MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MAGGIORE

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VOLUME III CAPITOLO 204



CCIV. La fede e l’anima spiegate ai pagani con la parabola dei templi.

   29 giugno 1945.

   204.1 Nella pace del sabato Gesù si riposa presso un campo di lino tutto in fiore appartenente a Lazzaro. Più che presso, direi che si è immerso nell’alto lino e, seduto sull’orlo di un solco, si assorbe nei suoi pensieri. Non c’è vicino a Lui che qualche silenziosa farfalla o qualche frusciante lucertola, che lo guarda con gli occhietti di giaietto, alzando il capino triangolare dalla gola chiara e palpitante. E null’altro. Nell’ora tarda del meriggio tace anche il minimo soffio di vento fra gli alti steli.
   Da lontano, forse dal giardino di Lazzaro, viene la canzone di una donna, e con essa i gridi festosi del bambino che giuoca con qualcuno. Poi una, due, tre voci che chiamano: «Maestro!», «Gesù!».
   Gesù si scuote e si alza. Per quanto il lino, al suo completo sviluppo, sia molto alto, Gesù emerge per un bel pezzo da questo mare verde e azzurro.
   «Eccolo là, Giovanni!», grida lo Zelote.
   E Giovanni a sua volta chiama: «Madre! Il Maestro è qui, nel lino».
   E, mentre Gesù si avvicina al sentiero che porta verso le case, ecco giungere Maria.
   «Che vuoi, Madre?».
   «Figlio mio, sono arrivati dei gentili con delle donne. Dicono di avere saputo da Giovanna che Tu sei qui. Dicono anche che ti hanno atteso per tutti questi giorni presso l’Antonia…».
   «Ah! ho capito! Vengo subito. Dove sono?».
   «In casa di Lazzaro, nel suo giardino. Egli è amato dai romani e non ne ha il ribrezzo che ne abbiamo noi. Li ha fatti entrare, coi loro carri, nell’ampio giardino per non dare scandalo a nessuno».
   «Va bene, Madre.

   204.2 Sono soldati e dame romane. Lo so».
   «E che vogliono da Te?».
   «Quello che molti in Israele non vogliono: Luce».
   «Ma come e cosa ti credono? Dio, forse?».
   «A modo loro sì. Per loro è facile accogliere l’idea di una incarnazione di un dio in carne mortale, più che fra di noi».
   «Allora sono giunti a credere nella tua fede…».
   «Non ancora, Mamma. Prima devo distruggere la loro. Per adesso Io sono per loro un sapiente, un filosofo, come loro dicono. Ma, sia questa brama di conoscere dottrine filosofiche, sia la loro tendenza a credere possibile la incarnazione di un dio, mi aiutano molto[77] nel portarli alla vera fede. Credilo, sono più ingenui, nel loro pensiero, di molti d’Israele».
   «Ma saranno sinceri? Si dice che il Battista…».
   «No. Fosse stato per loro, Giovanni sarebbe libero e sicuro.
   Chi non è ribelle è lasciato stare. Anzi, ti dico, presso di loro l’essere profeti – loro dicono filosofi, perché l’elevatezza della sapienza soprannaturale per loro è sempre filosofia – è una garanzia per essere rispettati. Non essere preoccupata, Mamma. Non mi verrà da lì il male…».
   «Ma i farisei… se sanno, che diranno anche di Lazzaro?
   Tu… sei Tu e devi portare la Parola al mondo. Ma Lazzaro!… È già tanto offeso da loro…».
   «Ma è intoccabile. Lo sanno protetto da Roma».
   «Ti lascio, Figlio mio. Ecco Massimino per condurti ai gentili»; e Maria, che aveva camminato al fianco di Gesù per tutto questo tempo, si ritira svelta, andando verso la casa dello Zelote, mentre Gesù entra da una porticina di ferro, aperta nella cinta del giardino, in una parte remota di esso, là dove il giardino si muta in frutteto, presso cioè al luogo dove, in futuro, sarebbe stato sepolto Lazzaro.
   Là è anche Lazzaro e nessun altro: «Maestro, mi sono permesso di ospitarli…».
   «Hai fatto bene. Dove sono?».
   «Là in quell’ombra di bossi e lauri. Come vedi, sono lontani almeno cinquecento passi dalla casa».
   «Va bene, va bene…

   204.3 La Luce venga a voi tutti».
   «Salve, Maestro!», saluta Quintilliano, vestito da cittadino.
   Le dame si alzano per salutare. Sono Plautina, Valeria e Lidia, più un’altra, anziana, che non so chi sia né che sia, se dello stesso grado o di grado inferiore. Sono tutte vestite molto semplicemente e nulla le distingue.
   «Abbiamo voluto sentirti. Tu non sei mai venuto. Ero di… guardia al tuo arrivo. Ma non ti ho mai visto».
   «Io pure non ho mai visto un milite, che mi era amico, alla porta dei Pesci. Aveva nome Alessandro…».
   «Alessandro? Non so di preciso se è quello. Ma so che tempo fa dovemmo levare, per calmare i giudei, un milite colpevole di… avere parlato con Te. Ora è ad Antiochia. Ma forse tornerà. Auf! come sono seccanti i… quelli che vogliono comandare anche ora che sono soggetti! E bisogna barcamenare per non andare a cose grosse… Ci fanno la vita difficile, credilo… Ma Tu sei buono e sapiente. Ci parli? Forse presto lascerò la Palestina. Vorrei avere qualcosa di Te da ricordare».
   «Vi parlerò. Sì. Non deludo mai. Che volete sapere?».
   Quintilliano guarda le dame interrogativamente… «Quello che vuoi, Maestro», dice Valeria.

   204.4 Plautina si alza di nuovo e dice: «Ho molto pensato… avrei tanto da conoscere… tutto, per giudicare. Ma, se è lecito chiedere, vorrei sapere come si costruisce una fede, la tua, per esempio, su un terreno che Tu hai detto privo di fede vera. Hai detto che le nostre credenze sono vane. Allora rimaniamo senza nulla. Come giungere ad avere?».
   «Prenderò l’esempio da una cosa che voi avete. I templi. I vostri edifici sacri, veramente belli, la cui unica imperfezione è di essere dedicati al Nulla, vi possono insegnare come si può giungere ad avere una fede e dove collocare la fede. Osservate. Dove vengono costruiti? Quale luogo è possibilmente scelto per essi? Come sono costruiti? Il luogo generalmente è spazioso, libero ed elevato. E, se spazioso e libero non è, lo si fa tale demolendo quanto lo ingombra e stringe. Se non è elevato lo si sopraeleva su uno stereobate più elevato di quello usuale di tre gradini, usato per i templi posti già su una naturale elevazione. Chiusi in una cinta sacra, per lo più, e formata da colonnati e portici entro cui sono chiusi gli alberi sacri agli dèi, fontane e altari, statue e stele, sono preceduti solitamente dal propileo, oltre il quale è l’altare dove vengono fatte le preci al nume. Di fronte a questo vi è il luogo del sacrificio, perché il sacrificio precede la preghiera. Molte volte, e specie nei più grandiosi, il peristilio li cinge di una ghirlanda di marmi preziosi. Nell’interno vi è il vestibolo anteriore, esterno o interno al peristilio, la cella del nume, il vestibolo posteriore. Marmi, statue, frontoni, acrotèri e timpani, tutti politi, preziosi, decorati, fanno del tempio un edificio nobilissimo anche alla vista più rozza. Non è così?».
   «Così è, Maestro. Li hai visti e studiati molto bene», conferma e loda Plautina.
   «Ma se ci consta che non è mai uscito dalla Palestina!?», esclama Quintilliano.
   «Non sono mai uscito per andare a Roma o ad Atene. Ma non ignoro l’architettura di Grecia e di Roma, e nel genio dell’uomo che ha decorato il Partenone Io ero presente, perché Io sono dovunque è vita e manifestazione di vita. Là dove un saggio pensa, uno scultore scolpisce, un poeta compone, una madre canta su una cuna, un uomo fatica sui solchi, un medico lotta con i morbi, un vivente respira, un animale vive, un albero vegeta, là Io sono insieme a Colui da cui vengo. Nel boato del terremoto o nel fragore dei fulmini, nella luce delle stelle o nel flusso delle maree, nel volo dell’aquila o nel sibilo della zanzara, Io sono col Creatore altissimo».
   «Sicché… Tu… Tu sai tutto? E il pensiero e le opere umane?», chiede ancora Quintilliano.
   «Io so».
   I romani si guardano stupiti.

   204.5 Un silenzio lungo e poi, timidamente, prega Valeria: «Svolgi il tuo pensiero, Maestro, perché noi si sappia cosa fare».
   «Sì. La fede si costruisce come si costruiscono i templi di cui siete tanto orgogliosi. Si fa spazio al tempio, si fa libertà intorno ad esso, si fa elevazione ad esso».
   «Ma il tempio dove mettere la fede, questa deità vera, dove è?», chiede Plautina.
   «Non è deità, Plautina, la fede. È una virtù. Non vi sono deità nella fede vera. Ma vi è un unico e vero Dio».
   «Allora… Egli è lassù, solo, nel suo Olimpo? E che fa se è solo?».
   «Basta a Se stesso e si occupa di ogni cosa che è nel creato. Ti ho detto prima: anche al sibilo della zanzara è presente Dio. Non si annoia, non dubitare. Non è un povero uomo, padrone di un immenso impero in cui si sente odiato e in cui vive tremando. È l’Amore, e vive amando. La sua Vita è Amore continuo. Basta a Se stesso perché è infinito e potentissimo, è la Perfezione. Ma tante sono le cose create, che vivono per il suo continuo volere, che Egli non ha tempo di annoiarsi. La noia è frutto dell’ozio e del vizio. Nel Cielo del vero Dio non vi è ozio e non vi è vizio. Ma presto Egli avrà, oltre agli angeli che ora lo servono, un popolo di giusti giubilanti in Lui, e sempre più questo popolo si accrescerà per i credenti futuri nel vero Dio».
   «Gli angeli sarebbero i geni?», chiede Lidia.
   «No. Sono esseri spirituali, come lo è Dio che li ha creati».
   «E i geni che sono allora?».
   «Quali voi li immaginate sono menzogna. Non esistono, così come voi li immaginate. Ma per quell’istintivo bisogno dell’uomo di cercare la verità – e questo per pungolo dell’anima che è viva e presente anche nei pagani, e sofferente in essi, perché è delusa nel suo desiderio, perché è affamata nella sua nostalgia del Dio vero che essa sola ricorda, in quel corpo in cui ella abita e che è retto da una mente pagana – anche voi avete sentito che l’uomo non è solo carne, e che al suo peribile corpo è unito un che di immortale. E così lo hanno le città e le nazioni. Ecco allora che credete, che sentite il bisogno di credere ai “geni”. E vi date il genio individuale, quello della famiglia, della città, delle nazioni. Voi avete il “genio di Roma”. Avete il “genio dell’imperatore”. E li adorate come divinità minori. Entrate nella vera fede. Avrete conoscenza ed amicizia dell’angelo vostro, al quale darete venerazione, non adorazione. Solo Dio va adorato».

   204.6 «Hai detto: “Pungolo dell’anima che è viva e presente anche nei pagani, e sofferente in essi perché delusa”. Ma l’anima da chi viene?», domanda Pubblio Quintilliano.
   «Da Dio. Egli è il Creatore».
   «Ma non nasciamo da donna per connubio con uomo? Anche i nostri dèi sono generati così».
   «I vostri dèi non sono. Sono i fantasmi del vostro pensiero che ha bisogno di credere. Perché questo bisogno è più imperioso di quello del respirare. Anche chi dice di non credere crede. A qualcosa crede. Il fatto solo di dire: “Io non credo in Dio” presuppone un’altra fede. In se stesso, magari, nella propria mente superba. Ma credere si crede sempre. È come il pensiero. Se voi dite: “Io non voglio pensare”, oppure: “Io non credo a Dio”, solo per queste due frasi che dite mostrate di pensare che non volete credere a Quello che sapete esistere e che non volete pensare. Circa l’uomo, per essere esatti nell’esprimere il concetto, dovete dire: “L’uomo è generato come tutti gli animali da un connubio fra maschio e femmina. Ma l’anima, ossia quella cosa che differenzia l’animale-uomo dall’animale-bruto, viene da Dio. Egli la crea di volta in volta che un uomo è generato, meglio, è concepito in un seno, e la innesta in questa carne che altrimenti sarebbe solamente animale”».
   «E noi l’abbiamo? Noi pagani? A sentire i tuoi connazionali non parrebbe…», dice ironico Quintilliano.
   «Ogni nato da donna l’ha».
   «Tu hai detto però che il peccato la uccide. Come allora in noi peccatori è viva?», chiede Plautina.
   «Voi non peccate nella fede, credendo di essere nel Vero.
   Quando conoscerete la Verità e persisterete nell’errore, allora peccherete. Ugualmente molte cose, che per gli israeliti sono peccato, per voi non lo sono. Perché nessuna legge divina ve le proibisce. Il peccato è quando uno scientemente si ribella all’ordine dato da Dio e dice: “So che ciò che faccio è male. Ma lo voglio fare ugualmente”. Dio è giusto. Non può punire uno che fa il male credendo di fare il bene. Punisce chi, avendo avuto modo di conoscere Bene e Male, sceglie quest’ultimo e vi persiste».
   «Allora in noi l’anima è, e viva e presente?».
   «Sì».
   «E sofferente? Credi proprio che essa si ricordi di Dio? Noi non ci ricordiamo del seno che ci ha portati. Non potremmo dire come era fatto nel suo interno. L’anima, se ho ben capito, viene spiritualmente generata da Dio. Può mai ricordarsi di questo se il corpo non ricorda la lunga sosta nel seno?».
   «L’anima non è bruta, Plautina. L’embrione sì. Tanto vero che l’anima viene data quando il feto è già formato[78]. L’anima è, a somiglianza di Dio, eterna e spirituale. Eterna dal momento che viene creata, mentre Dio è il perfettissimo Eterno e perciò non ha principio nel tempo come non avrà fine. L’anima, lucida, intelligente, spirituale, opera di Dio, si ricorda[79]. E soffre perché desidera Dio, il vero Dio da cui viene, e ha fame di Dio. Ecco perché pungola il corpo, torpido a cercare di accostarsi a Dio».

   204.7 «Allora noi abbiamo un’anima come l’hanno quelli che voi dite “giusti” del vostro popolo? Proprio uguale?».
   «No, Plautina. A seconda di quello che intendi dire, cambia. Se vuoi dire per l’origine e la natura, è in tutto uguale a quella dei nostri santi. Se dici per formazione, allora ti dico che è già diversa. Se poi vuoi dire per perfezione raggiunta avanti la morte, allora la diversità può essere assoluta. Ma questo non solo in voi pagani. Anche un figlio di questo popolo può essere assolutamente diverso, nella vita futura, da un santo. L’anima subisce tre fasi. La prima è di creazione. La seconda di ricreazione. La terza di perfezione. La prima è comune a tutti gli uomini. La seconda è propria dei giusti che con la loro volontà portano l’anima ad una rinascita ancora più completa, unendo le loro buone azioni alla bontà dell’opera di Dio, e fanno perciò un’anima già spiritualmente più perfetta della prima; per cui fanno, fra la prima e la terza, da anello di congiunzione. La terza è propria dei beati, o santi se così vi piace, i quali hanno superato di mille e mille gradi l’iniziale anima loro, adatta all’uomo, e ne hanno fatto un che di adatto a riposare in Dio».

   204.8 «Come possiamo fare spazio, libertà, elevazione all’anima?».
   «Con l’abbattere le inutili cose che avete nel vostro io. Liberarlo da tutte le idee sbagliate, e coi detriti di queste demolizioni fare l’elevazione per il tempio sovrano. L’anima va portata sempre più in alto, sui tre gradini. Oh! voi romani amate i simboli. Guardate i tre gradini alla luce del simbolo. Possono dirvi i loro nomi: penitenza, pazienza, costanza. Oppure: umiltà, purezza, giustizia. Oppure: sapienza, generosità, misericordia. O infine il trinomio splendido: fede, speranza, carità. Guardate ancora il simbolo della cinta che, ornata e robusta, cinge l’area del tempio. Occorre saper circondare l’anima, regina del corpo, tempio allo Spirito eterno, di una barriera che la difenda senza però impedirle la luce né opprimerla con la vista di brutture. Una cinta sicura, e scalpellata dal desiderio di amore, da ciò che è inferiore: la carne e il sangue, verso ciò che è superiore: lo spirito. Scalpellare con la volontà. Levare angoli, scheggiature, macchie, vene di debolezza dal marmo del nostro io perché sia perfetto intorno all’anima. E nello stesso tempo, della cinta messa a riparo del tempio, fare misericordioso rifugio ai più infelici che non conoscono ciò che è Carità. I portici: l’effondersi dell’amore, della pietà, del desiderio che altri vengano a Dio, simili ad amorose braccia che si stendono a far velo sulla cuna di un orfano. E oltre la cinta le piante più belle e più profumate, omaggio al Creatore. Seminate sul terreno prima nudo e poi coltivate le piante: le virtù d’ogni nome, la seconda cinta viva e fiorita intorno al sacrario; e fra le piante, fra le virtù, le fontane, altro amore, altra purificazione prima di accostarsi al propileo vicino al quale, e prima di salire all’altare, si deve compiere il sacrificio della carnalità, svenarsi delle lussurie. E poi passare oltre, all’altare, per deporvi l’offerta, e poi ancora accostarsi alla cella dove è Dio, superando il vestibolo. E la cella che sarà? Una dovizia di spirituali ricchezze perché nulla è mai troppo per fare cornice a Dio. Avete inteso? Mi avete chiesto come si costruisce la fede. Vi ho detto: “secondo il metodo con cui si alzano i templi”. Vedete che è vero.

   204.9 Avete altro da dirmi?».
   «No, Maestro. Credo che Flavia abbia scritto le cose che hai detto. Claudia le vuole sapere. Hai scritto?».
   «Esattamente», dice la donna passando le tavolette cerate.
   «Ci rimarrà tempo[80] per poterle rileggere», dice Plautina.
   «È cera. Si cancella. Scrivetevele nei cuori. Non si cancellerà più».
   «Maestro, sono ingombri di templi vani. Vi gettiamo contro la tua Parola per atterrarli. Ma è lavoro lungo», dice Plautina con un sospiro. E termina: «Ricordati di noi presso il tuo Cielo…».
   «Andate sicure che lo farò. Vi lascio. Sappiate che la vostra venuta mi è stata cara. Addio, Publio Quintilliano. Ricordati di Gesù di Nazaret».
   Le dame salutano e se ne vanno per prime. Poi, pensieroso, se ne va Quintilliano. Gesù li guarda andare in compagnia di Massimino, che li riconduce ai loro carri.

   204.10 «Che pensi, Maestro?», chiede Lazzaro.
   «Che vi sono molti infelici al mondo».
   «E io sono uno di quelli».
   «Perché, amico mio?».
   «Perché tutti vengono a Te, e Maria no. È dunque la rovina più grande?».
   Gesù lo guarda e sorride.
   «Tu sorridi? Ma non ti duole che Maria sia inconvertibile? Non ti duole che io soffra? Marta non fa che piangere dalla sera del lunedì. Chi era quella donna? Non sai che per una intera giornata abbiamo sperato fosse lei?».
   «Sorrido perché sei un bambino impaziente… E sorrido perché penso che sprecate male energia e lacrime. Fosse stata lei, Io sarei corso a dirvelo».
   «Allora non era proprio?».
   «Oh! Lazzaro!…».
   «Hai ragione. Pazienza! Ancora pazienza!… Ecco, Maestro, i gioielli che mi hai dato per la vendita. Sono divenuti denaro per i poveri. Erano molto belli. Di donna».
   «Erano di “quella” donna».
   «Me lo sono immaginato. Ah! fossero stati di Maria… Ma lei, ma lei!… Perdo la speranza, mio Signore!…».
   Gesù lo abbraccia senza parlare per un poco. Poi dice: «Ti prego tacere di questi gioielli con chicchessia. Ella deve scomparire dalle ammirazioni e dagli appetiti, come una nuvola che il vento porta altrove senza che ne resti traccia sull’azzurro».
   «Sta’ sicuro, Maestro… e, in cambio, portami Maria, la nostra infelice Maria…».
   «La pace sia con te, Lazzaro. Quel che ho promesso farò».

[77] mi aiutano molto, invece diIo sono aiutato molto, è una correzione nostra, ricavata da un tentativo di correzione di MV sul testo autografo.
[78] Tanto vero che l’anima viene data quando il feto è già formato è una frase che MV ha aggiunto successivamente sul quaderno autografo, dopo aver scritto L’embrione sì sulle parole Il feto sì. Di norma MV scriveva di getto senza ripensamenti. Perciò qui si tratta di un rimaneggiamento insolito, che potrebbe non accordarsi con l’affermazione di venticinque righe più sopra: Egli la crea [Dio crea l’anima] di volta in volta che un uomo è generato, meglio, è concepito in un seno, e la innesta in questa carne che altrimenti sarebbe solamente animale. Si veda la nostra nota in 290.9, che rinvia alle note (compresa questa) sull’infusione dell’anima.
[79] L’anima… si ricorda, come già accennato più sopra, in 204.5, oltre che in: 94.7 121.7 - 154.7 (con nota) - 157.5 - 169.5 - 344.7 (nelle parole di un bambino) 428.4 (con nota) - 534.6 (nelle parole di un vecchio) - 554.10 - 556.8. Il ricordo che le anime hanno di Dio è trattato più specificatamente in: 10.9 - 286.7 - 290.9. Maria Ss., poi, “non fu mai priva del ricordo di Dio”, come si legge in 4.6 e come viene illustrato in 10.8/10 e nelle ultime righe di 11.4. Dell’anima di Maria Ss. si parla anche in 136.6 e in 348.9/10. Una illuminante spiegazione sul cosiddetto “ricordo delle anime”, che è diverso da quello concepito da Socrate, è dell’8 settembre 1945 e si trova nel volume “I quaderni dal 1945 al 1950”.
[80] tempo è un’aggiunta di MV su una copia dattiloscritta.