MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MAGGIORE

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VOLUME VI CAPITOLO 390



CCCXC. La fede di Abramo d’Engaddi e la parabola del seme di palma.

   21 febbraio 1946.

   390.1­Gesù, verso il tramonto, un tramonto di fuoco che arrossa le case bianchissime d’Engaddi e dà sfaccettature di madreperla nera al mar Morto, si avvia verso la piazza principale. È con Lui il giovane che lo ha ospitato e che lo guida per i meandri della città, veramente orientale nella sua architettura.
   A difesa del sole — che deve essere molto forte in questi luoghi così aperti di fronte alla lastra pesante del mar Salato, dal quale mi fa l’impressione che debbano nei mesi estivi uscire soffi infocati, così isolati come sono in mezzo al deserto brullo su cui il sole deve battere spietato arroventando il terreno — gli abitanti di Engaddi hanno costruito strade strette, che paiono ancor più tali per le grondaie e i cornicioni delle case che sono molto sporgenti, di modo che alzando gli occhi si vede una strisciolina sola di cielo, di un azzurro violento, apparire lassù.
   Le case sono alte, quasi tutte a due piani, sormontate da una terrazza sulla quale, nonostante l’altezza, si sono arrampicate e distese le viti a fare ombra e a dare diletto di grappoli che devono, a maturazione compiuta sotto il sole sovrano, fra il riverbero delle muraglie e del suolo del terrazzo, essere dolci come zibibbo appassito. E le viti gareggiano, a dare ristoro agli uomini e ai numerosissimi uccelli che, dal passero al colombo, nidificano in Engaddi, con palme svettanti, nate per ogni dove, e con piante da frutto di un’opulenza magnifica, che si alzano nei cortili, nei giardini chiusi fra le case, e si affacciano sui chiassuoli, e traboccano giù dai muri bianchi con i loro rami già carichi di frutta che matura al sole giocondo, e superano gli archivolti numerosissimi che formano delle vere gallerie in certi posti, interrotte qua e là da esigenze architettoniche, e salgono verso il cielo azzurro, così unito, così pastoso nel colore da dare l’impressione che, se fosse possibile toccarlo, sarebbe come[62] toccare un velluto grave o un cuoio liscio, dipinti e tinti da un artefice sapiente con quella tinta perfetta, più carica di un turchese, meno carica di uno zaffiro, bellissima, indimenticabile.
   E acque… Quante fontane e fontanelle devono gorgogliare nei cortili e giardini delle case, fra il verde di mille piante! Passando per le viuzze ancora deserte, perché gli abitanti sono o ai lavori o nelle case, se ne sente il gocciare, il chioccolare, il frusciare, come tante note d’arpa tratte da un’arpista nascosta. E ad aumentarne il fascino, gli archivolti, gli angoli continui delle vie raccolgono quelle voci d’acque, le amplificano, le aumentano di numero per echi, ne fanno tutto un arpeggiare.
   E palme, palme, palme. Dove è una piazzetta, magari larga quanto una comune stanza, ecco i fusti snelli, altissimi, sfrecciare verso il cielo e avere appena un moto di oscillazione lassù, nel ciuffo delle foglie sonanti, stretto a pennello in cima al fusto, e l’ombra, che certo nel meriggio cade a perpendicolo sulla piazza minuscola e la copre tutta, ora si riflette bizzarramente sui muretti delle terrazze più alte.
   Però la città è pulita rispetto alle città palestinesi. Forse le case, così strette le une contro le altre, o l’avere tutte cortili e giardini coltivati, hanno contribuito ad insegnare agli abitanti a non gettare tutte le immondizie sulle vie, a raccogliere, anzi, queste e le lordure degli animali in appositi letamai per concimare gli alberi e le aiuole, oppure è un… molto raro caso di ordine. Le viette sono pulite, asciugate dal sole, e non si riscontrano quelle poco leggiadre esposizioni di verdure scartate, sandali rotti, cenci sudici, escrementi e simili, che si vedono nella stessa Gerusalemme, nelle vie appena appena un poco periferiche.

   390.2­Ecco il primo coltivatore che torna dal lavoro cavalcando un ciuchino grigio. A difesa dalle mosche l’uomo ha messo un’intera gualdrappa di rami di gelsomino al suo asinello, che se ne va trotterellando e scuotendo le orecchie e i sonagli in mezzo al­l’ondulande e profumata cortina di rami. L’uomo guarda e saluta. Il giovane dice: «Vieni alla piazza grande. Sentirai il Rabbi che è da me».
   Ecco una mandra di pecorelle che invade la via, incanalandosi in essa da una piazzetta oltre la quale si vede uno sfondo di campagna. Vanno incastrate una all’altra, mettendo gli zoccoletti dove l’altra li mette, tutte a testa china, come se le teste fossero troppo pesanti per il collo sottile rispetto al corpo obeso, trotterellando col loro passo strano e i loro corpi grassi che paiono fagotti appoggiati su quattro stecchi… Gesù, Giovanni e Pietro imitano l’uomo che è con loro e si addossano al muro caldo di una casa per lasciarle passare. Un uomo e un fanciullo seguono la mandra. Guardano e salutano. Il giovane dice: «Mettete le pecore nel chiuso e venite nella piazza grande, con i parenti. Fra noi è il Rabbi di Galilea. Ci parla».
   Ecco la prima donna che esce, attorniata da una nidiata di figli, per andare chissà dove. Il giovane dice: «Vieni con Giovanni e i figli a udire il Rabbi che chiamano Messia».
   Le case si aprono poco a poco nella sera che viene e lasciano intravvedere sfondi verdi di giardini, o quieti cortili nei quali i colombi fanno l’ultimo pasto. Il giovane mette dentro la testa in ognuna delle porte aperte e grida: «Venite a sentire il Rabbi, il Signore».

   390.3Sbucano infine in una via diritta, l’unica diritta in questa città che non si è costruita come avrebbe voluto, ma come hanno voluto le palme o i potenti alberi da pistacchi, certo centenari e rispettati come notabili dai cittadini, che devono ad essi di non morire d’insolazione. Ecco in fondo una piazza in cui fanno da colonne i fusti di numerosi palmizi. Sembra una di quelle sale ipostili dei templi e delle regge antichissime, fatte di un vasto ambiente empito di colonne messe a distanze regolari a fare una foresta di pietra sorreggente il soffitto. Qui le palme fanno da colonne e, fitte come sono, formano, con le foglie che si baciano, un soffitto di smeraldo alla piazza bianca, in mezzo alla quale è una alta e quadrata fontana colma d’acque cristalline, che sgorgano da una colonnetta al centro del bacino e ricadono in vasche più basse, alle quali possono abbeverarsi gli animali. In questo momento i colombi, domestici, pacifici, l’hanno presa d’assalto e bevono o minuettano con le zampette rosa sul bordo più alto, oppure si spruzzano le piume, che brillano aumentando il loro cangiante per le gocce d’acqua sospese per un momento alle barbe delle penne.
   Vi è gente. E vi sono gli otto apostoli che erano andati qua e là in cerca d’alloggio, e ognuno ha racimolato i suoi fedeli, desiderosi di sentire Colui che l’apostolo ha indicato come il Messia promesso. Gli apostoli si affrettano ad accorrere da ogni parte verso il Maestro e come tante comete si trascinano dietro i gruppetti delle loro conquiste.

   390.4Gesù alza la mano a benedire i discepoli e quelli di Engaddi.
   Giuda d’Alfeo parla per tutti: «Ecco, Maestro e Signore. Abbiamo fatto ciò che ci hai detto e costoro sanno che oggi la Grazia di Dio è fra di loro. Ma essi vogliono anche la Parola. Molti ti conoscono per sentito dire. Alcuni per averti incontrato a Gerusalemme. Tutti, le donne in specie, desiderano conoscerti, e con essi, primo fra tutti, il sinagogo. Eccolo. Vieni avanti, Abramo».
   L’uomo, molto, molto vecchio, viene avanti. È commosso. Vorrebbe dire, dire, e nell’emozione non trova più una parola di quelle che si era preparate. Si curva per inginocchiarsi, appoggiandosi al suo bastone, ma Gesù glielo impedisce e lo abbraccia per il primo, dicendo: «Pace al vecchio e giusto servo di Dio!»; e l’altro, sempre più commosso, non sa che rispondere: «Lode a Dio! I miei occhi hanno visto il Promesso! E che più devo io chiedere a Dio?», e alzando le braccia, con posa ieratica, intona il salmo[63] di Davide (34°): “Ho aspettato ansiosamente il Signore ed Egli a me si è rivolto”. Ma non lo dice tutto. Lo dice nei punti più adatti all’evento:
   «“Ha ascoltato il mio grido e mi ha tratto dall’abisso della miseria e dal fango del pantano…
   Mi ha messo in bocca un cantico nuovo.
   Beato l’uomo che ha posto la sua speranza nel Signore.
   Molte cose meravigliose hai fatte, o Signore mio Dio, né c’è chi ti eguagli nei tuoi disegni. Vorrei enunziarli, parlarne, ma la loro moltitudine sorpassa ogni numero.
   Non hai voluto sacrifizio, né oblazione, ma mi hai aperto le orecchie… (si commuove sempre più).
   È detto che devo fare la tua volontà… La tua legge mi sta in mezzo al cuore.
   Ho annunziato la tua giustizia alla grande assemblea. Ecco, io non ho tenuto chiuse le labbra, Tu lo sai, o Signore.
   Non ho tenuto nascosta dietro di me la tua giustizia, ho proclamato la tua verità e la salvezza che da Te viene…
   Ma Tu, o Signore, non allontanare da me la tua compassione…
   Disgrazie senza numero (e piange proprio del tutto, dicendo le parole con voce ancor più vecchia e tremula per il pianto) mi sono venute addosso…
   Io son mendico e bisognoso, ma il Signore ha cura di me. Tu sei il mio aiuto, il mio protettore, o mio Dio, non tardare!…”.
   Questo è il salmo, mio Signore, e aggiungo di mio: dimmi “Vieni” ed io ti dirò ciò che il salmo dice: “Ecco, io vengo!”».
   E tace, piangendo, con tutta la fede raccolta negli occhi offuscati dagli anni.

   390.5La gente spiega: «Gli è morta la figlia lasciandogli dei piccoli nipoti. La moglie gli è divenuta cieca ed ebete per i molti dolori, e dell’unico maschio non se ne sa nulla. È scomparso così, dall’oggi al domani…».
   Gesù posa la mano sulla spalla del vecchio e gli dice: «Le sofferenze dei giusti hanno la rapidità di una rondine rispetto alla durata del premio eterno. Ma renderemo alla tua Sarai i suoi occhi di un tempo e la mente dei suoi vent’anni, perché conforti la tua vecchiaia».
   «Si chiama Colomba», avverte uno del popolo…
   «Per lui è la sua principessa[64]. Ma ora udite la parabola che vi propongo…».
   «Non libererai prima dalle tenebre gli occhi e la mente della moglie mia perché possa ella pure gustare la Sapienza?», chiede ansioso il vecchio sinagogo.
   «Puoi credere che Dio può tutto e che da uno all’altro mondo scorre il suo potere?».
   «Sì, o Signore.

   390.6­Io ricordo una sera di molti anni fa. Allora ero felice, ma credente anche nella gioia. Perché così è! L’uomo, finché è felice, può anche dimenticarsi di Dio. Io credevo in Dio anche in quel tempo di gioia, in cui giovane e sana era la moglie e mi cresceva Elisa, giovinetta bella come una palma, già promessa sposa, e Eliseo l’uguagliava in bellezza e superava in fortezza come ad uomo si conviene… Ero andato col fanciullo alle fonti presso le vigne che sono dote di Colomba, lasciando la moglie e la figlia ai telai su cui si tesseva il corredo nuziale… Ma forse ti annoio? Il misero sogna la passata gioia ricordando… ma agli altri non interessa…».
   «Parla, parla!».
   «Ero andato col fanciullo… Le fonti… Se sei venuto dalla via d’occidente sai dove sono… Le fonti erano al limite del luogo benedetto, e guardando si vedeva, oltre, il deserto, e la via biancheggiante per le pietre romane, allora ancora ben visibili nelle sabbie di Giuda… Dopo… finito anche quel segno! E nulla è che un segno si sperda nelle arene! Male è che si sia disfatto il segno di Dio, mandato a indicarti, negli spiriti d’Israele. In troppi spiriti!
   Il mio maschio disse: “Padre! Guarda! Una grande carovana, e cavalli, e cammelli, e servi e signori alla volta d’Engaddi. Forse vengono alle fonti prima che la sera cali…”. Alzai gli occhi dai tralci che curavo, stanchi dopo l’abbondante vendemmia, e vidi… Gli uomini venivano proprio alle fonti. E scesero e mi videro e chiesero se potevano accamparsi in quel luogo per una notte.
   “Engaddi ha case ospitali, e vicina è”, risposi.
   “No. Vegliamo per essere pronti a fuggire, perché ci ricerca Erode. Le guardie da qui vedranno ogni via, e facile sarà fuggire a chi ci ricerca”.
   “Quale peccato avete commesso?”, chiesi stupito e pronto ad indicare le caverne dei nostri monti, come è sacro nostro costume verso i perseguitati. E aggiunsi: “Stranieri siete e di luoghi diversi… Io non so come possiate aver peccato contro Erode…”.
   “Abbiamo adorato il Messia che è nato a Betlem di Giuda e al quale ci ha guidati la stella del Signore. Erode lo cerca, e perciò ci cerca perché noi si indichi dove si trova. E lo cerca per dargli morte. Noi forse morte avremo, nei deserti, per lunga e ignota via, ma non denunceremo il Santo sceso dai Cieli!”.
   Il Messia! Il sogno di ogni vero israelita! Il mio sogno! Ed era al mondo! Ed era a Betlemme di Giuda secondo il predetto[65]!… Chiesi, tenendomi sul cuore il mio fanciullo, notizie e notizie, dicendo: “Ascolta, Eliseo! Ricorda! Tu certo lo vedrai!”. Io avevo già cinquant’anni e più non speravo vederlo… né speravo campare tanto da vederlo uomo… Eliseo… non lo può più adorare…».
   Il vecchio piange di nuovo. Ma si riprende. Dice: «I tre sapienti parlarono con dolcezza paziente e ti hanno descritto nella tua santità infante, e la Madre, e il padre… Avrei fatto la notte con loro… Ma Eliseo mi si addormiva in seno. Salutai i tre sapienti dando promessa di tacere per non permettere[66] possibili delazioni a loro danno. Ma a Colomba, nella stanza nuziale, narrai tutto, e questo fu il sole nelle nostre successive sventure. Poi si seppe l’eccidio… e per anni ho ignorato se Tu eri salvo. Ora lo so. Ma io soltanto, perché Elisa è morta, Eliseo non c’è, e Colomba non può intendere la notizia felice… Ma la fede nel potere di Dio, già viva, si fece perfetta da quella sera lontana in cui tre uomini, di razza diversa, testimoniarono la potenza di Dio col loro essere uniti, per voce d’astri e d’anime, sulla via di Dio, per adorare il suo Verbo».
   «E premio avrà la tua fede.

   390.7Ora udite.
   Cosa è la fede? Pari ad un duro seme di palma è talora minuscola, formata di una breve frase: “Dio c’è”, nutrita di una sola asserzione: “Io l’ho visto”. Così come fu quella di Abramo in Me per le parole dei tre saggi d’Oriente. Così come fu quella del nostro popolo, dai più lontani patriarchi, trasmessa l’un l’altro, da Adamo ai posteri, da Adamo, peccatore, ma che fu creduto quando disse: “Dio c’è, e noi ci siamo perché Egli ci ha creati. Ed io l’ho conosciuto”. Così come fu quella, sempre più perfetta perché sempre più rivelata, che venne in seguito, e ci è retaggio, fulgente di manifestazioni divine, di apparizioni angeliche, di luci dello Spirito. Sempre semi minuscoli rispetto all’Infinito. Minuscoli semi. Ma gettando radici, fendendo la scorza dura della animalità coi suoi dubbi e le sue tendenze, trionfando sulle erbe nocive delle passioni, dei peccati, sulle muffe degli avvilimenti, sui tarli dei vizi, su tutto, si alza nei cuori, cresce, si slancia al sole, al cielo, sale, sale… finché si libera dalla restrizione della carne e si fonde a Dio, nella sua conoscenza perfetta, nel completo possesso, oltre la vita e la morte, nella vera Vita.
   Chi possiede la fede possiede la via della Vita. Chi sa credere non erra. Vede, riconosce, serve il Signore ed ha salvezza eterna. Per lui è vitale il Decalogo, e ogni ordine di esso è una gemma di cui si orna la sua futura corona. Per lui è salute la promessa del Redentore. Morto è già il credente da avanti che Io fossi sulla Terra? Non importa. La sua fede lo eguaglia a quelli che ora mi avvicinano con amore e fede. I giusti trapassati presto giubileranno, perché la loro fede sta per avere il premio. Io andrò, dopo aver compiuto la volontà del Padre mio, e dirò: “Venite!”, e tutti coloro che sono morti nella fede saliranno con Me nel Regno del Signore.
   Imitate nella fede le palme delle vostre terre, nate da piccolo seme, ma così forti nel voler crescere, e nel crescere così diritte, dimentiche del suolo ma innamorate del sole, degli astri, del cielo. Abbiate fede in Me. Sappiate credere ciò che troppo pochi in Israele credono, ed Io vi prometto il possesso del Regno celeste, per il perdono della colpa d’origine e per la giusta ricompensa a tutti coloro che praticano la mia dottrina, che è la dolcissima perfezione del perfetto Decalogo di Dio.

   390.8Io resterò fra voi oggi e domani, che è il sabato sacro, e partirò all’alba del giorno dopo il sabato. Chi è afflitto venga a Me! Chi è dubbioso venga a Me! Chi vuole la Vita venga a Me! Senza timore, perché Io sono la Misericordia e l’Amore».
   E Gesù fa un ampio gesto di benedizione per congedare i suoi ascoltatori onde possano andare al pasto serale e al riposo, e fa per avviarsi quando una vecchierella, fino allora nascosta dall’angolo di una vietta, fende la folla che ancora vuole stare col Maestro e, fra il gridio stupito della stessa folla, si va ad inginocchiare ai piedi di Gesù gridando: «Te benedetto! E l’Altissimo che ti manda! E le viscere che ti hanno generato, che più che di donna sono se hanno potuto portare Te!».
   Un grido d’uomo si fonde al suo: «Colomba! Colomba! Oh! Tu vedi! Tu intendi! Tu parli con sapienza riconoscendo il Signore! Oh! Dio! Dio dei miei padri! Dio di Abramo, Isacco e Giacobbe! Dio dei profeti! Dio di Giovanni, il profeta! Dio! Dio mio! Figlio del Padre! Re come il Padre! Salvatore in ubbidienza al Padre! Dio come il Padre, e Dio mio, Dio del tuo servo! Che Tu sia benedetto, amato, seguito, adorato in eter­no!».
   E il vecchio sinagogo scivola in ginocchio di fianco alla sua vecchietta e, abbracciandola con il braccio sinistro, stringendosela al cuore, si curva e la fa curvare per baciare i piedi del Salvatore, mentre un gridio di gioia di tutta la gente fa vibrare i tronchi, tanto è vivo, e spaurire i colombi che, già posati ai loro nidi, si rialzano a volo, rotando su Engaddi come a spargere a tutti i luoghi della città buona la novella che il Salvatore è fra le sue mura.

[62] sarebbe come, invece di dovrebbe dare l’impressione di, è correzione di MV su una copia dattiloscritta.
[63] salmo, che non è il 34°, ma il 39° nella volgata e il 40° nella neo-volgata.
[64] principessa è il significato del nome Sarai (oSara).
[65] predetto, in: Michea 5, 1.
[66] permettere, invece di mettere, è correzione di MV su una copia dattiloscritta.