MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MAGGIORE

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VOLUME III CAPITOLO 187



CLXXXVII. Da Tarichea verso Gerusalemme per la Pasqua. Giovanni innamorato del mare.

   12 giugno 1945.

   187.1 Gesù congeda le barche dicendo: «Non tornerò indietro»; e seguito dai suoi attraverso la zona che appariva ubertosa fin dall’opposta sponda, si dirige verso un monte che appare in direzione sud-sudòvest.
   Gli apostoli, poco entusiasti del cammino fra questa zona bella ma selvaggia – piena di falaschi che si impigliano ai piedi, di canne che fanno piovere sul capo una pioggerellina di rugiada rimasta trattenuta dalle coltelle delle foglie, di nocchi che percuotono il viso con la mazza dura del loro frutto disseccato, di salci fragili che spiovono da ogni parte facendo il solletico, di traditrici zone d’erba che pare nata su un suolo solido ed invece cela pozze d’acqua in cui il piede sprofonda perché non sono che agglomerati di code di volpe e di vescicolarie nate in minuscoli stagni e così fitte da nascondere l’elemento su cui sono nate – vanno in silenzio, parlandosi solo con gli occhi.
   Gesù, dal suo canto, pare bearsi in tutto quel verde di mille colori, in tutti quei fiori che strisciano, che stanno eretti, che si aggrappano per salire, che mettono sottili festoni sparsi di lievi convolvoli di un rosa malva tenuissimo, che fanno un tappeto gentile d’azzurro per le migliaia di corolle di miosotidi palustri, che aprono la perfetta coppa della corolla bianca, rosea o azzurra fra le larghe foglie piatte dei nenufari. Gesù ammira i pennacchi delle canne palustri, setosi e tutti imperlati, e si china beato ad osservare la gentilezza delle code di volpe che fanno un velo di smeraldo alle acque. Gesù si ferma estatico davanti ai nidi che gli uccellini costruiscono con un andare e venire giocondo fatto di trilli, di guizzi, di fatica lieta, col beccuccio pieno di fili di fieno, di bambagia delle canne, di bioccoli di lana strappata alle siepi che l’avevano strappata ai greggi trasmigranti… Pare la persona più felice che ci sia. Il mondo dove è con le sue cattiverie, falsità, dolori, insidie? Il mondo è al di là di questa oasi verde e fiorita dove tutto profuma, splende, ride, canta. Qui è la Terra creata dal Padre e non profanata dall’uomo, e qui si può dimenticare l’uomo.

   187.2 Vuol fare condividere la sua beatitudine agli altri. Ma non trova terreno propizio. I cuori sono stanchi ed esacerbati di tanto malanimo e lo riversano sulle cose e anche sul Maestro con un mutismo chiuso, che pare l’aria morta che precede un temporale. Solo il cugino Giacomo, lo Zelote e Giovanni si interessano di quanto interessa Gesù. Ma gli altri non sono che… assenti, per non dire ostili. Forse, per non mormorare, tacciono fra di loro. Ma dentro devono parlare, e parlare anche troppo.
   È proprio una più viva esclamazione di ammirazione davanti al gioiello vivo di un piombino che viene a volo, portando alla compagna un pesciolino d’argento, che fa aprire loro la bocca.
   Gesù dice: «Ma vi può essere qualcosa di più gentile?».
   Pietro risponde: «Forse di più gentile no… ma ti assicuro che è più comoda la barca. Qui si è nell’umido lo stesso, e in compenso non si è comodi…».
   «Io preferirei la carovaniera a questo… giardino, se ti piace chiamarlo così, e sono proprio d’accordo con Simone», dice l’Iscariota.
   «La carovaniera non l’avete voluta voi», risponde Gesù.
   «Eh! certo… Ma io non l’avrei data vinta ai geraseni. Me ne sarei andato di là, ma avrei proseguito oltre, lungo il fiume[43], continuando per Gadara, Pella e giù, giù», brontola Bartolomeo.
   E il suo grande amico Filippo termina: «Le strade sono di tutti, infine, e ci potevamo transitare noi pure».
   «Amici, amici! Sono tanto afflitto, sono tanto nauseato… Non aumentate la mia pena con le vostre piccinerie! Lasciatemi cercare un poco di ristoro nelle cose che non sanno odiare…».
   Il rimprovero, dolce nella sua tristezza, tocca gli apostoli.
   «Hai ragione, Maestro. Siamo indegni di Te. Perdona la nostra stoltezza. Tu sei capace di vedere il bello perché sei santo e guardi con gli occhi del cuore. Noi, carnaccia, sentiamo solo questa carnaccia… Ma non ci badare. Credi che, anche fossimo in un paradiso, senza di Te saremmo tristi. Ma con Te… oh! è sempre bello per il cuore. Sono le membra sole che si rifiutano», mormorano in molti.

   187.3 «Fra poco usciremo di qui e troveremo suolo più comodo anche se meno fresco», promette Gesù.
   «Dove andiamo di preciso?», chiede Pietro.
   «A dare la Pasqua a chi soffre. Volevo farlo da tempo. Non ho potuto. L’avrei fatto al ritorno in Galilea. Ora che ci obbligano a fare vie non scelte da noi, vado a benedire i poveri amici di Giona».
   «Ma perderemo tempo! La Pasqua è prossima! Sempre ci sono ritardi per cause diverse». Un altro coro di lamenti si alza al cielo.
   Non so come Gesù possa portare tanta pazienza… Dice, senza rimproverare nessuno: «Ve ne prego, non mi ostacolate! Comprendete il mio bisogno di amare e di essere amato. Non ho che questo conforto sulla Terra: l’amore e fare la volontà di Dio».
   «E andiamo di qui? Non era più bello andarvi da Nazaret?».
   «Se ve lo avessi proposto vi sareste ribellati. Nessuno mi crederà da queste parti… e lo faccio per voi che… avete paura».
   «Paura? Ah! no! Siamo pronti a combattere per Te».
   «Pregate il Signore di non mettervi alla prova. Io vi so rissosi, astiosi, con una smania di offendere chi mi offende, di mortificare il prossimo. Tutto questo lo so. Ma che siate coraggiosi non lo so. Per Me sarei andato anche solo e per la via comune, e nulla mi sarebbe accaduto perché non è l’ora. Ma ho pietà di voi. Ma ho ubbidienza a mia Madre e, sì, anche questo, ma non voglio disgustare il fariseo Simone. Io non li disgusterò. Ma loro saranno disgusto a Me».
   «E di qui dove si passa? Non sono pratico di queste zone», dice Tommaso.
   «Raggiungiamo il Thabor, lo costeggiamo in parte e passando presso Endor andiamo a Naim; da qui nella piana di Esdrelon. Non temete!… Doras, figlio di Doras, e Giocana sono già a Gerusalemme».

   187.4 «Oh! sarà bello! Dicono che dalla cima, da un punto, si veda il mare grande, quello di Roma. Mi piace tanto! Ci porti a vederlo?». Giovanni prega col suo volto di fanciullo buono alzato verso Gesù.
   «Perché ti piace tanto vederlo?», chiede Gesù accarezzandolo.
   «Non so… Perché è grande e non si vede fine… Mi fa pensare a Dio… Quando siamo stati sul Libano io ho visto il mare per la prima volta, perché non ero mai stato altro che lungo il Giordano oppure sul nostro piccolo mare… e ho pianto di emozione. Tanto azzurro! Tanta acqua! E che non trabocca mai!… Che cosa meravigliosa! E gli astri che fanno vie di luce sul mare… Oh! non ridere di me! Guardavo la via d’oro del sole fino ad essere abbacinato, quella d’argento della luna fino a non avere che un candore fisso nell’occhio, e le vedevo perdersi lontano lontano. Mi parlavano quelle vie. Mi dicevano: “Dio è in quella lontananza infinita, e queste sono le vie di fuoco e di purezza che un’anima deve seguire per andare a Dio. Vieni. Tuffati nell’infinito, remigando su queste due vie, e l’Infinito troverai”».
   «Sei poeta, Giovanni», dice il Taddeo ammirato.
   «Non so se sia poesia questa. So che mi accende il cuore».
   «Ma il mare lo hai visto anche a Cesarea e a Tolemaide, e ben da vicino. Eravamo sulla riva! Non vedo la necessità di fare tanta strada per vedere altra acqua marina. In fondo… ci siamo nati sull’acqua…», osserva Giacomo di Zebedeo.
   «E ci siamo anche ora, purtroppo!», esclama Pietro che, distrattosi un momento per ascoltare Giovanni, non ha visto una pozzanghera infida e si è innaffiato generosamente… Ridono, lui per il primo.
   Ma Giovanni risponde: «È vero. Ma dall’alto è più bello. Si vede di più e più lontano. Si pensa più alto e più vasto… Si desidera… si sogna…», e veramente Giovanni sogna già… Guarda davanti a sé, sorride al suo sogno… Pare una rosa carnicina cosparsa di minutissima rugiada, tanto la sua pelle liscia e chiara di giovane biondo si fa di un vellutato carnicino e si cosparge di un lieve sudore, che la fa ancor più simile a petalo di rosa.
   «Cosa desideri? Cosa sogni?», chiede piano Gesù al suo prediletto, e pare un padre che interroghi dolcemente un caro figliolino parlante in un dolce sonno. Parla proprio all’anima di Giovanni, Gesù, tanto è dolce nell’interrogare per non lacerare il sogno dell’amoroso.
   «Desidero andare per quel mare infinito… verso altre terre che sono al di là di esso… Desidero andare per parlare di Te… Sogno… sogno un andare verso Roma, verso la Grecia, verso i posti oscuri per portare la Luce… onde i viventi nelle tenebre vengano a contatti con Te e vivano in una comunione con Te, Luce del mondo… Sogno un mondo migliore… da far migliore attraverso la tua conoscenza, ossia attraverso la conoscenza dell’Amore che faccia buoni, che faccia puri, che faccia eroici, un mondo che si ami nel tuo Nome, e sopra l’odio, sopra il peccato, la carne, il vizio della mente, sopra l’oro, sopra ogni cosa alzi il tuo Nome, la tua Fede, la tua Dottrina… e sogno di essere io con questi miei fratelli ad andare per il mare di Dio, su strade di luce a portare Te… come un tempo tua Madre ti ha portato fra noi dai Cieli… Sogno… sogno di essere il fanciullo che, non conoscendo altro che l’amore, è sereno anche incontro ai tormenti… e canta per riconfortare gli adulti che riflettono troppo, e va avanti… incontro alla morte con un sorriso… incontro alla gloria con l’umiltà di chi non sa quanto fa, ma sa solo di venire a Te, Amore…».
   Gli apostoli non hanno tirato respiro durante la estatica confessione di Giovanni… Fermi là dove erano, guardano il più giovane che parla con gli occhi velati dalle palpebre come di un velo gettato sull’ardore saliente dal cuore, guardano Gesù che si trasfigura nella gioia di ritrovarsi così completo nel suo discepolo… Quando Giovanni tace, rimanendo un poco curvo – e ricorda la grazia della umile Annunziata di Nazaret – Gesù lo bacia sulla fronte dicendo: «Andremo a vedere il mare, per farti sognare ancora l’avvenire del mio Regno nel mondo».

   187.5 «Signore… dopo hai detto che andiamo a Endor. Accontenta allora anche me… per farmi passare l’amaro del giudizio di quel fanciullo…», dice l’Iscariota.
   «Oh! ci pensi ancora?», chiede Gesù.
   «Sempre. Mi sento diminuito ai tuoi occhi e a quelli dei compagni. Penso ai vostri pensieri…».
   «Come ti affatichi per nulla il cervello! Io neppure più pensavo a quell’inezia, e certo così era negli altri. Tu ce lo fai ricordare… Sei un fanciullo abituato solo alle carezze, e la parola di un bimbo ti è parsa la condanna di un giudice. Ma non è questa parola che devi temere, sibbene le tue azioni e il giudizio di Dio. Ma per persuaderti che mi sei caro come prima, come sempre, ti dico che ti accontenterò. Che vuoi vedere ad Endor? È un povero posto fra le rocce…».
   «Portamici… e te lo dirò».
   «Va bene. Ma guarda di non soffrirne poi…».
   «Se a questo non può essere sofferenza vedere il mare, a me non può far danno vedere Endor».
   «Vedere?… No. Ma è il desiderio di quel che si cerca vedere nel vedere, che può far male. Ma vi andremo…».
   E riprendono la strada diretti verso il Thabor la cui mole appare sempre più vicina, mentre il suolo si spoglia del suo aspetto palustre, si fa solido e più raro di vegetazione, lasciando posto a piante più alte o a cespugli di vitalbe e rovi che ridono con le loro fronde novelle ed i fiori precoci.

[43] oltre, lungo il fiume, invece dioltre fiume, è correzione di MV su una copia dattiloscritta.