MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MINORE

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QUADERNI DEL 1944 CAPITOLO 380


8 agosto 1944

   Dice Gesù:
   «La mia vita terrena può dirsi una continua Epifania, poiché epifania vuol dire manifestazione. Ed Io mi sono manifestato agli uomini durante i miei 33 anni, senza sosta.
   Quando e dove la manifestazione non fu accompagnata da qualche “che” di miracoloso, atto a richiamare violentemente l’at­tenzione, sempre sviata verso il men buono, degli uomini, fu però sempre tale da essere un segno di soprannaturale manifestazione la Virtù praticata perfettamente, ed in ogni suo nome, dal Figlio di Giuseppe e Maria di Nazareth, dal Figlio di Giuseppe legnaiolo e di Maria, un’umile donna povera e silenziosa che viveva appena notata dai concittadini per la sua ritiratezza in casa. Nelle umili virtù quotidiane di amore e rispetto ai genitori, di operosità, di onestà nel lavoro e di onestà nel lucro, di rispetto a se stesso, di obbedienza alle leggi e ai superiori, di carità verso il prossimo, di giustizia, di temperanza e più ancora nei sensi, il Figlio di Giuseppe legnaiolo era sapiente, e ogni suo atto manifestava uno spirito in cui viveva Dio nelle sue perfezioni.
   Ma il mondo, e anche il piccolo mondo di Nazareth, non vede mai le manifestazioni di una virtù che, per essere quotidiana e connessa ai fatti quotidiani, passa umilmente sulla sua via fiorita di spine che divengono rose unicamente se calpestate, ferendosene e gocciando sangue e lacrime, per procedere fedelmente nelle virtù. Lasciamo dunque questa manifestazione quotidiana, durata trent’anni, di Colui che cresceva e si irrobustiva non solo nella carne ma nel superiore e che, possedendo per la sua natura la pienezza della Sapienza e della Grazia, per amore degli uomi­ni aveva posto limiti umani a queste perfezioni incarnatesi nella vostra miseria insieme al suo spirito, e permetteva loro di crescere secondo le regole connesse alle età umane, progredendo perciò con misura nel crescere nella sapienza e nella grazia, come Figlio dell’uomo dinanzi a Dio, suo Padre, e agli uomini suoi figli, e fratelli, ora, per la sua incarnazione.
   Oh! quanta luce di orizzonti di scienza divina vi può aprire anche una sola parola del mio Vangelo! In quel “si irrobustiva”539, in quel “cresceva” del Vangelo della mia fanciullezza, quanto mistero di amore e giustizia perfetti non è rinchiuso! Voi leggete e passate oltre. Oppure leggete e meditate, ma intingendo in un succo umano quanto è cosa sovrumana. La vostra carne è tanto forte in voi che soverchia le forze intellettive dello spirito. Onde avviene che solo a coloro che hanno ucciso la carne, nelle sue voci e prepotenze, e fatto di queste rovine la base al trono dello spirito-re, si concedono le cognizioni, sia per divina parola che per divina infusione di una intelligenza che rasenta il perfetto, perché procede dal Paraclito che per una spirituale incarnazione del Verbo in voi, vergini spiriti desiderosi unicamente di nozze eterne, infonde Se stesso e genera in voi la Parola, facendovi “portatori del Cristo” come lo era la Sposa verginale dei suoi ardori settiformi.
   Ho detto: “che rasenta il perfetto”. Perfetta è, poiché viene da Dio. Ma non potrebbe umana creatura possedere la Perfezione quale essa è. Ne rimarrebbe dissolta. Dissolta perché cuore e mente di vivente sulla Terra non possono contenere la cognizione totale di ciò che è Dio. L’Infinito non cape nel finito.
   Conoscere Dio per lo spirito disincarnato è vita e gioia. Conoscere Dio per la creatura in esilio sarebbe folgorazione. Estasi troppo sublime distruggerebbe intelligenza e vita con lo scoccare della sua scintilla, veniente dalla Verità. La Verità, che è buona, si veste sempre di un velo di carne per rendersi sopportabile alla vostra debolezza, per permettere alla vostra limitatezza di conoscere Dio e vivere nella sua cognizione, portando il Cielo in voi, senza morirne avanti che sia giunta l’ora.
   Ma torniamo all’argomento iniziale.
   È così grande gioia per Me Maestro, per Me Amatore vostro, parlare con voi – che come bambini amorosi siete ansiosi di udirmi e state con i puri occhi dei pargoli spirituali e col sorriso dell’amore intorno a Me che vi amo – che Io non so mettere freno alla mia gioia di istruirvi, o cari al mio cuore, o benedetti che mi concedete d’esser ancora il “Maestro” fra i suoi apostoli diletti. Per questo, Io, a cui l’amore è fiumana che rompe gli argini per effondersi – e gli argini sono i temi e i limiti che Io metto alla mia lezione per compassione della vostra debolezza che si stanca nell’ascoltare e nel ritenere o nello scrivere – per questo, Io al tema iniziale inserisco altri temi per portarvi con Me sempre più in alto e tenervi stretti a Me più tempo, allievi e figli diletti in cui, come il Padre con Me, Io mi compiaccio.
   Lasciamo le manifestazioni quotidiane della mia vita e prendiamo le grandi manifestazioni. La Nascita, la Presentazione al Tempio, l’Adorazione dei Magi venuti da Oriente, la Disputa fra i dottori, il Battesimo al Giordano, la Trasfigurazione, la Risurrezione, l’Ascensione al Cielo. Meno l’ultima, tu ne hai avuto di ognuna la visione e il commento del tuo Dio o di sua Madre. Hai potuto, attraverso il mio commento o coi lumi della tua mente – specchio volto verso la Luce e che aumenta la sua luminosità concentrando su di sé la Luce che riflette per ansia d’amore e che per risposta d’amore in esso si specchia – vedere come ad ogni manifestazione corrisponda la santificazione di coloro che fra i presenti possiedono la “buona volontà” richiesta agli uomini per possedere la Pace, ossia Dio.
   I pastori, i primi a cui fu manifesto il Verbo incarnato, ne rimasero santificati. La Grazia lavorò in loro come seme nella terra la cui opera invernale non è vista da occhio d’uomo, ma che fiorisce in stelo e spiga quando l’ora è venuta, e l’uomo lo vede e gioisce pensando al futuro pane. Così nei pastori540 la Grazia lavorò durante i trent’anni del mio nascondimento, e poi fiorì con spiga santa quando fu il tempo in cui i buoni si separarono dai malvagi, per seguire il Figlio di Dio che passava per le vie del mondo gettando il suo grido di amore per chiamare a raccolta le pecore del gregge eterno, sparpagliate e sperdute da Satana.
   Tu li avresti veduti, se fossi stata presente, fra le turbe che mi seguivano. Più ancora: li avresti visti esser miei messi, perché coi loro semplici e convinti racconti bandirono il Cristo dicendo: “È Lui. Noi lo riconosciamo. Sul suo primo vagito scesero le ninna–nanne degli angeli. A noi fu detto che avranno pace gli uomini che avranno buona volontà. Buona volontà è il desiderio del Bene e della Verità. Seguiamolo, seguitelo, e avremo la pace promessa dal Signore”.
   Umili, ignoranti e poveri, i miei primi ambasciatori fra gli uomini si scaglionarono come sentinelle lungo la via del Re d’Israele, del Re del mondo, occhi fedeli, bocche oneste, cuori amorosi, incensieri odoranti la loro virtù per far meno corrotta l’aria della Terra intorno alla divina Persona che s’era incarnata per loro, e fino ai piedi della croce Io li ho trovati, dopo averli benedetti con lo sguardo lungo la via sanguinosa del Golgota, unici che non maledissero fra la plebe scatenata ma amassero, credessero, sperassero ancora e mi guardassero con occhi di compassione, pensando alla notte lontana e piangendo sull’Innocente il cui primo sonno fu su un legno penoso e l’ultimo su un legno ancor più doloroso. Questo perché la mia epifania a loro, anime rette, li aveva santificati.
   E così i tre Savi d’Oriente, e Simeone e Anna, e così Andrea e Giovanni alla manifestazione del Giordano, e pienezza di santità a Pietro, Giacomo e Giovanni al Tabor; e Maria di Magdala nell’orto di Giuseppe d’Arimatea la domenica pasquale; e perfezione di santità sull’Oliveto per gli undici perdonati del loro attimo di smarrimento e tornati fedeli per l’amore che li ardeva.
   Gamaliele, e con lui Hillel, non erano né semplici come i pastori, né santi come Simeone, né asceti come i tre Savi. In lui, e nel suo maestro e parente, era il viluppo delle liane farisaiche a soffocare la Luce e la libera espansione della pianta della Fede. Ma nel loro esser farisei era purità di intenzione. Credevano di essere nel giusto e desideravano di esserlo. Lo desideravano d’istinto, perché erano giusti, e di studio, perché il loro spirito gridava, malcontento: “Questo pane è mescolato a troppa cenere. Datemi il pane della vera Verità!”.
   Non forte al punto di avere il coraggio di spezzare queste liane, l’umanità lo teneva ancor troppo schiavo e con essa le considerazioni della stima umana, del pericolo personale, del benessere familiare. Gamaliele non aveva saputo “comprendere Dio che passava” e usare “quell’intelligenza e quella libertà che Dio ha dato all’uomo”, secondo le parole541 di rabbi Gamaliel, per questo riconoscimento e questa mutazione di pensiero, per cui da dottore dell’errore, avendo gli uomini corrotto il Vero in Errore per loro utile, sarebbe divenuto discepolo della Verità.
   Non era il solo. Anche Nicodemo e con lui Giuseppe d’Arimatea non sapevano mettere sotto i piedi le formule e le consuetudini e abbracciare palesemente la nuova Dottrina, e venivano ad essa “in occulto per timore dei Giudei”542. Più avanti nel bene questi due ultimi, al punto di osare il gesto pietoso del Venerdì. Meno avanti rabbi Gamaliel. Ma – osserva la potenza della retta intenzione – ma la sua umana giustizia si intinge di sovrumano, mentre quella di Saulo si sporca di demoniaco, nell’ora che lo scatenarsi del Male li pone davanti al bivio della scelta fra il bene e il male, il giusto e l’ingiusto.
   L’albero del Bene e del Male543 si drizza davanti ad ogni uomo, presentando con più appetitoso aspetto i frutti del Male, e fra le sue fronde, con ingannevole voce di usignolo, sibila la Tentazione. Sta all’uomo, creatura dotata di ragione, saper discernere e volere solo il frutto buono, anche se è spinoso a cogliersi, amaro a gustarsi, e meschino a vedersi. La metamorfosi in morbidezza, in dolcezza e bellezza, avviene quando si è scelto e si è nutrito lo spirito di questo amaro santo.
   Saulo tende le mani avide al frutto del Male, dell’Odio, del Delitto. Gamaliele, superando le liane tenaci dell’umanità e della consuetudine, per il fiorire del lontano seme di luce che la mia quarta epifania gli aveva posto in cuore, in un cuore di retta intenzione, e che egli aveva accolto e difeso con onesta affezione e eletta sete di veder spuntare, tende le mani al frutto del Bene. Il suo volere e il mio Sangue rompono la dura scorza di quel seme che egli ha tutelato, e sotto il sole delle parole apostoliche e della fede di Stefano ne nasce la pianta novella del suo cristianesimo e della sua santità agli occhi miei. Perdonato di non aver compreso avanti, il suo desiderio di divenire mio seguace viene benedetto dall’Altissimo, e si muta in realtà senza bisogno della folgorazione544 sulla via di Damasco, necessaria al protervo che per nessun’altra via sarebbe stato conquistato alla Luce.
   Non faccio altro commento, perché non necessita.
   Piccolo Giovanni, piccolo giusto che ami chi è giusto e desideri saperlo santo, hai saputo che rabbi Gamaliel è santo agli occhi miei perché fu giusto. Siilo tu pure sempre più.
   Anche a te si è manifestato Cristo. Non una, ma più volte. Non col solo aspetto, ma con la sua sapienza. La tua giustizia cresca dunque in proporzione con il suo svelarsi. Ancor più e ancor per molto Io mi manifesterò a te. E, se ne sarai sempre meritevole, con la parola sinché Io vorrò, con la presenza sempre, così sarò teco, sino al momento che tu sarai meco. Ora Io ospite tuo come in una nuova Betania. Poi tu ospite mia, più che ospite: sposa. Assunta al trono del tuo Re, piccola novella Ester, fatta bella545 e fragrante non per ornamenti donneschi ma per esser stillante l’olio di mirra del sacrificio e gli aromi e profumi dell’amore e della fedeltà e purezza e di ogni virtù che è mia, tutto tu hai da Me. Io ho dato ordine al mio e tuo angelo di ornarti, di darti ciò che ti occorre, e ti ho dato sette e sette ancelle: i miei doni e i sacramenti, poiché è mio anche ciò che è dello Spirito-Amore. Sarai amata più di tant’altri, che credono d’esser in posto di favore, e non sono dissimili dall’astioso Aman e che, come questi, per superbia odiano i saggi e i fedeli del Cristo. E troverai grazia e favore presso il tuo Re e pace e benedizioni per coloro per cui preghi, perché il tuo pregare sarà esaudito da Dio.
   Va’ ora in pace. La mano del tuo Signore è sul tuo capo.»
   A sera aggiunge Gesù:
   «Piccolo Giovanni, ora che ti sei riposato, aggiungi questo.
   La Chiesa, divinamente ispirata, ricorda Gamaliele insieme all’invenzione di colui il cui martirio fu la pioggia d’aprile che fa erompere lo stelo in spiga. Ed è in questi giorni di agosto che la Chiesa nei suoi annali ricorda il ritrovamento del corpo di Stefano e colui che trovò la via di Dio, cercata per nostalgia della mia voce fanciulla per tutta la vita, la via che gli indicava lo sguardo rapito del primo mio martire.
   Basta, ora. Domani verrò a farti felice.»

[539] “si irrobustiva” e “cresceva”, come si legge in Luca 2, 40.52.
[540] Così nei pastori… A partire da qui, il “dettato” è stato trascritto quasi fedelmente – con una premessa che condensa in poche righe il concetto sviluppato nella parte che precede, e con l’esclusione della parte finale che riguarda la persona della scrittrice – nel quaderno che raggruppa i capitoli conclusivi (641-651) del­l’opera maggiore. La suddetta trascrizione corrisponde ai brani 9-12 del capitolo 645. (Per i brani 1-8 dello stesso capitolo rimandiamo alla prima nota in calce allo scritto del 7 agosto).
[541] parole pronunciate nella “visione” descritta il 7 agosto.
[542] in occulto per timore dei Giudei, come si legge in Giovanni 19, 38.
[543] albero del Bene e del Male, di cui si parla in Genesi 2, 16-17.
[544] folgorazione, di cui si narra in Atti 9, 1-9; 26, 12-18.
[545] fatta bella…, come si narra in Ester 5.