MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MINORE

A A A

QUADERNI DEL 1944 CAPITOLO 338


15 giugno 1944

   Rileggo oggi, 15, l’Ora santa dettata ieri, e Gesù mi dice:
   «Per coloro che sempre si permettono di fare appunti sulle mie parole, dico che se non le capiscono studino teologia. Esse rispondono a quanto la teologia insegna.
   E per la frase, che certo darà loro noia: “Lo spirito è essenza effusa da Dio”, pensino che l’anima è “soffio infuso da Dio”. Voi, privi d’anima, siete cadaveri.
   Aprano la Genesi. Essa dice386: “Il Signore Iddio formò l’uomo col fango della terra e gli ispirò in faccia il soffio della vita”. Non mi dicano: “Per dargli vita”. No. Per dare vita agli animali domestici o selvatici, quadrupedi, rettili, pesci, uccelli che fossero, non ebbe bisogno di “ispirare loro in faccia il soffio vitale”. Li creò e basta. Il soffio di Dio è l’anima, l’anima vita. È l’alito dello Spirito di Dio che diviene spirito vitale nell’uomo.
   Aprano anche i Vangeli. E con che credete che Io rendessi vita ai morti? Con la mano? Con la voce? No. Infondendo il mio alito, che per esser di Dio era vitale, ossia era spirituale, era anima. Mi curvavo sui morti e li prendevo per mano e comandavo: “Levati”. Sì. Ma ciò era la forma esteriore e visibile. Mentre mi curvavo, alitavo loro in volto lo spirito, l’effusione del mio spirito, e tornava la vita.
   E se nella risurrezione di Lazzaro essi, coloro che fanno appunti al mio dire, mi dicono: “Tu Lazzaro non lo hai avvicinato”, Io rispondo: “Per questo, in questo miracolo, ho invocato l’aiuto del Padre e – imparate, o uomini – per averlo senza fallo l’ho ringraziato387 avanti il miracolo per avermi esaudito: ‘Padre, ti ringrazio di avermi esaudito. Io so che Tu mi esaudisci sempre. Ma lo dico per il popolo che mi circonda, affinché creda che Tu mi hai mandato’”. Fede sicura, riconoscenza pronta. Riconoscenza anticipata, anzi, prova della fede sicura. Per Lazzaro sepolto nel sepolcro, oltre lo spazio e le bende e il marciume, lontano da Me, occorre l’effusione vitale da Dio. E la vita ritorna.
   Aprano anche il Libro. Al libro III dei Re388 cap. 17. Come rende vita al figlio della vedova di Sarepta il profeta Elia? Stendendosi per tre volte sul morticino e gridando a Dio. Ma anche ispirando al morto lo spirito che la preghiera a Dio gli aveva reso potente di potenza vitale. Elia, profeta, ossia servo di Dio, ma non Dio né Figlio di Dio, deve per tre volte ripetere preghiera e infusione. Ma è sempre alito che infonde. Alito spirituale.
   E non dice389 il Libro: “Non vogliate essere simili agli animali la cui vita è nelle nari”? Per dire che la Vita non è nel respiro ma nel profondo, in un punto segreto, ma da cui si diffonde per tutto il corpo e dal quale può effondersi in palpiti risalenti al Cielo: carità verso Dio; spandentesi sulla Terra: carità verso il prossimo. Perciò: essenza effusa e infusa da Dio, essa si nutre del cibo di Dio.
   E per l’altra frase: “Io per voi ho chiesto la mia stessa gloria, anzi ve l’ho data addirittura… ”, che certo li urterà, prendano il Vangelo di Giovanni e lo aprano là dove è la mia estrema preghiera390 avanti la Passione. Sarebbe salute se di essa se ne nutrissero quotidianamente lo spirito e la dessero come sbriciolato pane al gregge dei “piccoli” che ho loro affidato.
   Meno libri e libroni, scribi del 20° secolo! Ma questa, questa, questa preghiera di cui ogni parola apre orizzonti, sorgenti, tesori di salute, perché vi insegna amore, fede, speranza, fortezza, giustizia, prudenza e temperanza. E se non vedono dove sono queste virtù in essa, difficilmente accetteranno la mia lezione che le mostra loro.
   È amore la nota fondamentale di tutta la mia preghiera.
   È fede quando Io chiedo per gli uomini i celesti doni.
   È speranza quando parlo di quelli che ancor non sono ma che si santificheranno perché il Padre li santificherà anche dopo che Io non sarò più evangelizzatore fra gli uomini.
   È fortezza perché Io grido questa mia preghiera, che pare un inno di trionfo, nell’ora in cui so che si appresta ciò che è tortura per la carne e apparente fallimento di ogni speranza, fede e amore da parte di Dio e degli uomini e in Dio e negli uomini.
   È giustizia quando Io chiedo che “siano una sola cosa con il Padre e con Me” coloro che non sono figli di perdizione non avendo voluto seguire Satana. No, non perisce chi non vuole perire. Non perisce. E per chi non vuole perire è serbata l’amicizia e l’unione con Dio. Perché il Padre ed Io siamo giusti e giudichiamo con giustizia, tenendo presenti la debolezza del­l’uomo e le circostanze che aumentano la debolezza.
   Ed ecco che Io metto la prudenza nella preghiera mia. Non dico: “Essi sono santificati da Me e non c’è bisogno d’altro. Sono sicuro di essi”. No, ché anzi dico: “Santificali nella verità”. Prego che questa santificazione sia inesausta per controbilanciare l’inesausta e deleteria azione della natura aizzata da Satana.
   Infine è temperanza quando non oso dire: “Mi sacrifico totalmente e li voglio totalmente gli uomini”. Li vorrei. Ma non sarebbe giustizia, perché molti non meritano salvezza per il loro connubio con Satana. E allora Io chiedo, con temperanza, coloro che si santificheranno per aver creduto e vissuto secondo la Parola che il Padre mi ha data perché Io a loro la dessi. A questi Io do la gloria che il Padre mi ha data. “E la gloria391 che Tu mi desti l’ho data loro perché siano una sola cosa con Noi” (Giovanni cap. 27 v. 22).
   Ecco la frase che a loro parrà eresia del mio piccolo Giovanni. No. Io lo proteggo. Me lo stringo al cuore, lo metto nel cerchio delle mie braccia questo “piccolo” che sa ascoltarmi e comprendermi perché mi ama. Ecco la sua forza. Mi ama e perciò vi supera, dotti che siete dotti come lo potete essere: con una sola ala alla vostra scienza, perché l’altra vi manca non avendo ardente, totale carità; che siete dotti, ma che non siete amorosi.
   Questa mia piccola “voce”, che è come quella di un piccolo passero che sta ad ali tese a seguire il volo dell’aquila perché vor­rebbe seguirla per udirne il canto e ripeterlo ai suoi compagni, merita – perché l’aquila regale non opprime i piccoli passerotti, ma se ne fa degli amici anche in prigionia – merita che la corren­te veemente del volo regale trascini la sua piccolezza, incapace di altezze, ad altezze paradisiache, e che sotto la protezione delle sue potenti ali l’aquila la difenda dai nibbi e dai falchetti e le conceda di nutrirsi sulla roccia solitaria coi minuzzoli che essa le sbriciola. Perché l’aquila l’ama.
   Tanto l’ama, questa piccola voce. E perciò l’ha ribattezzata “Giovanni,” perché, oltre all’Aquila divina, essa sia difesa dal­l’aquila apostolica e impari il suo canto dal nostro, ed abbia pace all’ombra della nostra fortezza, calore per il Sole al quale la trasciniamo, cibo per quanto le diamo. Io la difendo. Io e Giovanni.
   E quando il piccolo passero non avrà più voce e tacerà dopo l’ultima professione d’amore, quando le sue piccole ali si raccoglieranno sul cuore che ha tanto palpitato d’amore ed i suoi occhi si chiuderanno non per sazietà di vedere il Sole, il suo Sole392, ma perché l’ardore di Esso l’avrà consumato, noi lo prenderemo e lo porteremo con noi, oltre il limite che separa l’umano dal sovrumano, e lo poseremo in grembo a Maria, ai piedi del trono di Dio, perché riaprendo ali, bocca e occhi, voli, canti, veda. Voli al Sole-Dio. Canti al Sole-Dio. Veda il Sole-Dio.
   Questo per coloro che “la odiano senza ragione” come hanno odiato Me.
   Per coloro, poi, che mi amano e l’amano, dico che Io do loro l’Ora santa. L’ho dettata per molti, ma la dedico a loro che la desideravano e a P. Migliorini. Non la dedico alla “mia” piccola voce. Lei è adoratrice perpetua ed ha il suo Maestro che di ora in ora le suggerisce le adorazioni, tenendola Cuore a cuore.
   La dedico al Padre M. che è il piccolo padre di questa piccola voce il cui Padre è Dio. A Paola393, che voglio che ora e sempre pensi e senta che ha un Padre e una Madre in Cielo e sia serena perché la fede in un amore vero – e nessun amore è più vero del nostro – dà serenità. A Marta, perché anche lei ha bisogno di pensare che non è sola. E pensarlo anche quando la “piccola voce” sarà lontana da lei, ma attiva per lei nel mio seno più di ora.
   Vi benedico tutti.»
   Quando Gesù diceva: “Il mio piccolo Giovanni Io lo proteggo. Me lo stringo al cuore, lo metto fra il cerchio delle mie braccia”, mi sono sentita prendere per le spalle da Gesù. La mano destra sulla mia spalla destra e la mano sinistra sulla spalla sinistra, e Gesù mi attirava a Sé, così, standomi alle spalle e parlandomi fra i capelli per dettare il resto del dettato. Sentivo l’alito di Gesù sul sommo del capo mio e i suoi lunghi capelli vellicarmi una tempia.
   Come è bello stare così sotto il manto di Gesù e contro il suo cuore! Sentivo, non vedevo. Gesù, per me, l’ho visto soltanto il 7 giugno.

[386] dice, in Genesi 2, 7.
[387] l’ho ringraziato, come si legge in Giovanni 11, 41-42.
[388] libro III dei Re secondo la volgata. Nella neo-volgata l’episodio citato si trova in 1 Re 17, 17-24.
[389] dice, press’a poco, in Qoèlet 3, 21.
[390] estrema preghiera, già richiamata nel “dettato” precedente e che è in Giovanni 17.
[391] “E la gloria…”. Al termine della frase citata, la scrittrice inserisce tra parentesi: Giovanni cap. 27 v. 22; ma il corretto rinvio è a Giovanni 17, 22.
[392] il suo Sole… Ricordiamo che la scrittrice, negli anni di isolamento psichico che precedettero la sua morte, quando aveva perduto la capacità di dialogare e se ne stava nel suo letto d’inferma senza più scrivere né lavorare, era solita esclamare: “Che sole che c’è qui!”.
[393] Paola è Paola Belfanti (nota al 2 gennaio); Marta è Marta Diciotti (nota al 10 gennaio, oltre che al 3 giugno del precedente anno 1943).