MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MINORE

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QUADERNI DEL 1944 CAPITOLO 378


6 agosto 1944

   Dice Gesù529:
   «“Signore” mi hai detto, “preferisco così di quanto ero allora”. Hai dunque capito quanto sia più grande servire Dio e amarlo di quel che non lo sia amare e servire un uomo. Sei dunque pervenuta a quel punto di intelligenza che dovrebbe essere nelle creature e che invece è posseduto tanto raramente.
   Come maestro severo ho dovuto farti percorrere tutta una penosa strada di insegnamento per portarti a questa conoscenza.
   Un maestro severo non consente che lo scolaro abbia seco trastulli o altri oggetti atti a sviare la sua attenzione dallo studio col ricordo di affezioni familiari o amichevoli. Al fanciullo quel maestro sembra troppo severo, persino crudele, e quasi giunge ad odiarlo. Ma, fatto adulto e pervenuto a una coltura superiore che gli consente d’essere qualcosa nella società, allora benedice il suo rigido maestro e comprende che la sua attuale virilità di pensiero, il suo benessere attuale, la tempratura del suo carattere sono merito della costante severità del maestro.
   E, meditandola, si accorge anche che essa era molto più rigida sul principio mentre è andata sempre più addolcendosi verso la fine. E se ne chiede: “Perché? Non era meglio esser dolce quando ero ancora bambino e sentivo troppo la diversità dalle dolcezze materne alle severità scolastiche? Non era più giusto stringere i freni quando adolescenza e prima giovinezza mi avevano fatto meno affamato di carezze?”. Ma poi, appunto perché saggiamente educato, lo scolaro, ormai uomo, riconosce che in questo, proprio in questo è stato il merito educativo, e proprio per questo egli è ora un forte nella vita.
   Un forte. Poveri quegli uomini che, educati con mollezza, si trovano poi, fatti adulti, di fronte alle lotte della vita, che non è certo tenera come cuore di madre, benigna come ambiente familiare, ma piena di durezze, inimicizie, lotte, sforzi. Sono coloro che finiscono ad esserne travolti o, per non esserne travolti, finiscono col divenire dei disonesti, ottenendo con male arti ciò che non sanno ottenere col loro merito.
   Io sono stato un Maestro molto severo con te perché ti volevo forte nello spirito. Tu eri tanto debole. Come vilucchio sottile, avevi bisogno di abbracciarti ad altri per dare ad essi la gioia dei tuoi fiori d’amore e a te quella di avere chi li sostenesse senza vederli cadere sotto il piede dell’indifferenza e morire così, dopo avere inutilmente fiorito. Io ti ho fatto il vuoto intorno, lasciando sulla tua landa un solo tronco scabro e gigante, molto, troppo scabro per la povera esile campanula che ne aveva paura.
   Sei rimasta perciò a terra, conoscendo arsione e polvere e il gusto così poco piacevole della polvere arida. Se piangevi per essere stata calpestata o percossa da chi passando neppur ti aveva vista, mentre tu l’avevi salutato da lontano con gioia ed avevi tentato di alzare i tuoi rametti che la gioia aveva coperto di fiori – la gioia e la speranza – ecco che il pianto si mescolava con la polvere del suolo e sporcava la seta dei tuoi fiori col fango ancor più disgustoso della polvere. Poveri fiori che si macchiavano di terra mentre la loro missione, per cui li avevo creati, era empirsi di Cielo!
   Stanca di esser sola, calpestata, e lordata da quanto non poteva saziarti – l’umanità con le sue durezze, egoismi e povere affezioni umane, false, egoiste e sensuali, che non ti capivano, che non potevano bastarti – hai cominciato a pensare al tronco che rimaneva fedele al suo posto, presso a te, mentre gli altri steli – canne pieghevoli ad ogni vento, non più di canne – venivano svelte da una forza, misteriosa per la tua ignoranza di allora, ma il cui nome era Amore Divino.
   Quanta fatica, povera Maria, per tenderti a quella volta, per alzarti sino a gettare il primo anello intorno al tronco così rude, così rude per la tua debolezza, così difficile ad abbracciare. Col pianto che ti strappava il dolore di questa asprezza e la fatica, hai dovuto lavarti da ogni polvere di umanità per essere più agile e leggera. Perché polvere e fango incrostano e pesano. Ma quanta gioia quando hai visto che il primo tuo fiore, fiorito contro il tronco rude, non ha subìto percossa di durezza umana, non si è appassito nella polvere né lordato nel fango, ma ha potuto olezzare, carezzando il suo sostegno, e imperlarsi di rugiada, solo di rugiada fresca e purificatrice, e di gemme arrubinate che piovevano dall’alto del tronco a far più bella e forte la tua corolla. La tua prima corolla che si empisse di Cielo.
   Hai voluto riaverla questa gioia e sei salita ancora. Due, tre, dieci anelli sempre più alti sul tronco rude, e sempre più forza e profumo, e sempre più rugiada e cielo e rubini sui fiori sempre più numerosi. Quando sei stata a mezza via, hai conosciuto il nome di quel tronco: era la mia Croce. Ed essa ti ha parlato530 con la sua voce di dolore e di amore. Hai letto sul suo legno, scritte col Sangue del tuo Dio, le verità che sono vita, le hai baciate, ne hai sentito il sapore e hai voluto salire fino in alto, là dove un Volto doloroso ti sorrideva gocciando pianto e sangue: la tua rugiada e i tuoi rubini. Non hai voluto più che questo.
   Ecco allora che il tuo Maestro e Redentore ha fatto più liscio il tronco del suo trono, sempre più liscio e dolce per aiutarti a salire. Perché l’amore ottiene ricambio d’amore e il mio, che già ti amava fino a volerti tutta per sé, ora che lo amavi con tutta te stessa ti amò con predilezione.
   Eccoti, piccola voce, giunta alla conoscenza del tuo Bene. Dall’alto del nostro patibolo di redentori–amanti tu guardi non con desiderio ma con misericordia la Terra lontana, i poveri steli che non sanno venire alla Croce, e guardi il Cielo per pregarlo in loro favore, perché unita al Cristo condividi la sua divina sete di amare e salvare le anime. Dall’alto della Croce tu impari la scienza più alta e, come uccello sulla vetta di un altissimo cedro, canti i suoi insegnamenti perché li odano i poveri steli e vengano verso la Luce.
   Hai avuto i doni più grandi. Ma il dono dei doni è stato l’amore. Ed Io ti insegno a sempre più salire nella via che è sublime: quella dell’amore. Se passando dal vero amore al piccolo amore tu tornassi ad amare te stessa nelle creature – medita questa grande verità che è la chiave di ogni affezione umana – i tuoi sostegni si allenterebbero dal tronco sublime e riconosceresti il fango amaro che empie ma non sazia.
   Ama. Me sopra ogni cosa. Per tutto il bene che ti ho dato. Ama il prossimo in Me, nulla sperando da esso, nulla pretendendo. Amalo appunto perché è così incapace di amare e così infelice per non sapere amare. Amalo pensando che ogni prossimo è opera di Dio e che per ogni prossimo Io sono morto. Amalo pensando al mio dolore del Getsemani nel quale ogni singhiozzo rispondeva al nome di uno per il quale inutile sarebbe stata la mia morte. Amalo soprannaturalmente perdonando, compatendo, istruendo, pazientando, soffrendo per esso.
   Sei povera? Non importa. L’amore non ha, a mezzo di espansione, il denaro: l’amore soprannaturale. Sei malata e impotente? Non importa. L’amore non ha, a mezzo di espansione, la salute fisica e la forza: l’amore soprannaturale. Sei reclusa e il mondo ti ignora? Non importa. L’amore non ha, a mezzo di espansione, la libertà materiale e la notorietà fra le folle: l’amore soprannaturale.
   Mia Madre era povera e ignorata, reclusa prima nel Tempio e poi nella sua verginità schiva. Eppure vi ha dato il Tesoro. Eppure ha portato fra gli uomini la Parola. Era silenziosa, impotente perché donna, era ritenuta “nulla” dal giudaismo. Eppure nessuna creatura, Me eccettuato, ha parlato le sue parole ed ha agito come Essa.
   L’amore soprannaturale, perfetto in mia Madre, ha compiuto il prodigio di giungere al Cielo, aprirne le porte, trarne il Tesoro, mettere fra i silenzi del mondo colpevole e le sue ignoranze la Parola che è Scienza, distribuire la Vita col Sangue che come fiume ha avuto sorgente nella roccia di diamante purissimo del suo seno verginale, ha saputo darvi la Grazia, il dono dei doni, o miseri uomini che eravate simili ad animali per la colpa, offrendo, nel silenzio e nell’amore, il suo Gesù dal momento in cui prese Carne al momento che portò la sua Carne al Cielo… Oh! separazione! Martirio della Madre mia! Martirio d’attesa, in attesa di ascendere al suo trono!
   “Sia fatto di me secondo la tua parola” Ella ha detto531 davanti all’Angelo, nella grotta di Betlemme, nel Tempio, a Nazaret, sul Golgota e sull’Oliveto; ogni volta che il Padre le chiese un sacrificio, e sempre più alto, della sua volontà e del suo amore. Non tanto per esser la Madre di Dio, quanto per aver saputo la Carità – e la pronta ubbidienza al volere eterno è l’acqua regia che prova l’oro della carità – Ella è stata ed è sublime.
   I doni vengono da Dio. L’amore è merito vostro. Dunque agli occhi di Dio il vostro merito è nell’amore che avete.
   Io, Maestro, con severità prima e con dolcezza ora, ti istruisco nella Scienza sublime perché per essa come su via sicura tu giunga ben alto. La Carità ti fortifica con la sua benedizione perché tu sempre più proceda nelle sue vie.»

[529] Dice Gesù. La scrittrice fa precedere il rinvio a 1 Corinzi 12, 3; però si tratta del versetto 31, che un difetto di stampa, sulla Bibbia usata da lei, fa leggere 3. Sulla stessa Bibbia, infatti, accanto a questo versetto (Aspirate ai doni migliori; anzi vi insegno una via più sublime) la scrittrice annota la data del presente “dettato”.
[530] ti ha parlato con la “visione” del 22 aprile 1943, il primo degli scritti raccolti nei tre volumi dei “Quaderni”.
[531] ha detto, come in Luca 1, 38.