MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MAGGIORE

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VOLUME VIII CAPITOLO 515



DXV. Le ragioni del dolore salvifico di Gesù. Elogio dell’ubbidienza e lezione sull’umiltà.

   18 ottobre 1946.

   515.1Ma poco può stare Gesù coi suoi pensieri. Giovanni e suo cugino Giacomo, poi Pietro con Simone Zelote, lo raggiungono attirando la sua attenzione sul panorama che si vede dall’alto del colle. E, forse nell’intento di distrarlo, perché è visibilmente molto triste, rievocano episodi avvenuti in quelle plaghe che si mostrano ai loro occhi. Il viaggio verso Ascalona… la casa dei contadini del piano di Saron, dove Gesù rese la vista al vecchio padre di Gamala e Giacobbe… il ritiro al Carmelo di Gesù e Giacomo… Cesarea Marittima e la fanciulla Aurea Galla… l’incontro con Sintica… i gentili di Joppe… i ladroni presso Modin… il miracolo delle messi in casa di Giuseppe d’Arimatea… la vecchina spigolatrice… Sì, tutte cose che vorrebbero rallegrare… ma nelle quali, per tutti o per Lui solo, c’è misto un filo di pianto e un ricordo di dolore. Se ne accorgono gli stessi apostoli e mormorano: «Veramente in ogni cosa della Terra si trova un dolore. È luogo di espiazione…».
   Ma giustamente anche Andrea, che si è unito al gruppo insieme a Giacomo di Zebedeo, osserva: «Legge giusta per noi peccatori. Ma per Lui perché tanto dolore?».
   Sorge una benevola discussione e si mantiene tale anche quando, attirati dalle voci dei primi, si uniscono al gruppo tutti gli altri. Meno Giuda Iscariota che si dà un grande da fare in mezzo a degli umili, ai quali insegna imitando il Maestro nella voce, nel gesto, nel concetto; ma è un’imitazione teatrale, pomposa, alla quale manca il calore della convinzione, e i suoi ascoltatori glielo dicono anche senza perifrasi, cosa che fa diventare nervoso Giuda, il quale rinfaccia loro di essere ottusi e che perciò non capiscono niente. Ed egli dichiara che li lascia perché «non merita gettare le perle della sapienza ai porci». E si ferma però, perché gli umili, mortificati, lo pregano di compatirli, confessandosi «inferiori a lui come un animale è inferiore ad un uomo»…
   Gesù è distratto, da ciò che dicono intorno a Lui gli undici, per ascoltare ciò che dice Giuda; né ciò che sente lo rallegra di certo… Ma sospira e tace,

   515.2sinché Bartolomeo lo interessa direttamente sottoponendogli i diversi punti di vista sulla ragione del perché Egli, innocente di peccato, deve soffrire.
   Bartolomeo dice: «Io sostengo che ciò avviene perché l’uomo odia chi è buono. Parlo dell’uomo colpevole, ossia della maggioranza. Questa maggioranza comprende che nel paragone con chi è senza peccati ancor più risalta la sua colpevolezza, i suoi vizi, e per stizza di ciò si vendica facendo soffrire il buono».
   «Io invece sostengo che Tu soffri per il contrasto fra la tua perfezione e la nostra miseria. Anche se nessuno ti facesse spregio di sorta, soffriresti ugualmente, perché la tua perfezione deve avere un ribrezzo doloroso dei peccati degli uomini», dice Giuda Taddeo.
   «Io all’opposto sostengo che Tu, non essendo esente da umanità, soffri per lo sforzo di dover trattenere con la tua parte soprannaturale le rivolte della tua umanità contro i tuoi nemici», dice Matteo.
   «E io, certo sbaglierò perché sono uno stolto, dico che soffri invece perché il tuo amore viene respinto. Non soffri di non poter punire come il tuo lato umano può desiderare, ma soffri di non potere beneficare come vorresti», dice Andrea.
   «Infine io sostengo che Tu soffri perché devi soffrire tutto il dolore per redimere tutto il dolore. Non essendo in Te predominante questa o quella natura, ma ugualmente essendo queste due tue nature in Te fuse, con un perfetto equilibrio, per formare la Vittima perfetta. Tanto soprannaturale da poter essere valida a placare l’offesa fatta alla Divinità, tanto umana da poter rappresentare l’Umanità e ricondurla alla immacolatezza del primo Adamo per annullare il passato e generare una nuova umanità. Ricreare un’umanità nuova, secondo il pensiero di Dio, ossia un’umanità in cui sia realmente l’immagine e la somiglianza di Dio e il destino dell’uomo: il possesso, il poter aspirare al possesso di Dio, nel suo Regno. Devi soffrire soprannaturalmente, e soffri, per tutto ciò che vedi fare e per ciò che ti circonda, potrei dire, con perpetua offesa a Dio. Devi soffrire umanamente, e soffri, per stroncare le libidini della carne nostra avvelenata da Satana. Con la sofferenza completa delle due perfette nature, Tu annullerai completamente l’offesa a Dio, la colpa dell’uomo», dice lo Zelote.
   Gli altri tacciono. Gesù interroga: «E voi non dite niente? Quale secondo voi la più giusta definizione?».
   Chi dice questa e chi quella. Solo Giacomo d’Alfeo tace insieme a Giovanni.
   «E voi due? Non ne approvate nessuna?», stuzzica Gesù.
   «No. Sentiamo in tutte qualcosa di vero, o molto di vero. Ma sentiamo anche che manca la verità più vera».
   «E non la sapete trovare?».
   «Forse io e Giovanni l’avremmo trovata. Ma ci pare quasi bestemmia a dirla perché… Siamo dei buoni israeliti e temiamo tanto Dio da non poterne quasi dire il Nome. E pensare che, se l’uomo del popolo eletto, l’uomo figlio di Dio non può pronunciare quasi il Nome benedetto e ne crea dei sostituti per nominare il suo Dio, possa Satana osare di nuocere a Dio, ci pare pensiero di bestemmia. Eppure sentiamo che il dolore è sempre attivo verso Te perché Tu sei Dio e Satana ti odia. Te odia come nessun altro. Tu trovi l’odio, fratello mio, perché sei Dio», dice Giacomo.
   «Sì. Trovi l’odio perché sei l’Amore. Non sono i farisei, o i rabbi, non è questo o quello, e per questo o quello, che si alzano a darti dolore. È l’Odio che investe di sé gli uomini e te li drizza contro lividi di odio, perché col tuo amore Tu strappi troppe prede all’Odio», dice Giovanni.
   «Manca ancora una cosa alle molte definizioni. Cercate la ragione più vera. Quella per la quale sono…», incoraggia Gesù.
   Ma nessuno trova. Pensano, pensano. Si arrendono dicendo: «Non troviamo…».
   «È così semplice. Vi è sempre davanti. Risuona nelle parole dei nostri libri, nelle figure delle nostre storie… Suvvia, cercate! In tutte le vostre definizioni c’è del vero, ma manca la prima ragione. Cercatela non nell’oggi, ma nel passato più lontano, oltre i profeti, oltre i patriarchi, oltre la creazione dell’Universo…».
   Gli apostoli sono pensierosi… ma non trovano. Gesù sorride. Poi dice:
   «Eppure, se ricordaste le mie parole, trovereste la ragione. Ma non potete tutto ricordare ancora. Però ricorderete un giorno.

   515.3Ascoltate. Risaliamo insieme il corso dei secoli, sin oltre i limiti del tempo. Chi ha guastato lo spirito dell’uomo, voi lo sapete. È Satana, il Serpente, l’Avversario, il Nemico, l’Odio. Chiamatelo come volete. Ma perché lo ha guastato? Per una grande invidia: quella di vedere l’uomo destinato al Cielo dal quale egli era stato cacciato. Volle per l’uomo l’esilio che egli aveva avuto. Perché era stato cacciato? Per essersi ribellato a Dio. Voi lo sapete. Ma in che? Nell’ubbidienza. Al principio del dolore sta una disubbidienza. E allora, non è anche necessariamente logico che, a ristabilire l’ordine, che è sempre gioia, non debba essere un’ubbidienza perfetta? Ubbidire è difficile, specie se è in materia grave. Il difficile dà dolore a chi lo compie. Pensate dunque se Io, che sono stato richiesto dall’Amore se volevo riportare il gaudio ai figli di Dio, non debba soffrire infinitamente, per compiere l’ubbidienza al Pensiero di Dio. Io dunque devo soffrire per vincere, per cancellare non uno o mille peccati, ma lo stesso Peccato per eccellenza, che nello spirito angelico di Lucifero, o in quello che animava Adamo, fu e sarà sempre, sino all’ultimo uomo, peccato di disubbidienza a Dio.
   Voi uomini dovete ubbidire limitatamente a quel poco — vi pare tanto ma è così poco — che Dio vi richiede. Nella sua giustizia vi chiede solamente ciò che potete dare. Voi, dei voleri di Dio, sapete quel tanto che potete compiere. Ma Io conosco tutto il suo Pensiero, per i grandi e i minuti avvenimenti. A Me non sono posti limiti nel conoscere e nell’eseguire. L’amoroso Sacrificatore, l’Abramo divino, non risparmia la sua Vittima e il Figlio suo. È l’Amore insaziato e offeso che esige riparazione e offerta. E vivessi mille e mille anni, nulla sarebbe se non consumassi l’Uomo sino all’ultima fibra, così come nulla sarebbe stato se ab eterno non avessi detto: “Sì” al Padre mio, disponendomi ad ubbidire, e come Dio Figlio e come Uomo, al momento trovato giusto dal Padre mio.
   L’ubbidienza è dolore ed è gloria. L’ubbidienza, come lo spirito, non muore mai. In verità vi dico che i veri ubbidienti diverranno dèi, ma dopo una lotta continua contro se stessi, il mondo, Satana. L’ubbidienza è luce. Più si è ubbidienti e più si è luminosi e si vede. L’ubbidienza è pazienza, e più si è ubbidienti più si sopportano le cose e le persone. L’ubbidienza è umiltà, e più si è ubbidienti più si è umili col prossimo nostro. L’ubbidienza è carità perché è un atto di amore, e più si è ubbidienti più gli atti sono numerosi e perfetti. L’ubbidienza è eroicità. E l’eroe dello spirito è il santo, il cittadino dei Cieli, l’uomo divinizzato. Se la carità è la virtù in cui si ritrova Dio Uno e Trino, l’ubbidienza è la virtù in cui si trova Me, il Maestro vostro. Fate che il mondo vi riconosca miei discepoli per una ubbidienza assoluta a tutto quanto è santo.

   515.4Chiamate Giuda. Ho da dire qualcosa anche a lui…».
   Giuda accorre. Gesù accenna al panorama che si restringe mano a mano che si discende, e dice:
   «Una piccola parabola per voi, maestri futuri di spiriti. Tanto più vedrete quanto più salirete per cammino di perfezione che è arduo e penoso. Noi prima vedevamo le due pianure, filistea e di Saron, coi molti paesi e campi e frutteti, e persino un azzurro lontano che era il grande mare, e il Carmelo verde là in fondo. Ora non vediamo più che poco. L’orizzonte si è ristretto e più si restringerà fino a scomparire in fondo alla valle. Lo stesso avviene di chi scende nello spirito invece di[40] salire. Sempre più limitata si fa la sua virtù e sapienza, e ristretto il suo giudizio fino ad annullarsi. Allora un maestro di spirito è morto alla sua missione. Non discerne più e non guida più. È un cadavere e può corrompere così come si è corrotto. La discesa talora invoglia, quasi sempre invoglia, perché in basso sono soddisfazioni del senso. Noi pure scendiamo a valle per trovare riposo e cibo. Ma se ciò è necessario al corpo nostro, non è necessario soddisfare l’appetito del senso e l’infingardia dello spirito con lo scendere nelle valli del sensualismo morale e spirituale. Una sola valle è concesso di toccare: quella dell’umiltà. Ma perché in questa lo stesso Dio scende a rapire lo spirito umile per innalzarlo a Sé. Chi si umilia sarà esaltato. Ogni altra valle è letale, perché allontana dal Cielo».
   «Per questo mi hai chiamato, Maestro?».
   «Per questo. Hai parlato molto con quelli che ti interrogavano».
   «Sì, e non merita. Sono più duri d’intelletto dei muli».
   «E Io ho voluto deporre un pensiero dove tutto è uscito. Perché tu possa nutrire il tuo spirito».
   Giuda lo guarda interdetto. Non sa se è dono o rimprovero. Gli altri, che non avevano notato i discorsi dell’Iscariota coi seguaci, non comprendono che Gesù rimprovera Giuda della sua superbia.

   515.5E Giuda preferisce portare prudentemente il discorso su altre vie e chiede: «Maestro, cosa pensi Tu? Quei romani, così come l’uomo di Petra, potranno mai giungere alla tua dottrina, essi che hanno avuto un così limitato contatto con Te? E quel­l’Alessandro? Se ne è andato… Non lo vedremo più. E questi pure. Si direbbe che in loro c’è un’istintiva ricerca della verità, ma sono immersi fino al collo nel paganesimo. Riusciranno mai a concludere qualcosa di buono?».
   «Vuoi dire a trovare la Verità?».
   «Sì, Maestro».
   «E perché non dovrebbero riuscire?».
   «Perché sono dei peccatori».
   «Ed essi soltanto sono peccatori? Fra noi non ve ne sono?».
   «Molti, lo ammetto. Ma appunto dico che se noi, già nutriti di sapienza e verità da secoli, siamo peccatori e non riusciamo a divenire giusti e seguaci della Verità che Tu rappresenti, come potranno farlo loro, saturi di immondezze come sono?».
   «Ogni uomo può giungere a raggiungere e possedere la Verità, ossia Dio. Quale che sia il punto dal quale parte per giungere ad essa. Quando non ci sia superbia della mente e depravazione della carne, ma sincera ricerca della Verità e della Luce, purezza di scopo e anelito a Dio, una creatura è sicuramente sulla via di Dio».
   «Superbia della mente… e depravazione della carne… Maestro… allora…».
   «Continua il tuo pensiero, che è buono».
   Giuda tergiversa, poi dice: «Allora essi non possono raggiungere Dio, perché sono dei depravati».
   «Non era questo che tu volevi dire, Giuda. Perché hai imbavagliato il tuo pensiero e la tua coscienza? Oh! come è difficile che l’uomo salga a Dio! E l’ostacolo maggiore è in se stesso, che non vuole confessare e riflettere su se stesso e i suoi difetti. Veramente anche Satana è calunniato molte volte, addebitando ad esso ogni causa di rovina spirituale. E calunniato ancor più è Dio, al quale si addebitano tutti gli eventi. Dio non viola la libertà dell’uomo. Satana non può prevalere su una volontà ferma nel Bene. In verità vi dico che settanta volte su cento l’uomo pecca per sua volontà. E — non lo si considera, ma così è — e non risorge dal peccato perché sfugge dall’esaminarsi, e anche se la coscienza, con un imprevisto moto, si drizza in lui e urla la verità che egli non ha voluto meditare, l’uomo soffoca quel grido, annulla quella figura che gli si drizza davanti all’intelletto severa e dolente, altera con sforzo il suo pensiero suggestionato dalla voce accusatrice, e non vuole dire, ad esempio: “Ma allora noi, io, non possiamo raggiungere la Verità, perché abbiamo superbia della mente e corruzione della carne”. Sì, in verità, fra noi non si procede verso la via di Dio, perché fra noi è superbia della mente e corruzione della carne. Una superbia veramente emula di quella satanica, tanto che si giudicano od ostacolano le azioni di Dio, quando sono contrarie agli interessi degli uomini e dei partiti. E questo peccato farà di molti di Israele i dannati eterni».
   «Non siamo tutti così, però».
   «No. Spiriti buoni ce ne sono ancora, ed in ogni classe. Più numerosi fra gli umili del popolo che fra i dotti ed i ricchi. Ma ci sono. Ma quanti sono? Quanti, rispetto a questo popolo di Palestina che da quasi tre anni evangelizzo e benefico e per il quale mi consumo? Ci sono più stelle in una notte nuvolosa che non spiriti volonterosi di venire al Regno mio in Israele».
   «E i gentili, quei gentili, ci verranno?».
   «Non tutti, ma molti. Anche fra i miei stessi discepoli non tutti saranno perseveranti sino alla fine. Ma non preoccupiamoci dei frutti che infraciditi cadono dal ramo! Cerchiamo, finché si può, di non farli infracidire con la dolcezza, con la fermezza, col rimprovero e col perdono, con la pazienza e la carità. Poi, quando essi dicono “no” a Dio e ai fratelli che li vogliono salvare, e si gettano in braccio alla Morte, a Satana, morendo impenitenti, chiniamo il capo e offriamo a Dio il nostro dolore di non averlo potuto fare lieto di quell’anima salvandogliela. Ogni maestro conosce di queste disfatte. E servono esse pure. A tenere mortificato l’orgoglio del maestro d’anime e a provare la sua costanza nel ministero. La disfatta non deve stancare la volontà dell’educatore di spiriti. Ma anzi spronarlo a far più e meglio in avvenire».

   515.6«Perché hai detto al decurione che lo rivedrai su un monte? Come fai a saperlo?».
   Gesù guarda Giuda di uno sguardo lungo e strano, misto di mestizia e di sorriso insieme, e dice: «Perché sarà uno dei presenti alla mia assunzione e dirà al grande dottore d’Israele una severa parola di verità. E da quel momento inizierà il suo cammino sicuro verso la Luce. Ma eccoci a Gabaon. Pietro vada con altri sette ad annunciarmi. Parlerò subito per licenziare chi mi segue dai paesi vicini. Gli altri sosteranno con Me sino a dopo il sabato. Tu, Giuda, resta insieme a Matteo, Simone e Bartolomeo».
   (Io non ho riconosciuto nel decurione[41] nessuno dei soldati pre­senti alla Crocifissione. Ma devo anche dire che, presa dall’osservazione attenta del mio Gesù, non li ho notati molto. Erano, per me, un gruppo di soldati preposti al servizio. Nulla più. Inoltre, quando avrei potuto osservarli meglio perché «tutto era compiuto», c’era una luce così non luce che soltanto i volti molto noti potevano essere riconosciuti. Penso però, per le parole di Gesù, che sia quel milite che dice a Gamaliele alcune parole che non ricordo e che non posso controllare, perché sono sola e non posso farmi dare il quaderno della Passione da nessuno).

[40] invece di, più chiaro dell’originale in luogo di, è preso dalla trascrizione dattiloscritta.
[41] decurione è il capo del manipolo romano, o graduato, incontrato in 514.7/9; presa dall’osservazione attenta del mio Gesù, nella scena della Crocifissione, scritta in precedenza (il 27 marzo 1945) ma collocata in seguito, al capitolo 609.