MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MINORE

A A A

QUADERNI DEL 1944 CAPITOLO 429


10 novembre 1944

   [Precede il capitolo 65 dell’opera L’EVANGELO]

   Oggi ho avuto per prima cosa la lettera che, se avessi dovuto scriverla di mio, sarebbe stata molto più salata!!! Poi ha parlato, per la prima volta, S. Caterina da Siena. Poi le due visioni; e Gesù, nel dare la seconda, dice: «Scrivi oggi. Domani il tuo stato fisico sarà tale che ti vieterà ogni atto.» Infatti da ieri ho sofferto e soffro tanto che sono caduta ammalata ancor più del solito. Le persone sono crudeli come assassini, certe volte… Dio usi loro misericordia.
   Sono contenta che Giuseppe parta col viatico di quelle parole che sono nella lettera[650] qui unita e nel dettato di S. Caterina. Ha pianto come un bambino, specie quando Gesù mi fece dare a mio cugino la mia medaglia di Figlia di Maria che avevo carissima anche perché ricordo del mio Collegio. “Madre, volgi su noi i tuoi occhi e proteggici” dice la scritta di essa. Così sia.
   Coloro che trovano che io ho troppo attaccamento alle cose perché soffro di certe cose che mi hanno sapore di profanazioni, forse si sarebbero ricreduti vedendo come senza discutere, anzi con lieta e agile volontà, ho staccato dalla corona quella medaglia e un’altra e un’altra ancora: tutte e tre della Madonna e tutte e tre a me carissime non per il valore, argento, ma per l’affetto e i ricordi; e le ho date una a Paola, alla quale, dietro sua richiesta, avevo già dato un crocifisso a me carissimo, stato fra le mani di papà e mamma morti, un piccolo crocifisso che era a questa corona che sarà anche a me fra le mani alla mia morte; una a Titina e infine questa, a me carissima fra tutte, che ho dato a Giuseppe. Anzi questa l’ho data per prima, perché l’ordine era venuto per lui. Alle altre l’ho date per non creare desideri e rimpianto.
   E poi… purché la Madonna li salvi tutti! Ho tentato l’ultima prova con i suoi dettati sulla infanzia e fanciullezza, e ho vinto. Ora io ho finito la mia diuturna missione. Egli va lontano… e Satana è così maligno. Lo si trova dovunque e gli uomini, anche quelli che meno lo si penserebbe, sono strumenti dello stesso per torturare i loro simili. Egli va lontano… la Madonna lo salvi.
    Gesù, dicendomi: “Da’ la tua medaglia a Giuseppe, quella di Figlia di Maria”, finì sorridendo: “E quella in ginocchio davanti alla Mamma (S. Agnese) sei tu, per tuo cugino”.
   Sì, pregherò per questo che Caterina chiama “il tuo Tuldo”, perché trovi piacere al “pascolo delle tre virtù”.

   Ore 15

   Eccomi sola. Loro sono partiti. Ora non più un del mio sangue mi è vicino. Ma solo estranei più o meno buoni. E quando morirò: estranei. E quando sarò sepolta: estranei. Sempre e solo estranei.
   Tutto il tragico della mia condizione mi si delinea, senza pietosi o affettuosi veli che ne ottundono gli angoli, più taglienti di spade. E questo mi accade qui, dove non ho neppure lei e la mia casa intorno. Questo solo avrei voluto da Dio: che questa partenza avvenisse quando ero nella mia casa e con lei vicino. E credevo, posto che sentivo esser ciò giusto, che mi fosse accordato.
   Paola! Giuseppe! Titina! Ho sofferto talora anche per voi. Ma come mi mancherete! Ora sono proprio orfana e con la certezza di non vedere più quei volti noti che per tanti mesi – 15 e mezzo – ho sempre visto per casa.
   Sempre più malata, chi mi assisterà mentre Marta è fuori? E quando verrò ad esser morente per crisi, chi mi soccorrerà mentre Marta andrà a cercare aiuto?
   Paola! Giuseppe! Titina! E soffrivo se mi stavate lontano un’ora! Non lo dicevo, ma soffrivo. E quello che ha finito di rendermi odioso questo paese è che ero confinata qui sopra[651], e vi vedevo molto meno, vi sentivo molto meno.
   Così felice queste notti che Paola dormiva con me! Mi pareva di esser tornata al tempo che su te, bambina senza mamma, io vegliavo al Centralino.
   Ora più niente! Mai più niente! Lo so: doveva venire. Ho pregato che venisse perché lo desideravate. Ma ne soffrivo. Ho avuto avvelenato il mio onomastico da questa vostra gioiosa fretta di partire. Non l’ho detto. Ma come ne ho sofferto! Marta sa.
   Vi ho dato tutto: come parente, come amica, come cristiana. Più del materiale, che per me è sempre il nulla, vi ho dato. Vi ho dato il cuore e lo spirito. Ora lo posso dire. Vi ho difeso a furia di penitenze. Nelle malattie, nei pericoli, nei viaggi tuoi, Paola, Giuseppe, Titina, e tu, Gigi, che non sai quanto per te ho pregato, pagavo io per voi. Vi ho portato in salvo e in alto. Ora continuerò a pregare. Col cuore che sanguina dello strappo da voi.
   Vogliatemi bene. Anche oltre la vita che spero ormai breve, perché “sulla Terra non c’è luogo per la povera Maria” e anelo mi si aprano le porte del Cielo. Ma se vi avessi avuti per quel­l’ora!… Vogliatemi bene. Come a parente, a amica, a cristiana, da cristiani, amici e parenti. Chissà quando mai riceverete questo fascicolo, con questa pagina di pianto! Volesse Dio che insieme sapeste che io sono nella pace!
   Ma quando lo riceverete saprete un poco di più come vi ho visti, e come ero per voi.

[650] lettera che non si trova unita al quaderno autografo. È il giorno della partenza dei parenti Belfanti, che tornano a Reggio Calabria dopo essere stati con la scrittrice per quindici mesi e mezzo, come lei stessa ricorderà e come risulta dalla nostra nota sullo sfollamento, messa in calce allo scritto del 24 aprile.
[651] qui sopra, cioè al piano superiore della casa che la ospitava a Sant’Andrea di Còmpito, mentre nella sua casa di Viareggio la stanza dell’inferma scrittrice era al pianterreno. Per la comprensione di ciò che segue, si fa notare che Paola Belfanti aveva perduto la mamma, Normanna Baraldi, prima moglie di Giuseppe, nel 1922, quando la venticinquenne Maria Valtorta si trovava a Reggio Calabria, dove dall’ottobre 1920 all’agosto 1922 fu ospite dei parenti Belfanti, proprietari di due alberghi chiamati “Centrale” e “Centralino”. Per maggiori particolari su quel periodo si rimanda all’Autobiografia.