MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MINORE

A A A

QUADERNI DAL 1945 AL 1950 CAPITOLO 494


29 agosto 1945

   [Precede il capitolo 266 dell'opera L'EVANGELO]
 

   Sento il bisogno di segnare qui una bontà del Signore. Ed è la morte cristiana del mio unico zio1, che una serie di grandissime sventure di ogni genere, oltre ad un'infermità avvilente e dolorosissima, durata quarant'anni precisi e in forma sempre più grave, avevano reso molto inquieto verso il buon Dio.
   Da giovane molto pio e osservante, tanto che per scherzo in famiglia lo chiamavano "il frate", poi divenuto così contrario, così inquieto, ribelle, al punto da rasentare, e forse raggiungere, l'odio. Ed io ne soffrivo tanto. Quando scriveva alla mamma mia, che era sua sorella, la lettera era una sequela di improperi, di scherni a Dio, di maledizioni alla vita, a quelle due sciagurate della moglie, causa prima delle sue sventure, e della figlia, che lo aveva abbandonato dopo averlo levato da casa nostra per essere libera nelle sue… imprese; maledizioni al prossimo, maledizioni a medici e infermieri, e così via. E a me veniva un disgusto tale da essere persino fisico. Eppure, quando pensavo a lui, sentivo tanta pietà e tanto affetto appunto perché era così infelice, infelice al punto da rifiutare l'unica ricchezza e sollievo che resta agli infelici: Dio. E poi gli volevo bene perché era stato causa per me di grande sofferenza e di grande grazia.
   La sua venuta, ormai infermo, da noi a Voghera, era stata segnata da grandi lacrime per me. Lui mi voleva bene. Ma era inquieto e nervoso, e non compativa nulla di diverso al suo modo di pensare. Padrone della lingua francese, dell'inglese, della tedesca, in modo perfetto, in me, fanciulla di 10 anni e già molto avanti nel francese e farfugliante il tedesco, pretendeva la perfezione nel francese e dei progressi da miracolo nel tedesco che, fra parentesi, io odiavo. E avrebbe voluto che lì per lì divenissi padrona dell'inglese che mi voleva insegnare. Lo capisco. Le sue giornate di paralizzato erano ben lunghe e lui all'ozio non ci si adattava. Voleva empire le ore col farmi da maestro di lingue. Ma io avevo già i miei studi… e se si pensa che a 16 anni avevo finito gli studi classici, si può capire se avevo da studiare… Ma non capiva nulla. Originale come sua sorella, quello che voleva voleva. E chi diceva contrario di lui era sottoposto alle sue bizze, rimproveri, accuse, ecc. ecc. Eppure mi voleva bene. Mi chiamava sempre: "Pretty, Pobly, Darling, Mary" e con le braccia e mani, libere dalla paralisi che gli aveva inchiodato gli arti inferiori, mi faceva bei quadretti oppure preparava dolcini, che io mangiavo con le lacrime per zucchero, perché non c'era giorno che egli, aizzando, con i suoi lamenti e accuse di svogliatezza, infingardia e caparbietà mia, mia madre, non mi facesse punire da lei, la cui severità è tuttora leggendaria…
   E, dolore nel dolore, la sua venuta mi costò la separazione da casa, da papà… Mio zio, in realtà, non aveva che una paralisi data da frattura delle ultime vertebre, frattura riportata in Inghilterra. Ma i medici, che vedono e capiscono ciò che riescono – molto poco – lo avevano giudicato malato di polmoni oltre che di spina. È morto a 84 anni di artrite deformante… e non ha mai avuto mali polmonari in questi 40 anni… Ma insomma per i dotti medici doveva essere malato di polmoni, e perciò pericolosa la sua vicinanza a me, fanciulla. Dio mi perdoni! Ma dato che i medici che così giudicavano erano intimi di mamma fin da quando ella era bambina, e dato che il suo sogno era di ficcarmi in collegio per "mortificare il mio carattere" diceva lei — cosa che papà combatteva accanitamenteunica cosa in cui tenesse testa a sua moglie — io penso che mamma con la complicità dei medici giocasse questa carta per riuscire nella sua idea. E papà non fu tanto forte da dire: "Allora vada via mio cognato". Si limitò a far scrivere a mamma un foglio con la dichiarazione che era lei quella che voleva questo mio allontanamento da casa. Foglio che ho trovato fra le carte di famiglia. E io fui messa in collegio… Dopo 4 mesi lo zio prese ricovero e impiego come segretario all'Ospedale Civile di Bergamo… Ma io in collegio ci rimasi… perdendo la gioia di godere di mio papà negli ultimi mesi della sua integrità fisica e mentale. Dopo era uno stanco… buono, ma di poca memoria e volontà… Ed io non ne ebbi più che il conforto delle carezze… e lo strazio di vederlo menomato…
   Tutto questo per lo zio. Queste le sofferenze che mi aveva date. Le grazie furono quelle di ritrovare nel mio collegio, come fosse tornato da molto lontano e mi avesse dato appuntamento d'amore lì, il mio Gesù, intravisto fra le nebbie della puerizia dalle Orsoline e poi perduto di vista. Non di fede. Ma di vista. Il mio Gesù penante, che nel collegio – forse perché già una croce troppo pesante era sulle mie spalle – mi si mostrò in tutte le sorridenti, confortevoli delizie del suo Cuore dolcissimo… E io sono ora ciò che sono perché allora fui di Luitotalmente e a lungo. Nutrita là dentro di vita profondamente e fortemente cristiana, innamorata con coscienza di Gesù, in questa età che sapeva già ciò che voleva (10-16 anni), ho potuto poi resistere a tutte le cose che facevano leva sotto alla mia fede amorosa per ribaltarla e distruggerla, e furono tante!… Ha avuto traballii dai 18 ai 25 anni. Ma poi… Ecco che Gesù è venuto per la terza volta e non mi ha più lasciata…
   Ecco perché volevo bene a questo zio che ora è morto. Morta mia mamma — la quale, secondo al solito, mi accusava in anticipo che io nonavrei soccorso e amato lo zio — io assunsi subito la sua cura. Scrivendo e mandando denaro per i suoi capriccetti di malato. Persino nel testamento avevo fatto obbligo all'erede di continuargli l'assegno mensile vita natural durante. E, nel contempo, fin dalla prima lettera, gli ho detto chiaro come la pensavo, la mia fede, il mio amore per il buon Dio, il mio ossequio alla Chiesa, ecc. ecc. Sa che ho terminato dicendo: "Così sono e così mi devi tenere. Io non ti giudico nelle tue idee, per quanto il saperti privo di fede mi addolori perché so che questo ti leva l'unico conforto che potresti avere. Ma ti prego di non mancare di rispetto alle mie"? E mi ha tanto capita che si è accostato subito ai Sacramenti, mandandomi il foglietto della sua Comunione, come un povero bambino che vuole mostrare che è stato buono… Povero zio!
   Ora la Superiora mi scrive di come era divenuto fervente e di come è morto cristianamente sereno, parlando, finché poté, di me con affetto. Non è questa una bontà del Signore? Mi crucciavo tanto al pensiero che avesse a morire non in amicizia con Dio! E Dio mi fa contenta mostrandomi che non si prega e soffre senza ottenere, e anche che una franca professione di fede può molto scuotere e ricondurre a Dio.
   Povero zio morto così solo… Succederà a me pure così? Povero zio rimasto senza notizie per tanto tempo, per la guerra. Ma ora saprà che io avevo le stesse ansie per lui di quelle che lui aveva per me durante i mesi di guerra e di impossibilità di corrispondere. Ora sa tutto, ed è in pace.
   E, giacché sono in vena di narrazioni mie, le dico anche, senza riferirlo allo zio2 però, un fatto che in pochi giorni avviene per la terza volta. Ondate di profumo intenso di fiori e di incensi finissimi, quali benzoino e simili resine, che empiono la mia camera improvvisamente e poi ugualmente improvvisamente se ne vanno. Ieri l'ha sentito anche Marta, seduta lontano da me. Ma vicino al letto è fortissimo. Erano mesi che non le sentivo più.
 

   [Seguono, con date del 31 agosto e del 1° settembre 1945, i capitoli 267 e 268 dell'opera L'EVANGELO]
           

   zio, lo stesso di cui si è parlato il 21 luglio scorso e la cui morte le era stata comunicata con una laconica cartolina, che si conserva, di una "Pia Casa di Ricovero" della Congregazione di Carità di Bergamo. Torna ora a parlarne perché ha ricevuto una lettera che allega al quaderno e della quale riportiamo il testo:
            Ricovero - Bergamo 18-8-945. Signorina, Suo Zio è morto il giorno 14 luglio alle 13 ed è morto cristianamente. A Natale ed a Pasqua, qui al Ricovero si è sempre accostato ai SS. Sacramenti; in questi ultimi mesi poi si è accostato qualche volta di più. Pochi giorni prima di morire fece ancora la S. Comunione. Stia tranquilla che si è preparato bene alla morte, la vide venire, la desiderò poiché [non] ne poteva più, perché oltre ai suoi dolori per l'artrite deformante che aumentavano ogni giorno, ebbe anche una forma intestinale che lo fece molto soffrire e che lo portò alla tomba. Sereno e tranquillo accettò la morte, capì fino in ultimo, solo le ultime due ore fu incosciente. Fu sempre assistito con amore dal Medico, dalla Suora del reparto e dagli infermieri. Io pure andavo di frequente a trovarlo, perché lo conoscevo da parecchi anni per il servizio che prestavamo ambedue nell'Ospedale Maggiore di Città, e per quanto ho potuto, per la scarsezza dei mezzi, ho sempre cercato di assecondare i suoi desideri. Stia tranquilla, Signorina, che la Misericordia divina l'avrà accolto con bontà. Cerchiamo di suffragare la sua bell'anima con S. Messe, S. Comunioni e S. Rosari. Pregherà tanto anche per Lei, Le voleva tanto bene, ed ha sofferto immensamente per Lei, sia perché La sapeva sotto i bombardamenti, sia per mancanza di notizie. Preghi anche per me, che sarà ricambiata. La ossequio. Dev.ma Superiora.
            Per i fatti e le persone che la scrittrice ricorda, rimandiamo all'ultima edizione dell'Autobiografia, che è corredata di indici utili ad ogni ricerca.
           
   2 senza riferirlo allo zio, cioè senza metterlo in relazione con lo zio e con la sua morte