usato per le mani. E pesano sui ginocchi scorticati, e premono sui poveri stinchi contusi, mentre gli altri due compiono l'operazione, molto più difficile, dell'inchiodatura di un piede sull'altro, cercando di combinare le due giunture dei tarsi insieme.
   Per quanto guardino e tengano fermi i piedi, al malleolo e alle dita, contro il cuneo, il piede sottoposto si sposta per la vibrazione del chiodo, e lo devono schiodare quasi, perché, dopo essere entrato nelle parti molli, il chiodo, già spuntato per avere perforato il piede destro, deve essere portato un poco più in centro. E picchiano, picchiano, picchiano… Non si sente che l'atroce rumore del martello sulla testa del chiodo, perché tutto il Calvario non è che occhi e orecchie tese, per raccogliere atto e rumore e gioirne…
   Sul suono aspro del ferro è un lamento in sordina di colomba: il gemere roco di Maria, che sempre più si curva, ad ogni colpo, come se il martello piagasse Lei, la Madre Martire. Ed ha ragione di parere prossima ad essere spezzata da quella tortura. La crocifissione è tremenda. Pari alla flagellazione in spasimo, più atroce a vedersi, perché si vede scomparire il chiodo fra le carni vive. Ma in compenso è più breve. Mentre la flagellazione spossa per la sua durata.
   Per me, l'agonia dell'Orto, la flagellazione e la crocifissione sono i momenti più atroci. Mi svelano tutta la tortura del Cristo. La morte mi solleva, perché dico: «È finito!». Ma queste non sono fine. Sono principio a nuove sofferenze. [...]

Santa Madre, deh voi fate che le piaghe del Signore siano impresse nel mio cuore.
Pater, Ave, Gloria

 

XII Stazione - Gesù muore sulla Croce

Dal Vangelo secondo Marco. 15, 33-34. 37. 39

Venuto mezzogiorno,
si fece buio su tutta la terra,
fino alle tre del pomeriggio.
Alle tre Gesù gridò con voce forte:
Eloì , Eloì , lema sabactà ni?,
che significa:
Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?...
Ed egli, dando un forte grido, spirò ...
Allora il centurione che gli stava di fronte,
vistolo spirare in quel modo, disse:
" Veramente quest'uomo era Figlio di Dio!".


'L'Evangelo come mi è stato rivelato' di Maria Valtorta' Cap. 609

   [...] 21Si ritrae, si accascia, si abbandona. Tutto il peso del corpo piomba sui piedi e in avanti. Sono le estremità ferite quelle che soffrono la pena atroce dello slabbrarsi sotto il peso di un corpo che si abbandona. Non più un movimento per sollevare questo dolore. Dal bacino in su, tutto è staccato dal legno, e tale resta.
   La testa pende in avanti tanto pesantemente che il collo pare scavato in tre posti: al giugolo, completamente infossato, e di qua e di là dello sternocleidomastoideo. Il respiro è sempre più anelante, ma interciso. È già più un rantolo sincopato che un respiro. Ogni tanto un colpo di tosse penosa porta una schiuma lievemente rosata alle labbra. E le distanze fra una espirazione e l'altra diventano sempre più lunghe. L'addome è già fermo. Solo il torace ha ancora dei sollevamenti, ma faticosi, stentati… La paralisi polmonare si accentua sempre più.
   E sempre più fievole, tornando al lamento infantile del bambino, viene l'invocazione: «Mamma!». E la misera mormora: «Sì, tesoro, sono qui». E quando la vista che si vela gli fa dire: «Mamma, dove sei? Non ti vedo più. Anche tu mi abbandoni?», e non è neanche una parola,ma un mormorio che appena è udibile da chi più col cuore che con l'udito raccoglie ogni sospiro del Morente, Ella dice: «No, no, Figlio! Non ti abbandono io! Sentimi, caro… La Mamma è qui, qui è… e solo si tormenta di non poter venire dove Tu sei…».
   È uno strazio… E Giovanni piange liberamente. Gesù deve sentire quel pianto. Ma non dice niente. Penso che la morte imminente lo faccia parlare come in delirio e neppure sappia quanto dice e, purtroppo, neppure comprenda il conforto materno e l'amore del Prediletto.
   Longino — che inavvertitamente ha lasciato la sua posa di riposo, con le mani conserte sul petto e una gamba accavallata, ora una, ora l'altra, per dare sollievo alla lunga attesa in piedi, e ora invece è rigido sull'attenti, la mano sinistra sulla spada, la destra regolarmente tesa lungo il fianco, come fosse sui gradini del trono imperiale — non vuole commuoversi. Ma il suo volto si altera nello sforzo di vincere l'emozione, e gli occhi hanno un luccicore di pianto che solo la sua ferrea disciplina trattiene.
   Gli altri soldati, che giocavano a dadi, hanno smesso e si sono drizzati in piedi, rimettendosi gli elmi che avevano servito ad agitare i dadi, e stanno in gruppo presso la scaletta scavata nel tufo, silenziosi, attenti. Gli altri sono di servizio e non possono mutare posizione. Sembrano statue. Ma qualcuno dei più prossimi, e che sente le parole di Maria, mugola qualcosa fra le labbra e scrolla il capo.
 22Un silenzio. Poi, netta nell'oscurità totale, la parola: «Tutto è compiuto!», e poi l'ansito sempre più rantoloso, con pause di silenzio fra un rantolo e l'altro, sempre più vaste.
 Il tempo scorre su questo ritmo angoscioso. La vita torna quando l'aria è rotta dall'anelito aspro del Morente… La vita cessa quando questo suono penoso non si ode più. Si soffre a sentirlo… si soffre a non sentirlo… Si dice: «Basta di questa sofferenza!», e si dice: «Oh! Dio! che non sia l'ultimo respiro».
   Le Marie piangono tutte, col capo contro il rialzo terroso. E si sente bene il loro pianto, perché tutta la folla ora tace di nuovo per raccogliere i rantoli del Morente.
   Ancora un silenzio. Poi, pronunciata con infinita dolcezza, con ardente preghiera, la supplica: «Padre, nelle tue mani raccomando lo spirito mio!».
   Ancora un silenzio. Si fa lieve anche il rantolo. È appena un soffio limitato alle labbra e alla gola.
   Poi, ecco, l'ultimo spasimo di Gesù. Una convulsione atroce, che pare voglia svellere il corpo infisso, coi tre chiodi, dal legno, sale per tre volte dai piedi al capo, scorre per tutti i poveri nervi torturati; solleva tre volte l'addome in una maniera anormale, poi lo lascia dopo averlo dilatato come per sconvolgimento dei visceri, ed esso ricade e si infossa come svuotato; alza, gonfia e contrae tanto fortemente il torace, che la pelle si infossa fra coste e coste che si tendono, apparendo sotto l'epidermide e riaprendo le ferite dei flagelli; fa rovesciare violentemente indietro, una, due, tre volte il capo, che percuote contro il legno, duramente; contrae in uno spasimo tutti i muscoli del volto, accentuando la deviazione della bocca a destra, fa spalancare e dilatare le palpebre sotto cui si vede roteare il globo oculare e apparire la sclerotica. Il corpo si tende tutto; nell'ultima delle tre contrazioni è un arco teso, vibrante, tremendo a vedersi, e poi un grido potente, impensabile in quel corpo sfinito, si sprigiona, lacera l'aria, il «grande grido» di cui parlanoi Vangeli e che è la prima parte della parola «Mamma»… E più nulla…
   La testa ricade sul petto, il corpo in avanti, il fremito cessa, cessa il respiro. È spirato.
 23La Terra risponde al grido dell'Ucciso con un boato pauroso. Sembra che da mille buccine dei giganti traggano un unico suono e su questo tremendo accordo ecco le note isolate, laceranti dei fulmini che rigano il cielo in tutti i sensi, cadendo sulla città, sul Tempio, sulla folla… Credo che ci saranno stati dei fulminati, perché la folla è colpita direttamente. I fulmini sono l'unica luce saltuaria che permetta di vedere. E poi subito, e mentre durano ancora le scariche delle saette, la terra si scuote in un turbine di vento ciclonico. Il terremoto e l'aeromoto si fondono per dare un apocalittico castigo ai bestemmiatori. La vetta del Golgota ondeggia e balla come un piatto in mano di un pazzo, nelle scosse sussultorie e ondulatorie che scuotono talmente le tre croci che sembra le debbano ribaltare.
   Longino, Giovanni, i soldati si abbrancano dove possono, come possono, per non cadere. Ma Giovanni, mentre con un braccio afferra la croce, con l'altro sostiene Maria che, e per il dolore e per il traballio, gli si è abbandonata sul cuore. Gli altri soldati, e specie quelli del lato che scoscende, si sono dovuti rifugiare al centro per non essere gettati giù dai dirupi. I ladroni urlano di terrore, la folla urla ancora di più e vorrebbe scappare. Ma non può. Cadono le persone l'una sull'altra, si pestano, precipitano nelle spaccature del suolo, si feriscono, rotolano giù per la china, impazziti.
   Per tre volte si ripete il terremoto e l'aeromoto, e poi si fa l'immobilità assoluta di un mondo morto. Solo dei lampi, ma senza tuono, rigano ancora il cielo e illuminano la scena dei giudei fuggenti in ogni senso, con le mani fra i capelli, o tese in avanti, o alzate al cielo, schernito fino allora e di cui ora hanno paura. La oscurità si tempera di un barlume di luce che, aiutato dal lampeggio silenzioso e magnetico, permette di vedere che molti restano al suolo, morti o svenuti, non so. Una casa arde nell'interno delle mura e le fiamme si alzano dritte nell'aria ferma, mettendo un punto di rosso fuoco sul verde cenere dell'atmosfera. [...]

Santa Madre, deh voi fate che le piaghe del Signore siano impresse nel mio cuore.
Pater, Ave, Gloria

 

XIII Stazione - Gesù deposto dalla Croce

Dal Vangelo secondo Marco. 15, 42-43. 46

Sopraggiunta ormai la sera,
Giuseppe d'Arimatea, membro autorevole del sinedrio,
che aspettava anche lui il Regno di Dio,
comprato un lenzuolo,
calò il corpo di Gesù giù dalla croce.

 


'L'Evangelo come mi è stato rivelato' di Maria Valtorta' Cap. 609

    [...]32I quattro carnefici vorrebbero anche occuparsi di Gesù, staccandolo dalla croce. Ma Giuseppe e Nicodemo non lo permettono. Anche Giuseppe si leva il mantello e dice a Giovanni di imitarlo e di tenere le scale mentre loro salgono con leve e tenaglie.
   Maria si alza tremante, sorretta dalle donne, e si accosta alla croce.
   Intanto i soldati, finito il loro compito, se ne vanno. E Longino, prima di scendere oltre la piazzuola inferiore, si volta dal­l'alto del suo morello a guardare Maria e il Crocifisso. Poi il rumore degli zoccoli suona sulle pietre e quello delle armi contro le corazze, e si allontana sempre più.
   Il palmo sinistro è schiodato. Il braccio cade lungo il Corpo, che ora pende semistaccato.
   Dicono a Giovanni di salire lui pure, lasciando le scale alle donne. E Giovanni, montato sulla scala dove prima era Nicodemo, si passa il braccio di Gesù intorno al collo e lo tiene così, tutto abbandonato sul suo òmero, abbracciato dal suo braccio alla vita e tenuto per la punta delle dita per non urtare l'orrendo squarcio della mano sinistra, che è quasi aperta. Quando i piedi sono schiodati, Giovanni fatica non poco a tenere e sostenere il Corpo del suo Maestro fra la croce e il suo corpo.
   Maria si pone già ai piedi della croce, seduta con le spalle alla stessa, pronta a ricevere il suo Gesù nel grembo.
   Ma schiodare il braccio destro è l'operazione più difficile. Nonostante ogni sforzo di Giovanni, il Corpo pende tutto in avanti e la testa del chiodo sprofonda nella carne. E, poiché non vorrebbero ferirlo di più, i due pietosi faticano molto. Finalmente il chiodo è afferrato dalla tenaglia e estratto piano piano.
   Giovanni tiene sempre Gesù per le ascelle, con la testa rovesciata sulla sua spalla, mentre Nicodemo e Giuseppe lo afferrano uno alle cosce, l'altro ai ginocchi, e cautamente scendono così dalle scale.
 33Giunti a terra, vorrebbero adagiarlo sul lenzuolo che hanno steso sui loro mantelli. Ma Maria lo vuole. Si è aperta il manto, lasciandolo pendere da una parte, e sta con le ginocchia piuttosto aperte per fare cuna al suo Gesù.
   Mentre i discepoli girano per darle il Figlio, la testa coronata ricade all'indietro e le braccia pendono verso terra, e struscerebbero al suolo con le mani ferite se la pietà delle pie donne non le tenessero per impedirlo.
   Ora è in grembo alla Madre… E sembra uno stanco e grande bambino che dorma tutto raccolto sul seno materno. Maria lo tiene col braccio destro passato dietro le spalle del Figlio e il sinistro passato al disopra dell'addome per sorreggerlo alle anche.
   La testa è sulla spalla materna. E Lei lo chiama… lo chiama con voce di strazio. Poi se lo stacca dalla spalla e lo carezza con la sinistra, ne raccoglie e stende le mani e, prima di incrociarle sul grembo spento, le bacia, e piange sulle ferite. Poi carezza le guance, specie là dove è il livido e il gonfiore, bacia gli occhi infossati, la bocca rimasta lievemente storta a destra e socchiusa.
   Vorrebbe ravviargli i capelli, come gli ha ravviato la barba ingrommata di sangue. Ma nel farlo incontra le spine. Si punge per levare quella corona e non vuole farlo che Lei, con l'unica mano che ha libera, e respinge tutti dicendo: «No, no! Io! Io!», e pare abbia fra le dita il capo tenerello di un neonato, tanto va con delicatezza nel farlo. E quando può levare questa torturante corona, si curva a medicare tutti gli sgraffi delle spine con i baci.
   Con la mano tremante divide i capelli scomposti, li ravvia e piange, e parla piano piano, e asciuga con le dita le lacrime che cadono sulle povere carni gelide e sanguinose, e pensa di pulirle col pianto e col suo velo, che è ancora ai lombi di Gesù. E ne tira a sé una estremità, e con quella si dà a detergere ed asciugare le membra sante. E sempre torna in carezze sul volto, e poi sulle mani, e poi carezza le ginocchia contuse, e poi risale ad asciugare il Corpo, su cui cadono lacrime e lacrime.
   È nel fare questo che la sua mano incontra lo squarcio del costato. La piccola mano, coperta dal lino sottile, entra quasi tutta nell'ampia bocca della ferita. Maria si curva per vedere, nella semiluce che si è formata, e vede. Vede il petto aperto e il cuore di suo Figlio. Urla, allora. Sembra che una spada apra a Lei il cuore. Urla, e poi si rovescia sul Figlio e pare morta Lei pure.
 34La soccorrono, la confortano. Le vogliono levare il Morto divino e, poiché Ella grida: «Dove, dove ti metterò, che sia sicuro e degno di Te?», Giuseppe, tutto curvo in un inchino riverente, la mano aperta appoggiata sul petto, dice: «Confortati, o Donna! Il mio sepolcro è nuovo e degno di un grande. Lo dono a Lui. E questo, Nicodemo, amico, già nel sepolcro ha portato gli aromi, ché egli questo vuole offrire di suo. Ma, te ne prego, poiché la sera si avvicina, lasciaci fare… È Parasceve. Sii buona, o Donna santa!».
   Anche Giovanni e le donne pregano in tal senso, e Maria si lascia levare dal grembo la sua Creatura, e si alza, affannosa, mentre lo avvolgono nel lenzuolo, pregando: «Oh! fate piano!».
   Nicodemo e Giovanni alle spalle, Giuseppe ai piedi, sollevano la Salma avvolta non solo nel lenzuolo, ma appoggiata anche sui mantelli che fanno da portantina, e si avviano giù per la via.
   Maria, sorretta dalla cognata e dalla Maddalena, seguita da Marta, Maria di Zebedeo e Susanna, che hanno raccolto i chiodi, le tenaglie, la corona, la spugna e la canna, scende verso il sepolcro.
   Sul Calvario restano le tre croci, di cui quella di centro è nuda e le due altre hanno il loro vivo trofeo che muore.[...]

Santa Madre, deh voi fate che le piaghe del Signore siano impresse nel mio cuore.
Pater, Ave, Gloria

 

XIV Stazione - Gesù è deposto nel sepolcro

 

Dal Vangelo secondo Marco. 15, 46-47

Giuseppe d'Arimatea,
avvolto il corpo di Gesù in un lenzuolo,
lo depose in un sepolcro scavato nella roccia.
Poi fece rotolare un masso
contro l'entrata del sepolcro.
Intanto Maria di Magdala
e Maria madre di Joses
stavano ad osservare dove veniva deposto. 

'L'Evangelo come mi è stato rivelato' di Maria Valtorta' Cap. 610

1 Dire quello che io provo è inutile. Farei unicamente un'e­spo­sizione del mio soffrire, e perciò senza valore rispetto al soffrire che io vedo. Lo descrivo dunque, senza commenti su me.
 2 Assisto alla sepoltura di Nostro Signore.
   Il piccolo corteo, dopo aver sceso il Calvario, trova alla base dello stesso, scavato nel calcare del monte, il sepolcro di Giuseppe d'Arimatea. In esso entrano i pietosi col Corpo di Gesù.
   Vedo il sepolcro fatto così. È un ambiente ricavato nella pietra in fondo ad una ortaglia tutta in fiore. Sembra una grotta, ma si capisce scavata dalla mano dell'uomo. Vi è la camera sepolcrale propriamente detta con i suoi loculi (fatti diversi da quelli delle catacombe). Questi sono come fori tondi che penetrano nella pietra come buchi di un alveare, tanto per dare un'idea. Per ora sono tutti vuoti. Si vede l'occhio vuoto di ogni loculo come una macchia nera nel grigiastro della pietra. Poi, precedente a questa camera sepolcrale, vi è come un'anticamera. Al centro della stessa, il tavolo di pietra per l'unzione. Su questo viene posto Gesù nel suo lenzuolo.
   Entrano anche Giovanni e Maria. Non di più, perché la camera preparatoria è piccola e, se fossero in più persone, non potrebbero più muoversi. Le altre donne stanno presso la porta, ossia presso l'apertura, perché non vi è porta vera e propria.
 3 I due portatori scoprono Gesù.
   Mentre essi preparano, in un angolo, su una specie di mensola, alla luce di due torce, le bende e gli aromi, Maria si curva sul Figlio e piange. E daccapo lo asciuga col velo che è ancora ai lombi di Gesù. È l'unico lavacro che ha il Corpo di Gesù, questo delle lacrime materne, e se sono copiose e abbondanti non servono però che a levare superficialmente e parzialmente polvere, sudore e sangue di quel Corpo torturato.
   Maria non si stanca di carezzare quelle membra gelate. Con una delicatezza ancor maggiore che se toccasse quelle di un neonato, Ella prende le povere mani straziate, le stringe fra le sue, ne bacia le dita, le stende, cerca di riunire le slabbrature delle ferite come per medicarle, perché dolgano meno, si appoggia sulle guance quelle mani che non possono più accarezzare, e geme, geme nel suo dolore atroce. Raddrizza e unisce i poveri piedi, che stanno così abbandonati, come mortalmente stanchi di tanto cammino fatto per noi. Ma essi si sono troppo spostati sulla croce, e specie il sinistro sta quasi per piatto come non avesse più caviglia.
   Poi torna al Corpo e lo carezza, così freddo e già rigido, e quando vede una nuova volta lo squarcio della lancia che ora, nella posizione supina del Salvatore sulla lastra di pietra, è aperto e beante come una bocca, lasciante vedere meglio ancora la cavità toracica — la punta del cuore appare distintamente fra lo sterno e l'arco costale sinistro, e due centimetri circa sopra di essa vi è l'incisione fatta dalla punta della lancia nel pericardio e nel cardio, lunga un buon centimetro e mezzo, mentre quella esterna al costato destro è di almeno sette — Maria grida di nuovo come sul Calvario. Sembra che la lancia trapassi Lei, tanto Ella si contorce nel suo dolore, portando le mani al cuore suo, trafitto come quello di Gesù. Quanti baci su quella ferita, povera Mamma!
   Poi torna al capo riverso e lo raddrizza, poiché è rimasto lievemente piegato indietro e fortemente a destra. Cerca di chiudere le palpebre, che si ostinano a rimanere semichiuse, e la bocca rimasta aperta, contratta, un poco storta a destra. Ravvia i capelli, solo ieri tanto belli e ordinati, ed ora fatti tutto un groviglio appesantito dal sangue. Districa le ciocche più lunghe, le liscia sulle sue dita, le arrotola per ridare ad esse la forma dei dolci capelli del suo Gesù, così morbidi e ricciuti. E geme, geme perché si ricorda di quando era bambino… È il motivo fondamentale del suo dolore: il ricordo dell'infanzia di Gesù, del suo amore per Lui, delle sue cure che temevano anche dell'aria più viva per la Creaturina divina, e il confronto con quanto gli hanno fatto, ora, gli uomini.
 4 Il suo lamento mi fa stare male. Ed il suo gesto quando, gemendo: «Che ti hanno, che ti hanno fatto, Figlio mio?», non potendolo vedere così, nudo, rigido, su una pietra, Ella se lo raccoglie in braccio, passandogli il braccio sotto le spalle e serrandolo sul petto con l'altra mano e ninnandolo, con la stessa mossa della grotta della Natività, mi fa piangere e soffrire come se una mano mi frugasse nel cuore.
 
   4 ottobre 1944.

 

 5 La terribile angoscia spirituale di Maria.
   La Madre è ritta presso la pietra dell'unzione e carezza, e contempla, e geme, e piange. La luce tremolante delle torce illumina a tratti il suo volto, ed io vedo dei grossi goccioloni di pianto rotolare sulle guance pallidissime di un viso devastato. E odo le parole. Tutte. Ben distinte, per quanto mormorate fra le labbra, vero colloquio di anima materna coll'anima del Figlio. Ricevo l'ordine di scriverle.
 6 «Povero Figlio! Quante ferite!… Come hai sofferto! Guarda che t'hanno fatto!… Come sei freddo, Figlio! Le tue dita sono di gelo. E come sono inerti! Paiono spezzate. Mai, neppure nel sonno più abbandonato dell'infanzia, né in quello pesante della tua fatica di artiere, erano inerti così… E come sono fredde! Povere mani! Dàlle alla tua Mamma, tesoro mio, amore santo, amore mio! Guarda come sono lacerate! Ma guarda, Giovanni, che squarcio! Oh! crudeli! Qui, qui, dalla tua Mamma questa mano ferita. Che te la medichi. Oh! non ti farò male… Userò baci e lacrime, e col fiato e con l'amore te la scalderò. Dammi una carezza, Figlio! Tu sei di ghiaccio, io ardo di febbre. La mia febbre avrà sollievo dal tuo gelo, e il tuo gelo si molcerà alla mia febbre. Una carezza, Figlio! Sono poche ore che non mi carezzi, e mi paiono secoli. Vi furono mesi senza tue carezze, e mi parvero ore perché sempre aspettavo il tuo venire e di ogni giorno facevo un'ora, di ogni ora un minuto, per dirmi che Tu non m'eri lontano da una o più lune, ma da solo pochi dì, da sole poche ore. Perché ora è così lungo il tempo? Ah! strazio inumano! Perché Tu sei morto. Mi ti hanno morto! Non ci sei più sulla Terra! Più! In qualunque posto io getti l'anima per cercare la tua e abbracciarsi ad essa, poiché trovarti, averti, sentirti era la vita della mia carne e del mio spirito, in qualunque posto io ti cerchi con l'onda del mio amore, non ti trovo più, più non ti trovo! Di Te non mi resta che questa spoglia fredda, questa spoglia senz'anima! O anima del mio Gesù, o anima del mio Cristo, o anima del mio Signore, dove sei? Perché avete levata l'anima al Figlio mio, iene crudeli congiunte con Satana? E perché non m'avete seco lui crocifissa? Avete avuto paura di un secondo delitto? (La voce si fa sempre più forte e straziante). E che era uccidere una povera donna, per voi che non avete esitato ad uccidere Dio fatto Carne? Non avete commesso un secondo delitto? E non è questo il più nefando, di lasciare sopravvivere una madre al figlio trucidato?».
 7 La Madre, che con la voce aveva alzato anche il capo, ora torna a curvarsi sul volto spento ed a parlare piano, solo per Lui:
   «Almeno nella tomba, qui dentro, saremmo stati insieme come insieme saremmo stati nell'agonia sul legno, e insieme nel viaggio oltre vita e incontro alla Vita. Ma, se seguirti non posso nel viaggio oltre la vita, qui ad attenderti posso restare».
   Si torna a drizzare e dice forte ai presenti:
   «Andate tutti. Io resto. Chiudetemi qui con Lui. Lo attendo. Che dite? Che non si può? Perché non si può? Se fossi morta non sarei qui, coricata al suo fianco, in attesa d'essere composta? Sarò al suo fianco, ma in ginocchio. Vi fui quando Egli vagiva, tenero e roseo, in una notte decembrina. Vi sarò ora, in questa notte del mondo che non ha più il Cristo. Oh! vera notte! La Luce non è più!… O gelida notte! L'Amore è morto! Che dici, Nicodemo? Mi contamino? Il suo Sangue non è contaminazione. Non mi contaminai neppure nel generarlo. Ah! come uscisti, Tu, Fiore del mio seno, senza lacerare fibra, ma proprio come fiore di profumato narciso, che sboccia dall'anima del bulbo-matrice e dà fiore anche se l'abbraccio della terra non è stato sulla matrice. Vergine fiorire che in Te ha riscontro, o Figlio venuto da abbraccio celeste e nato fra celesti dilagar di fulgori».
 8 Ora la Madre straziata si torna a curvare sul Figlio, straniandosi da ogni altra cosa che non sia Lui, e mormora piano:
   «Ma te la ricordi, Figlio, quella sublime veste di splendori che tutto vestì mentre il tuo sorriso nasceva al mondo? Te la ricordi quella beatifica luce che il Padre mandò dai Cieli per avvolgere il mistero del tuo fiorire e per farti trovare meno repellente questo mondo oscuro, a Te che eri Luce e venivi dalla Luce del Padre e dello Spirito Paraclito? Ed ora?… Ora buio e freddo… Quanto freddo! Quanto! Io ne tremo tutta. Più di quella notte di dicembre. Allora c'era la gioia dell'averti a scaldarmi il cuore. E Tu avevi due ad amarti… Ora… Ora sono sola e morente io pure. Ma ti amerò per due: per questi che ti hanno amato tanto poco da abbandonarti nel momento del dolore; ti amerò per quelli che ti hanno odiato, per tutto il mondo ti amerò, o Figlio. Non sentirai il gelo del mondo. No, non lo sentirai. Tu non mi apristi le viscere per nascere, ma per non farti sentire il gelo io sono pronta ad aprirmele e chiuderti nell'abbraccio del seno mio. Tu lo ricordi come questo seno ti amò, piccolo germe palpitante?… È sempre quel seno. Oh! è il mio diritto e il mio dovere di Madre. È il mio desiderio. Non c'è che la Madre che possa averlo, che possa avere per il Figlio un amore grande quanto l'universo».
 9 La voce si è andata elevando e ora, tutta forte, dice: «Andate. Io resto. Tornerete fra tre giorni ed usciremo insieme. Oh! rivedere il mondo appoggiata al tuo braccio, o Figlio mio! Come sarà bello il mondo alla luce del tuo risorto sorriso! Il mondo fremente al passo del suo Signore! La Terra ha tremato quando la morte ti ha svelto l'anima e dal cuore t'è uscito lo spirito. Ma ora tremerà… oh! non più di orrore e spasimo, ma del fremito soave, a me sconosciuto ma che la mia femminilità intuisce, che scuote una vergine quando, dopo un'assenza, sente la pedata dello sposo che viene per le nozze. Più ancora: la Terra fremerà di un fremito santo, come io ne fui scossa, fin nel profondo più fondo, quando ebbi in me il Signore Uno e Trino, e il volere del Padre col fuoco dell'Amore creò il seme da cui Tu sei venuto, o mio Bambino santo, Creatura mia, tutta mia! Tutta! Tutta della Mamma! della Mamma!… Ogni bambino ha padre e madre. Anche il bastardo ha un padre e una madre. Ma Tu hai avuto la Mamma sola a farti la Carne di rosa e giglio, a farti questi ricami di vene, azzurre come i nostri rivi di Galilea, e queste labbra di melograno, e questi capelli che più vaghi non l'hanno le capre biondo-chiomate dei nostri colli, e questi occhi, due piccoli laghi di Paradiso. No, anzi, che son dell'acqua da cui viene l'unico e quadruplice Fiume del Luogo di delizie, e seco porta, nei suoi quattro rami, l'oro, l'onice, il bidellio e l'avorio, e i diamanti, e le palme, e il miele, e le rose, e ricchezze infinite, o Fison, o Gehon, o Tigri, o Eufrate: via agli angeli giubilanti in Dio, via ai re che Te adorano, Essenza conosciuta o sconosciuta, ma vivente, ma presente anche nel cuore più oscuro! Solo la tua Mamma ti ha fatto questo, col suo "sì"… Di musica e di amore ti ho composto, di purezza e ubbidienza ti ho fatto, o Gioia mia! 
 10Il tuo Cuore cosa è? La fiamma del mio che si è partita per condensarsi in corona intorno al bacio di Dio alla sua Vergine. Ecco cosa è questo tuo Cuore. Ah!».
   (L'urlo è straziante, al punto che la Maddalena accorre a soccorrere insieme a Giovanni. Le altre non osano e, piangenti e velate, sogguardano dall'apertura).
   «Ah! te l'hanno spezzato! Ecco perché sei così freddo e così fredda sono io! Non hai più dentro la fiamma del mio cuore, ed io non posso più continuare a vivere per il riflesso di quella fiamma, che era mia e che ti ho data per farti un cuore. Qui, qui, qui, sul mio petto! Prima che morte m'uccida ti voglio scaldare, cullare ti voglio. Ti cantavo: "Non c'è casa, non c'è cibo, non c'è altro che dolor". O profetiche parole! Dolore, dolore, dolore per Te, per me! Ti cantavo: "Dormi, dormi sul mio cuore". Anche ora: qui, qui, qui…».
   E, sedendosi sull'orlo della pietra, se lo raccoglie in grembo, passandosi un braccio del Figlio sulle spalle, appoggiandosi il capo del Figlio sull'òmero e su quel capo piegando il suo, tenendolo stretto al petto, ninnandolo, baciandolo, straziata e straziante.
 11Nicodemo e Giuseppe si avvicinano, appoggiando ad una specie di sedile, che è all'altra parte della pietra, vasi e bende, e la sindone monda e un catino con acqua, mi pare, e batuffoli di filacce, mi pare.
   Maria vede e chiede, forte: «Che fate voi? Che volete? Prepararlo? A che? Lasciatelo in grembo alla sua Mamma. Se riesco a scaldarlo, prima risorge. Se riesco a consolare il Padre e a consolare Lui dell'odio deicida, il Padre perdona prima, e Lui prima torna».
   La Dolorosa è quasi delirante.
   «No, non ve lo do! L'ho dato una volta, una volta l'ho dato al mondo, e il mondo non lo ha voluto. L'ha ucciso per non volerlo. Ora non lo do più! Che dite? Che lo amate? Già! Ma perché allora non l'avete difeso? Avete atteso, a dirlo che lo amavate, quando non era più che uno che non poteva più udirvi. Che povero amore il vostro! Ma se eravate così paurosi del mondo, al punto di non osare di difendere un innocente, almeno lo dovevate rendere a me, alla Madre, perché difendesse il suo Nato. Lei sapeva chi era e che meritava. Voi!… Voi lo avete avuto a Maestro, ma non avete nulla imparato. Non è vero forse? Mento forse? Ma non vedete che non credete alla sua Risurrezione? Ci credete? No. Perché state là, preparando bende e aromi? Perché lo giudicate un povero morto, oggi gelido, domani corrotto, e lo volete imbalsamare per questo. Lasciate le vostre manteche. Venite ad adorare il Salvatore col cuore puro dei pastori betlemmiti. Guardate: nel suo sonno non è che uno stanco che riposa. Quanto ha faticato nella vita! Sempre più ha faticato! E in queste ultime ore, poi!… Ora riposa. Per me, per la Mamma sua non è che un grande Bambino stanco che dorme. Ben misero il letto e la stanza! Ma anche il suo primo giaciglio non fu più bello, né più allegra la sua prima dimora. I pastori adorarono il Salvatore nel suo sonno di Infante. Voi adorate il Salvatore nel suo sonno di Trionfatore di Satana. E poi, come i pastori, andate a dire al mondo: "Gloria a Dio! Il Peccato è morto! Satana è vinto! Pace sia in Terra e in Cielo fra Dio e l'uomo!". Preparate le vie al suo ritorno. Io vi mando. Io che la Maternità fa Sacerdotessa del rito. Andate. Ho detto che non voglio. Io l'ho lavato col mio pianto. E basta. Il resto non occorre. E non vi pensate di porlo su di Lui. Più facile sarà per Lui il risorgere se libero da quelle funebri, inutili bende. Perché mi guardi così, Giuseppe? E tu perché, Nicodemo? Ma l'orrore di questa giornata ebeti vi ha fatto? Smemorati? Non ricordate? "A questa generazione malvagia e adultera, che cerca un segno, non sarà dato che il segno di Giona… Così il Figlio dell'uomo starà tre giorni e tre notti nel cuore della Terra". Non ricordate? "Il Figlio dell'uomo sta per essere dato in mano agli uomini che l'uccideranno, ma il terzo giorno risorgerà". Non ricordate? "Distruggete questo Tempio del Dio vero ed in tre giorni Io lo risusciterò". Il Tempio era il suo Corpo, o uomini. Scuoti il capo? Mi compiangi? Folle mi credi? Ma come? Ha risuscitato i morti e non potrà risuscitare Se stesso? 
 12Giovanni?».
   «Madre!».
   «Sì, chiamami "madre". Non posso vivere pensando che non sarò chiamata così! Giovanni, tu eri presente quando risuscitò la figlioletta di Giairo e il giovinetto di Naim. Erano ben morti, quelli, vero? Non era solo un pesante sopore? Rispondi».
   «Morti erano. La bambina da due ore, il giovinetto da un giorno e mezzo».
   «E sorsero al suo comando?».
   «E sorsero al suo comando».
   «Avete udito? Voi due, avete udito? Ma perché scuotete il capo? Ah! forse volete dire che la vita torna più presto in chi è innocente e giovinetto. Ma il mio Bambino è l'Innocente! Ed è il sempre Giovane. È Dio, mio Figlio!…». La Madre guarda con occhi di strazio e di follia i due preparatori che, accasciati ma inesorabili, dispongono i rotoli delle bende inzuppate ormai negli aromi.
   Maria fa due passi. Ha rideposto il Figlio sulla pietra con la delicatezza di chi depone un neonato nella cuna. Fa due passi, si curva ai piedi del letto funebre, dove in ginocchio piange la Maddalena, e l'afferra per una spalla, la scuote, la chiama: «Maria. Rispondi. Costoro pensano che Gesù non possa risorgere perché uomo e morto di ferite. Ma tuo fratello non è più vecchio di Lui?».
   «Sì».
   «Non era tutto una piaga?».
   «Sì».
   «Non era già putrido prima di scendere nel sepolcro?».
   «Sì».
   «E non risorse dopo quattro giorni di asfissia e di putrefazione?».
   «Sì».
   «E allora?».
 13Un silenzio grave e lungo. Poi un urlo inumano. Maria vacilla portandosi una mano sul cuore. La sostengono. Ma Lei li respinge. Pare respinga i pietosi. In realtà respinge ciò che Lei sola vede. E urla: «Indietro! Indietro, crudele! Non questa vendetta! Taci! Non ti voglio udire! Taci! Ah! mi morde il cuore!».
   «Chi, Madre?».
   «O Giovanni! Satana è! Satana che dice: "Non risorgerà. Nessun profeta l'ha detto". O Dio altissimo! Aiutatemi tutti, o voi, spiriti buoni, o voi, uomini pietosi! La mia ragione vacilla! Non ricordo più nulla. Che dicono i profeti? Che dice il salmo? Oh! chi mi ripete i passi che parlano del mio Gesù?».
   È la Maddalena che con la sua voce d'organo dice il salmo davidico sulla Passione del Messia.
   La Madre piange più forte, sorretta da Giovanni, e il pianto cade sul Figlio morto che ne è tutto bagnato. Maria vede, e lo asciuga, e dice a voce bassa: «Tanto pianto! E quando avevi tanta sete neppure una stilla te ne ho potuto dare. E ora… tutto ti bagno! Sembri un arbusto sotto una pesante rugiada. Qui, che la Mamma ti asciuga, Figlio! Tanto amaro hai gustato! Sul tuo labbro ferito non cada anche l'amaro e il sale del materno pianto!…».
   Poi chiama forte: «Maria. Davide non dice… Sai Isaia? Di' le sue parole…».
   La Maddalena dice il brano sulla Passione e termina con un singhiozzo: «… consegnò la sua vita alla morte e fu annoverato tra i malfattori, Egli che tolse i peccati del mondo e pregò per i peccatori».
   «Oh! Taci! Morte no! Non consegnato alla morte! No! No! Oh! che il vostro non credere, alleandosi alla tentazione di Satana, mi mette il dubbio nel cuore! E dovrei non crederti, o Figlio? Non credere alla tua santa parola?! Oh! dilla all'anima mia! Parla. Dalle sponde lontane, dove sei andato a liberare gli attendenti la tua venuta, getta la tua voce d'anima alla mia anima protesa, alla mia che è qui, tutta aperta a ricevere la tua voce. Dillo a tua Madre che torni! Di': "Al terzo giorno risorgerò". Te ne supplico, Figlio e Dio! Aiutami a proteggere la mia fede. Satana la attorciglia nelle spire per strozzarla. Satana ha levato la sua bocca di serpe dalla carne dell'uomo, perché Tu gli hai strappato questa preda, e ora ha confitto l'uncino dei suoi denti velenosi nella carne del mio cuore e me ne paralizza i palpiti, e la forza, e il calore. Dio! Dio! Dio! Non permettere che io diffidi! Non lasciare che il dubbio mi agghiacci! Non dare libertà a Satana di portarmi a disperare! Figlio! Figlio! Mettimi la mano sul cuore. Caccerà Satana. Mettimela sul capo. Vi riporterà la luce. Santifica con una carezza le mie labbra, perché si fortifichino a dire: "Credo" anche contro tutto un mondo che non crede. Oh! che dolore è non credere! Padre! Molto bisogna perdonare a chi non crede. Perché, quando non si crede più… quando non si crede più… ogni orrore diviene facile. Io te lo dico… io che provo questa tortura. Padre, pietà dei senza fede! Da' loro, Padre santo, da' loro, per questa Ostia consumata e per me, ostia che si consuma ancora, da' la tua Fede ai senza fede!».
 14Un lungo silenzio.
   Nicodemo e Giuseppe fanno un cenno a Giovanni e alla Maddalena.
   «Vieni, Madre». È la Maddalena che parla, cercando di allontanare Maria dal Figlio e di dividere le dita di Gesù intrecciate fra quelle di Maria, che le bacia piangendo.
   La Mamma si raddrizza. È solenne. Stende un'ultima volta le povere dita esangui, conduce la mano inerte a fianco del Corpo. Poi abbassa le braccia verso terra e, ben dritta, colla testa lievemente riversa, prega e offre. Non si ode parola. Ma si capisce che prega da tutto l'aspetto. È veramente la Sacerdotessa all'altare, la Sacerdotessa nell'attimo dell'offerta. «Offerimus praeclarae majestati tuae de tuis donis, ac datis, hostiam puram, hostiam sanctam, hostiam immaculatam…».
   Poi si volge: «Fate pure. Ma Egli risorgerà. Inutilmente voi diffidate della mia ragione e siete ciechi alla verità che Egli vi disse. Inutilmente tenta Satana di insidiare la mia fede. A redimere il mondo manca anche la tortura data al mio cuore da Satana vinto. La subisco e la offro per i futuri. Addio, Figlio! Addio, mia Creatura! Addio, Bambino mio! Addio… Addio… Santo… Buono… Amatissimo e amabile… Bellezza… Gioia… Fonte di salute… Addio… Sui tuoi occhi… sulle tue labbra… sui tuoi capelli d'oro… sulle tue membra gelide… sul tuo Cuore trafitto… oh! sul tuo Cuore trafitto… il mio bacio… il mio bacio… il mio bacio… Addio… Addio… Signore! Pietà di me!».   

 

   [19 febbraio 1944]

 

 15I due preparatori hanno finito la preparazione delle bende.
   Vengono alla tavola e denudano Gesù anche del suo velo. Passano una spugna, mi pare, o un batuffolo di lino sulle membra in una molto frettolosa preparazione delle membra goccianti da mille parti.
   Poi spalmano tutto il Corpo di unguenti. Lo seppelliscono addirittura sotto una crosta di manteca. Prima lo hanno sollevato, nettando anche la tavola di pietra su cui posano la sindone, che pende per oltre la metà dal capo del letto. Lo riadagiano sul petto e spalmano tutto il dorso, le cosce, le gambe. Tutta la parte posteriore. Poi delicatamente lo girano, osservando che non venga asportata la manteca degli aromi, e lo ungono anche dalla parte anteriore. Prima il tronco, poi le membra. Prima i piedi, per ultime le mani, che uniscono sul basso ventre.
   La mistura degli aromi deve essere appiccicosa come gomma, perché vedo che le mani restano a posto, mentre prima scivolavano sempre per il loro peso di membra morte. I piedi no. Conservano la loro posizione: uno più dritto, l'altro più steso.
   Per ultimo, il capo. Dopo averlo spalmato accuratamente, di modo che le fattezze scompaiono sotto lo strato di unguento, lo legano con la fascia mentoniera per mantenere chiusa la bocca.
   Maria geme più forte.
   Poi alzano il lato pendente della sindone e la ripiegano sopra a Gesù. Egli scompare sotto la grossa tela della sindone. Non è più che una forma coperta da un telo.
   Giuseppe osserva che tutto sia bene a posto e appoggia ancora sul viso un sudario di lino e altri panni, simili a corte e larghe strisce rettangolari, che passano da destra a sinistra, al disopra del Corpo, e tengono a posto la sindone, bene aderente al Corpo. Non è la caratteristica fasciatura che si vede nelle mummie e neppure nella risurrezione di Lazzaro. È un embrione di fasciatura.
   Gesù ormai è annullato. Anche la forma si confonde sotto i lini. Sembra un lungo mucchio di tela, più stretto ai vertici e più largo al centro, appoggiato sul grigio della pietra.
   Maria piange più forte.  

 

   [4 ottobre 1944]

 

 16Dice Gesù:
   «E la tortura continuò con assalti periodici sino all'alba della Domenica. Io ho avuto, nella Passione, una sola tentazione. Ma la Madre, la Donna, espiò per la donna, colpevole di ogni male, più e più volte. E Satana sulla Vincitrice infierì con centuplicata ferocia.
   Maria l'aveva vinto. Su Maria la più atroce tentazione. Tentazione alla carne della Madre. Tentazione al cuore della Madre. Tentazione allo spirito della Madre.Il mondo crede che la Redenzione ebbe fine col mio ultimo anelito. No. La compì la Madre, aggiungendo la sua triplice tortura per redimere la triplice concupiscenza, lottando per tre giorni contro Satana che la voleva portare a negare la mia Parola e non credere nella mia Risurrezione. Maria fu l'unica che continuò a credere. Grande e beata è anche per questa fede.
   Hai conosciuto anche questo. Tormento che fa riscontro al tormento del mio Getsemani. Il mondo non capirà questa pagina. Ma "coloro che sono nel mondo senza essere del mondo" la comprenderanno e aumentato amore avranno per la Madre Dolorosa. Per questo l'ho data.
   Va' in pace con la nostra benedizione».

Santa Madre, deh voi fate che le piaghe del Signore siano impresse nel mio cuore.
Pater, Ave, Gloria


'L'Evangelo come mi è stato rivelato' di Maria Valtorta' Cap. 613 
Riflessioni sulla Passione di Gesù e di Maria e sulla Con-passione di Giovanni.

   20 febbraio 1944.

  1 Ora, è già notte, dice Gesù:
   «Tu lo hai visto quanto costi essere Salvatori. Lo hai visto in Me ed in Maria. Le nostre torture le hai tutte conosciute ed hai visto con che generosità, con che eroismo, con che pazienza, con che mitezza, con che costanza, con che fortezza le abbiamo subite per la carità di salvarvi.
   Tutti coloro che vogliono, che chiedono al Signore Iddio di fare di essi dei "salvatori", devono ben pensare che Io e Maria siamo il modello e che quelle sono le torture da condividere per salvare. Non saranno la croce, le spine, i chiodi, i flagelli materiali. Saranno altri, di altra forma e natura. Ma ugualmente dolorosi e ugualmente consumanti. Ed è solo consumando il sacrificio fra quei dolori che si può divenire salvatori.
   È una missione austera. La più austera di tutte. Quella rispetto alla quale la vita del monaco o della monaca della più severa regola è un fiore rispetto ad un mucchio di spine. Perché questa è non regola di Ordine umano. Ma Regola di un sacerdozio, di una monacazione divina, il cui Fondatore sono Io, Io che consacro e accolgo nella mia Regola, nel mio Ordine, gli eletti ad essa, e impongo loro il mio abito: il Dolore totale, sino al sacrificio.
 2 Tu hai visto le mie sofferenze. Esse sono state volte a riparare le vostre colpe. Niente nel mio Corpo è stato escluso da esse, perché niente nell'uomo è esente da colpe e tutte le parti del vostro io fisico e morale — quell'io che Dio vi ha dato con una perfezione di opera divina e che voi avete avvilito con la colpa del progenitore e con le vostre tendenze al male, con la vostra volontà cattiva — sono strumenti di cui vi servite per compiere il peccato.
   Ma Io sono venuto per annullare gli effetti del peccato col mio Sangue e il mio dolore, lavando le vostre singole parti fisiche e morali in essi per mondarle e per renderle forti contro le tendenze colpevoli.
 3 Le mie Mani sono state ferite e imprigionate, dopo essersi stancate a portare la Croce, per riparare a tutti i delitti fatti dalla mano dell'uomo. Da quelli veri e propri di reggere e manovrare un'arma contro un fratello, facendo di voi dei Caini, a quelli di rubare, di scrivere false accuse, di fare atti contro il rispetto del vostro e dell'altrui corpo e di oziare in un'infingardia che è terreno propizio ai vostri vizi. Per le vostre illecite libertà delle mani ho fatto crocifiggere le mie, inchiodandole al legno, privandole d'ogni moto più che lecito e necessario.
   I Piedi del vostro Salvatore, dopo essersi affaticati e contusi sulle pietre del mio cammino di Passione, sono stati trafitti, immobilizzati per riparare a tutto il male che voi fate coi piedi, facendo di essi il mezzo per andare ai vostri delitti, furti, fornicazioni. Ho segnato le vie, le piazze, le case, le scale di Gerusalemme, per purificare tutte le vie, le piazze, le scale, le case della Terra da tutto il male che vi era nato sopra e dentro, seminato nei secoli passati e nei secoli avvenire dal vostro mal volere, ubbidiente alle istigazioni di Satana.
 4 Le mie Carni si sono maculate, contuse, lacerate per punire in Me tutto il culto esagerato, l'idolatria che voi date alla carne vostra e di chi amate per capriccio di senso o anche per affetto che in sé non è riprovevole ma che rendete tale amando un genitore, un coniuge, un figlio, un fratello più di quanto non amiate Dio.
   No. Sopra ogni amore ed ogni vincolo della Terra vi è, vi deve essere l'amore per il Signore Iddio vostro. Nessuno, nessuno altro affetto deve essere superiore a questo. Amate i vostri in Dio, non sopra a Dio. Amate con tutti voi stessi Dio. Ciò non assorbirà il vostro amore al punto di rendervi indifferenti ai congiunti, ma anzi alimenterà il vostro amore per essi della perfezione attinta da Dio, perché chi ama Dio ha Dio in sé e avendo Dio ha la Perfezione.
   Io ho fatto delle mie Carni una piaga per levare alle vostre il veleno del senso, del non pudore, del non rispetto, dell'ambizione e ammirazione per la carne destinata a tornare polvere. Non è col culto alla carne che si porta la carne alla bellezza. È con il distacco da essa che si dà ad essa la Bellezza eterna nel Cielo di Dio.
 La mia Testa fu torturata da mille torture: delle percosse, del sole, delle urla, delle spine, per riparare alle colpe della vostra mente. Superbia, impazienza, insopportabilità, insofferenza pullulano come un fungaio nel vostro cervello. Io ho fatto di esso un organo torturato, chiuso in uno scrigno decorato di sangue, per riparare a tutto ciò che sgorga dal vostro pensiero.
   L'unica corona che ho voluto, tu l'hai vista. La corona che solo un pazzo o un suppliziato può portare. Nessuno che sia sano di mente (umanamente parlando) e libero di sé, se la impone. Ma Io ero giudicato pazzo, e pazzo, soprannaturalmente, divinamente pazzo ero, volendo morire per voi che non mi amate o mi amate così poco, volendo morire per vincere il Male in voi sapendo che lo amate più di Dio, ed ero in balìa dell'uomo, suo prigioniero, suo condannato. Io, Dio, condannato dall'uomo.
   Quante impazienze voi avete per dei nonnulla, quante incompatibilità per delle inezie, quante insoffribilità per dei semplici malesseri! Ma guardate il vostro Salvatore. Meditate cosa doveva essere di eccitante quel pungere continuo in nuovi posti, quell'impigliarsi nelle ciocche dei capelli, quello spostarsi continuo senza dar modo di muovere il capo, di appoggiarlo in nessun modo che non desse tormento! Ma pensate cosa erano per la mia Testa torturata, dolente, febbrile, le urla della folla, le percosse sul capo, il sole cocente! Ma riflettete quale dolore dovevo avere nel mio povero cervello, andato all'agonia del Venerdì già tutto un dolore per lo sforzo subìto nella sera del Giovedì, nel mio povero cervello al quale saliva la febbre di tutto il Corpo straziato e delle intossicazioni provocate dalle torture!
 6 E nel Capo gli occhi ebbero la loro, e la sua ebbe la bocca, e la sua il naso, e la sua la lingua. Per riparare ai vostri sguardi così amanti di vedere ciò che è male e così dimentichi di cercare Dio, per riparare alle troppe e troppo bugiarde e sporche e lussuriose parole che dite invece di usare le labbra per pregare, per insegnare, per confortare; ebbero la sua tortura il naso e la lingua per riparare alle vostre golosità e alla vostra sensualità d'olfatto, per cui pure commettete delle imperfezioni che sono terreno a più gravi colpe, e delle colpe con l'avidità di cibi superflui, senza pietà di chi ha fame, di cibi che vi potete permettere molte volte ricorrendo a mezzi illeciti di guadagno.
   I miei organi non furono esenti dal soffrire. Non uno di essi. Soffocazioni e tosse per i polmoni contusi dalla barbara flagellazione e resi edematici dalla posizione sulla croce. Affanno e dolore al cuore spostato e reso infermo dalla crudele flagellazione, dal dolore morale che l'aveva preceduta, dalla fatica della salita sotto il grave peso del legno, dall'anemia consecutiva a tutto il sangue che già aveva sparso. Fegato congesto, milza congesta, reni contuse e congeste.
 7 Tu l'hai vista la corona di lividi che stava intorno ai miei reni. I vostri scienziati, per dare una prova alla vostra incredulità rispetto a quella prova del mio patire che è la Sindone, spiegano come il sangue, il sudore cadaverico e l'urea di un corpo sopraffaticato abbiano potuto, mescolandosi agli aromi, produrre quella naturale pittura del mio Corpo estinto e torturato.
   Meglio sarebbe credere senza aver bisogno di tante prove per credere. Meglio sarebbe dire: "Ciò è opera di Dio" e benedire Iddio che vi ha concesso di avere la prova irrefragabile della mia Crocifissione e delle precedenti torture!
   Ma poiché, ora, non sapete più credere con la semplicità dei bambini, ma avete bisogno di prove scientifiche — povera fede, la vostra, che senza il puntello e il pungolo della scienza non sa star ritta e camminare — sappiate che le contusioni feroci delle mie reni sono state l'agente chimico più potente nel miracolo della Sindone. Le mie reni, quasi frante dai flagelli, non hanno più potuto lavorare. Come quelle degli arsi in una vampa, sono state incapaci di filtrare, e l'urea si è accumulata e sparsa nel mio sangue, nel mio corpo, dando le sofferenze della intossicazione uremica e il reagente che trasudando dal mio Cadavere fissò l'impronta sulla tela. Ma chi è medico fra voi, o chi fra voi è malato di uremìa, può capire quali sofferenze dovettero darmi le tossine uremiche, tanto abbondanti da esser capaci di produrre un'impronta indelebile.
 8 La sete. Quale tortura la sete! Eppure lo hai visto. Non ci fu uno, fra tanti, che in quelle ore mi seppe dare una goccia d'acqua. Dalla Cena in poi, Io non ebbi più nessun conforto. E febbre, sole, calore, polvere, dissanguamento, davano tanta sete al vostro Salvatore.
   Tu l'hai visto che ho respinto il vino mirrato. Non volevo addolcimenti al mio patire. Quando ci si è offerti vittime, bisogna essere vittimesenza transazioni pietose, senza compromessi, senza addolcimenti. Occorre bere il calice così come esso è dato. Gustare l'aceto e il fiele sino in fondo. Non il vino drogato che produce intontimento del dolore.
   Oh! la sorte di vittima è ben severa! Ma beato chi la elegge per sua sorte.
 9 Questo il soffrire del tuo Gesù nel suo Corpo innocente. E non ti parlo delle torture dell'affetto per mia Madre e per il suo dolore. Ci voleva quel dolore. Ma per Me è stato lo strazio più crudele. Solo il Padre sa cosa ha sofferto il suo Verbo nello spirito, nel morale, nel fisico! Anche la presenza della Madre, se è stata la cosa più desiderata dal mio cuore che aveva bisogno di avere quel conforto nella solitudine infinita che lo circondava, infinita, solitudine veniente da Dio e dagli uomini, è stata tortura.
   Ella doveva esser là, angelo di carne per impedire alla disperazione di assalirmi come l'angelo spirituale l'aveva impedito nel Getsemani, doveva esser là per unire il mio Dolore al suo per la vostra Redenzione, doveva esser là per ricevere l'investitura di Madre del genere umano. Ma vederla morire ad ogni mio fremito è stato il mio più grande dolore. Neppure il tradimento, neppure la cognizione che il mio Sacrificio sarebbe stato inutile per tanti, questi due dolori che poche ore prima mi erano parsi tanto grandi da farmi sudare sangue, erano paragonabili a questo.
 10Ma tu lo hai visto come è stata grande Maria in quell'ora. Lo strazio non le ha impedito d'esser forte ben più di Giuditta.
   Questa ha ucciso. Quella si è fatta uccidere attraverso la sua Creatura. E non ha imprecato, e non ha odiato. Ha pregato, ha amato, ha ubbidito. Madre sempre, sino a pensare, fra quelle torture, che il suo Gesù aveva bisogno del suo velo verginale sulle sue carni innocenti per difesa del suo pudore, Ella ha saputo essere nel contempo Figlia del Padre dei Cieli e ubbidire alla sua tremenda volontà di quell'ora. Non ha imprecato, non si è ribellata. Né a Dio, né agli uomini. Ha perdonato a questi. Ha detto "Fiat" a Quello.
   Anche dopo l'hai udita: "Padre, io ti amo e Tu ci hai amati"! Se lo ricorda e lo proclama che Dio l'ha amata e gli rinnova il suo atto di amore. In quell'ora! Dopo che il Padre l'ha trafitta e orbata della sua ragione d'essere. Lo ama. Non dice: "Non ti amo più perché Tu m'hai colpita". Lo ama. E non si affligge per il suo dolore. Ma per quello subìto dal Figlio. Non urla per il suo cuore spezzato, ma per il mio trafitto. Di questo chiede ragione al Padre, non del suo dolore. Chiede ragione al Padre in nome del loro Figlio.
 11Ella è ben la Sposa di Dio. Ella è ben Colei che ha concepito per coniugio con Dio. Ella lo sa che contatto umano non ha generato la sua Creatura, ma solo Fuoco sceso dal Cielo a penetrare nel suo seno immacolato e a deporvi il Germe divino, la Carne dell'Uomo-Dio, del Dio-Uomo, del Redentore del mondo. Ella lo sa, e come sposa e madre chiede ragione di quella ferita. Le altre dovevano essere date. Ma questa, quando tutto era stato compiuto, perché?
   Povera Mamma! Vi è stato un perché, che il tuo dolore non ti ha permesso di leggere sulla mia ferita. Ed è stato che gli uomini vedessero il Cuore di Dio. Tu lo hai visto, Maria. E non lo dimenticherai mai più.
   Ma, lo vedi?, Maria, nonostante non veda in quel momento le soprannaturali ragioni di quella ferita, pensa subito che essa non m'ha fatto male e ne benedice Iddio. Che quella ferita faccia tanto male a Lei, povera Mamma, Ella non se ne cura. Non ha fatto male a Me, e ciò le basta e le serve per benedire Iddio che l'immola.
 12Chiede unicamente un poco di conforto per non morire. È necessaria alla Chiesa nascente, di cui è stata creata Madre poche ore innanzi. La Chiesa, come un neonato, ha bisogno di cure e di latte materno. Maria lo darà alla Chiesa sorreggendo gli apostoli, parlando ad essi del Salvatore, pregando per essa. Ma come lo potrebbe se spirasse questa sera? La Chiesa, che ha pochi più giorni per rimanere senza il suo Capo fra essa, rimarrebbe orfana del tutto se anche la Madre spirasse. E la sorte dei neonati orfani è sempre precaria.
   Dio non delude mai una giusta preghiera e conforta i suoi figli che sperano in Lui. Maria lo prova nel conforto della Veronica. Ella, la povera Mamma, ha stampato negli occhi l'effigie del mio Volto spento. Non può resistere a quella vista. Non è più il suo Gesù quello, invecchiato, enfiato, con gli occhi chiusi che non la guardano, con la bocca contorta che non le parla e sorride. Ma ecco un Volto che è di Gesù vivo. Doloroso, ferito, ma vivo ancora. Ecco il suo sguardo che la guarda, la sua bocca che par dica: "Mamma!". Ecco il suo sorriso che la saluta ancora.
   Oh! Maria! Cercalo il tuo Gesù nel tuo dolore. Egli verrà sempre e ti guarderà, ti chiamerà, ti sorriderà. Divideremo il dolore, ma saremo uniti!
 13Giovanni, o piccolo Giovanni, ha diviso con Maria e con Gesù il dolore. Sii come Giovanni, sempre. Anche in questo.
   Già te l'ho detto: "Non sarai grande per le contemplazioni e i dettati. Questi sono miei. Ma per il tuo amore. E l'amore più alto è nella compartecipazione al dolore". Questo dà modo di intuire i minimi desideri di Dio e di renderli realtà nonostante tutti gli ostacoli.
   Guarda con che viva e delicata sensibilità Giovanni si conduce dalla notte del Giovedì alla notte del Venerdì. E oltre. Ma osserviamolo in quelle ore.
   Un attimo di smarrimento. Un'ora di pesantezza. Ma, superato il sonno con l'orgasmo della cattura e l'orgasmo con l'amore, egli viene, trascinandosi seco Pietro, perché il Maestro abbia un conforto vedendo il Capo degli apostoli e il Prediletto fra gli apostoli.
   E poi pensa alla Madre, alla quale qualche crudele può urlare l'avvenuta cattura. E va da Lei. Egli non sa che Maria già vive gli strazi del Figlio e che, mentre gli apostoli dormivano, Ella vegliava e pregava, agonizzando col Figlio. Egli non lo sa. E va a Lei e la prepara alla notizia.
   E poi fa la spola fra la casa di Caifa e il Pretorio, la casa di Caifa e la reggia d'Erode, e da capo dalla casa di Caifa al Pretorio. E fare ciò quella mattina, traversando la folla ubbriaca di odio, con le vesti che lo accusano per galileo, non è comoda cosa. Ma l'amore lo sostiene ed egli non pensa a sé, ma ai dolori di Gesù e di sua Madre. Potrebbe esser lapidato perché seguace del Nazareno. Non importa. Egli sfida tutto. Gli altri sono fuggiti, stanno nascosti, la prudenza e la paura li conducono. Lui lo conduce l'amore e resta e si mostra. È un puro. L'amore prospera nella purezza.
   E se la sua pietà ed il suo buon senso di popolano lo inducono a tenere Maria lontana dalla folla e dal Pretorio — egli non sa che Maria condivide tutte le torture del Figlio, patendole spiritualmente — quando giudica essere l'ora che Gesù ha bisogno della Madre e che non è lecito tenere oltre la Madre separata dal Figlio, egli la conduce a Lui, la sostiene, la difende.
 Cosa è quel pugno di persone fedeli: un uomo solo, inerme, giovane, senza autorità, a capo di poche donne, contro tutta una folla imbestialita? Nulla. Un mucchietto di foglie che il vento può disperdere. Una piccola barca su un oceano in tempesta che la può sommergere. Non importa. L'amore è la sua forza e la sua vela. Egli va armato di questo, e con questo protegge la Donna e le donne fino alla fine.
   Giovanni ha posseduto l'amore di compassione come nessun altro al mondo, eccettuata mia Madre. Egli è il capostipite degli amorosi di questo amore. È il tuo maestro in questo. Séguilo nell'esempio che ti dà di purezza e carità, e sarai grande.
   Va' in pace, ora. Ti benedico».         

   [7 aprile 1945]
 
 14Dice Gesù:
   «[…] E, dato che prevedo le osservazioni dei troppi Tommasi e dei troppi scribi di ora su una frase di questo dettato, che pare in contrasto con il sorso d'acqua offerto da Longino… — oh! come i negatori del soprannaturale, i razionalisti dalla perfezione all'incontrario, godrebbero nel poter trovare una fessura nel magnifico complesso di quest'opera di bontà divina e di sacrificio tuo, piccolo Giovanni, per potere, facendo leva in questa fessura col piccone del loro micidiale razionalismo, far crollare tutto! — per prevenire questi, Io dico e spiego.
   Quel povero sorso di acqua — una goccia nell'incendio della febbre e nell'asciuttore delle vene svuotate — preso per amore di un'anima che andava persuasa di amore per portarla alla Verità, preso con somma fatica nell'affanno acuto che mi strozzava il respiro e ostacolava la deglutizione, tanto ero franto dai flagelli atroci, non dette altro ristoro che quello sovrannaturale. Come carne fu un nulla, per non dire un tormento… Fiumi sarebbero occorsi alla mia sete di allora… E non potevo bere per l'affanno del dolore precordiale. E tu sai cosa è questo dolore… Fiumi sarebbero occorsi poi… e non mi furono dati. Né avrei potuto accettarli per la sempre più forte soffocazione. Ma quanto ristoro mi avrebbero dato al Cuore, se mi fossero stati offerti! Era di amore che morivo. Di amore non dato. La pietà è amore. E in Israele non vi fu pietà.
   Quando contemplate, voi buoni, o analizzate, voi scettici, quel "sorso", dategli il giusto nome: "pietà", non bevanda. Può dunque dirsi, senza perciò incorrere in menzogne, che "dalla Cena in poi Io non ebbi conforto". In tutto il popolo che mi circondava non ci fu uno che mi desse conforto, posto che il vino drogato non lo volli sorbire. Ebbi aceto e scherni. Ebbi tradimenti e percosse. Questo ebbi. Nulla più. […]».

«L'Agnello che fu immolato
è degno di ricevere Potenza e Ricchezza,
Sapienza e Forza,
Onore, Gloria e Benedizione».