MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MINORE

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QUADERNI DEL 1944 CAPITOLO 327


28 maggio 1944

   Pentecoste, ore 10

   [Precede – alle “ore 2 ant.ne della Pentecoste” – il capitolo 353 del­l’opera L’EVANGELO]

   Vedo la stanza dove fu consumata la Cena326.
   Le suppellettili sono sempre le stesse. Però messe in diversa maniera. Le due cassapanche – ossia la vera cassapanca del lato sinistro, rispetto a me che guardo verso la porta, e la bassa credenza del lato opposto – sono state portate fuori dal vano delle finestre in cui erano e messe l’una presso all’altra in fondo alla stanza (nel lato senza finestre).
   Contro l’altro lato, ossia quello in cui si apre, nell’angolo nord-ovest, la piccola porta alla quale si accede per la scaletta di sei scalini, è stato spinto il tavolone che era al centro della stanza la sera del Giovedì Santo. Fra il muro e il tavolone vi sono i sedili, finché ve ne possono essere. Gli altri sono ai due lati corti della tavola. Così: 

Insomma dodici contro la parete e due per lato. Questi due per lato sono vuoti. Paiono messi lì tanto per poterli mettere in qualche posto. L’uno è lo sgabello usato da Gesù per la lavanda dei piedi.
   La tavola è nuda. Non ha tovaglia né stoviglie. La credenza e la cassapanca pure sono senza stoviglie, ma su esse stanno, piegati, i mantelli degli apostoli.
   Le finestre sono chiuse. La sbarra di ferro le traversa tenendole ben serrate come fosse notte. Perciò il lume è acceso al centro della stanza. Ma deve essere giorno fatto, perché da uno spacco o foro che è in una imposta filtra un ago di sole nel quale danzano i pulviscoli della polvere. La luce è poca essendo acceso un sol becco del lume. Però la poca luce permette di vedere distintamente tutto. Vedo anche i grandi mattoni quadrati del pavimento col loro colore rosa pallido.
   Al centro della tavola è seduta la Mamma. Alla sua destra Pietro, alla sinistra Giovanni. Davanti a sé la Madonna ha un cofano largo e basso, di stile orientale, chiuso. Contro questo sono appoggiati dei rotoli; fa così da leggìo.
   Maria è vestita di azzurro cupo. Sotto ha il velo bianco. Ma ha anche il manto sul capo. L’unica a capo coperto. E mi ricorda molto la Vergine dell’Eucarestia quale mi apparì lo scorso mese di giugno (1943). (Credo sia stato in giugno327, se no è agli ultimi di maggio. Non ho modo di confrontare coi dettati passati).
   Maria legge a voce alta. Gli altri seguono la sua lettura mentalmente e, quando è il momento, rispondono. Risento perciò qui l’espressione: “Maran ata”, già udita328 altra volta, non ricordo quando né da chi detta. Deve essere una specie di “Così sia” o di “Sia lodato il Signore”, perché viene detta come diciamo noi una giaculatoria finale.
   Maria sorride nel leggere. Un sorriso, direi, interno. Sorride ad un suo pensiero. Non guarda nessuno e perciò non sorride a nessuno. Sorride ad un suo pensiero d’amore, a chissà quale interna visione beata. Sorride. Gli apostoli l’ascoltano e la guardano sorridere così, mentre la sua dolce voce ha note di canto nel leggere i salmi (suppongo siano salmi) nella lingua d’Israele.
   Pietro si commuove nell’udirla e due lacrimoni scendono per le rughe che fiancheggiano il naso e si perdono nei baffi brizzolati.
   Giovanni la guarda e risponde al suo sorriso sorridendo. Pare un laghetto che divenga un sole riflettendo il sole che esso guarda. Senza appoggiarsi a Maria con la confidenza che aveva con Gesù, si stringe però più che può a Lei e allunga il collo per seguire le righe che Ella legge. Nelle pause, quando viene cambiato il rotolo o risposto il “Maran ata”, la guarda e sorride.
   Non c’è altro rumore che la voce di Maria e il fruscio delle pergamene. Poi anche questo cessa, perché Maria tace e curva il capo in avanti appoggiandolo al cofano. Continua internamente la sua orazione. Gli altri la imitano, chi in una posa, chi nell’altra.
   Un rombo fortissimo come accordo di organo gigantesco, voce di vento celeste e armonico, eco di tutti i paradisiaci cori al quale fanno da appoggio tutte le voci dei venti e dei canti terrestri, empie il silenzio della quieta mattina, si avvicina sempre più e sempre più potente, e l’aria ne vibra, e ne oscilla la fiammella del lume, e le catene che lo sostengono e che ricadono in penduli ornati tintinnano proprio come fanno quando un’onda fragorosa di suono empie una chiusa stanza. Se vi fossero dei vetri chissà come trillerebbero. Ma non vi sono e non si ode il particolare rumore del vetro percosso da una vibrazione sonora.
   Gli apostoli alzano il capo spauriti. E dato che il suono cresce per ogni attimo di minuto secondo, c’è chi si alza spaventato e cerca fuggire, c’è chi si rannicchia battendosi il petto e c’è chi si stringe a Maria per cercarne protezione. Il più calmo è Giovanni, che guarda unicamente Maria e vedendola sorridere più beata di prima si rincuora subito.
   Maria alza il capo, sorride a ciò che il suo spirito certo vede e poi scivola in ginocchio aprendo le braccia. Il manto le si apre ed Ella pare un angelo azzurro con due grandi ali che si stendono sul capo di Pietro e Giovanni, che l’hanno imitata inginocchiandosi.
   Ho tenuto più tempo io a descrivere che la cosa a compiersi. Sono stati secondi di tempo.
   E poi ecco la Luce, il Fuoco, ecco lo Spirito penetrare con un ultimo squillo possente ed empire la stanza di un fulgore insostenibile, di un calore ardentissimo, e rimanere per un attimo librato, in meteora rutilante di luce, sul capo di Maria e poi scindersi e spartirsi e scendere in lingue di fiamma a baciare la fronte di ogni presente.
   Ma la fiamma che scende su Maria!… Lunga e vibrante come un nastro di fuoco, non si limita a posarsi sulla fronte, ma gliela cinge, gliela abbraccia e bacia e carezza, fissandosi come un aureo cerchio intorno al capo verginale, scoperto ora perché Maria, quando ha visto il Fuoco Paraclito, ha alzato le braccia come per abbracciarlo, con un grido di gioia, ed il manto e il velo sono scivolati e caduti dal capo, dalle spalle, ed Ella è là, svelata, fatta d’un subito più giovane nelle sue bionde trecce senza rovina di canizie, bella, bella, bella per il suo serto divino che vibra con la fiamma finale sulla fronte dopo averla cinta del suo diadema di Regina celeste, e bella per la gioia che la trasfigura… Oh! non si può dire cosa diviene di bello il volto di Maria nell’abbraccio del suo divino Sposo!
   Il Fuoco permane così qualche tempo e poi dilegua lasciando dietro a Sé una fragranza non terrena. La visione dilegua col suo svanire.

[326] la Cena, quella riportata il 17 febbraio e che sarà riscritta nel 1945 per l’opera maggiore. Anche la presente “visione” della Discesa dello Spirito Santo (Atti 2, 1-4) sarà ripresentata più ampiamente nel 1947 e, in questa seconda stesura, formerà il capitolo 640 dell’opera maggiore.
[327] in giugno, precisamente il 23 giugno 1943.
[328] udita nella “visione” del 29 febbraio. Potrebbe corrispondere ad una invocazione aramaica che significa “Signore, vieni!”, come in 1 Corinzi 16, 22.