MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MAGGIORE

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VOLUME I CAPITOLO 59



LIX. Un indemoniato guarito nella sinagoga di Cafarnao a conclusione di una disputa.

   2 novembre 1944.

   59.1Vedo la sinagoga di Cafarnao. È già piena di folla in attesa. Gente sulla porta occhieggia sulla piazza ancora assolata, benché sia verso sera.
   Finalmente un grido: «Ecco il Rabbi che viene». La gente si volta tutta verso l’uscio, i più bassi si alzano sulle punte dei piedi o cercano di spingersi avanti. Qualche disputa, qualche spintone, nonostante i rimproveri degli addetti alla sinagoga e dei maggiorenti della città.
   «La pace sia su tutti coloro che cercano la Verità». Gesù è sulla soglia e saluta benedicendo a braccia tese in avanti. La luce vivissima che è nella piazza assolata ne staglia l’alta figura, innimbandola di luce. Egli ha deposto il candido abito ed è nel suo solito azzurro cupo. Si avanza fra la folla, che si apre e si rinserra intorno a Lui come onda intorno ad una nave.

   59.2«Sono malato, guariscimi!», geme un giovane, che mi pare tisico all’aspetto, e prende Gesù per la veste.
   Gesù gli pone la mano sul capo e dice: «Confida. Dio ti ascolterà. Lascia ora che Io parli al popolo, poi verrò a te».
   Il giovane lo lascia andare e si mette quieto.
   «Che ti ha detto?», gli chiede una donna con un bambino in braccio.
   «Mi ha detto che dopo aver parlato al popolo verrà a me».
   «Ti guarisce, allora?».
   «Non so. Mi ha detto: “Confida”. Io spero».
   «Che ha detto? Che ha detto?». La folla vuol sapere. La risposta di Gesù è ripetuta fra il popolo.
   «Allora io vado a prendere il mio bambino».
   «Ed io porto qui il mio vecchio padre».
   «Oh! se Aggeo volesse venire! Io provo… ma non verrà».

   59.3Gesù ha raggiunto il suo posto. Saluta il capo della sinagoga ed è salutato da questi. È un ometto basso, grasso e vecchiotto. Per parlare a lui Gesù si china. Pare una palma che si curvi su un arbusto più largo che alto.
   «Che vuoi che ti dia?», chiede l’archisinagogo.
   «Quello che credi, oppure a caso. Lo Spirito guiderà».
   «Ma… e sarai preparato?».
   «Lo sono. Dài a caso. Ripeto: lo Spirito del Signore guiderà la scelta per il bene di questo popolo».
   L’archisinagogo stende una mano sul mucchio dei rotoli, ne prende uno, apre e si ferma a un dato punto. «Questo», dice.
   Gesù prende il rotolo e legge il punto segnato[130]: «Giosuè: “Alzati e santifica il popolo e di’ loro: ‘Santificatevi per domani perché, dice il Signore Dio d’Israele, l’anatema è in mezzo a voi, o Israele; tu non potrai stare a fronte dei tuoi nemici fino a tanto che non sia tolto di mezzo a te chi s’è contaminato con tal delitto’”». Si ferma, arrotola il rotolo e lo riconsegna.
   La folla è attentissima. Solo bisbiglia alcuno: «Ne udremo di belle contro i nemici!». «È il Re di Israele, il Promesso, che raccoglie il suo popolo!».

   59.4Gesù tende le braccia nella solita posa oratoria. Il silenzio si fa completo.
   «Chi è venuto per santificarvi si è alzato. È uscito dal segreto della casa dove si è preparato a questa missione. Si è purificato per darvi esempio di purificazione. Ha preso la sua posizione di fronte ai potenti del Tempio e al popolo di Dio, e ora è fra voi. Io sono. Non come, con mente annebbiata e fermento nel cuore, alcuni fra voi pensano e sperano. Più alto e più grande è il Regno di cui sono il Re futuro e a cui vi chiamo.
   Vi chiamo, o voi di Israele, prima d’ogni altro popolo, perché voi siete quelli che nei padri dei padri ebbero promessa di quest’ora e alleanza col Signore altissimo. Ma non con turbe di armati, non con ferocie di sangue sarà formato questo Regno, e ad esso non i violenti, non i prepotenti, non i superbi, gli iracondi, gli invidiosi, i lussuriosi, gli avari, ma i buoni, i miti, i continenti, i misericordiosi, gli umili, gli amorosi del prossimo e di Dio, i pazienti, avranno entrata.
   Israele! Non contro i nemici di fuori sei chiamato a combattere. Ma contro i nemici di dentro. Contro quelli che sono in ogni tuo cuore. Nel cuore dei dieci e dieci e diecimila tuoi figli. Levate l’anatema del peccato da tutti i vostri singoli cuori, se volete che domani Dio vi raduni e vi dica: “Mio popolo, a te il Regno che non sarà più sconfitto, né invaso, né insidiato da nemici”.
   Domani. Quale, questo domani? Fra un anno o fra un mese? Oh! non cercate! Non cercate, con sete malsana, di sapere ciò che è futuro con mezzo che ha sapore di colpevole stregoneria. Lasciate ai pagani lo spirito pitone. Lasciate a Dio eterno il segreto del suo tempo. Voi da domani, il domani che sorgerà dopo quest’ora di sera, e quella che verrà di notte, che sorgerà col canto del gallo, venite a purificarvi nella vera penitenza.
   Pentitevi dei vostri peccati per esser perdonati e pronti al Regno. Levate da voi l’anatema del peccato. Ognuno ha il suo. Ognuno ha quello che è contrario ai dieci comandi di salute eterna. Esaminatevi ognuno con sincerità e troverete il punto in cui avete sbagliato. Umilmente abbiatene pentimento sincero. Vogliate pentirvi. Non a parole. Dio non si irride e non si inganna. Ma pentitevi colla volontà ferma, che vi porti a mutare vita, a rientrare nella Legge del Signore. Il Regno dei Cieli vi aspetta. Domani.
   Domani? vi chiedete. Oh! è sempre un domani sollecito l’ora di Dio, anche se viene al termine di una vita longeva come quella dei Patriarchi. L’eternità non ha per misura di tempo lo scorrere lento della clessidra. E quelle misure di tempo che voi chiamate giorni, mesi, anni, secoli, sono palpiti dello Spirito eterno che vi mantiene in vita. Ma voi eterni siete nello spirito vostro, e dovete, per lo spirito, tenere lo stesso metodo di misurazione del tempo che ha il Creatore vostro. Dire, dunque: “Domani sarà il giorno della mia morte”. Anzi, non morte per il fedele. Ma riposo di attesa, in attesa del Messia che apra le porte dei Cieli.
   E in verità vi dico che fra i presenti solo ventisette morranno dovendo attendere. Gli altri saranno già giudicati prima della morte, e la morte sarà il passaggio a Dio o a Mammona senza indugio, perché il Messia è venuto, è fra voi e vi chiama per darvi la Buona Novella, per istruirvi alla Verità, per salvarvi al Cielo.
   Fate penitenza! Il “domani” del Regno dei Cieli è imminente. Vi trovi mondi per divenire possessori dell’eterno giorno.
   La pace sia con voi».

   59.5Si alza a contraddirlo un barbuto e impaludato israelita. Dice: «Maestro, quanto Tu dici mi pare in contrasto con quanto è detto nel libro secondo dei Maccabei, gloria d’Israele. Là è detto[131]: “È infatti segno di grande benevolenza il non permettere ai peccatori di andare dietro per lungo tempo ai loro capricci, ma di dare subito mano al castigo. Il Signore non fa come con le altre nazioni, che le aspetta con pazienza per punirle, venuto il giorno del giudizio, quando è colma la misura dei peccati”. Tu invece parli come se l’Altissimo potesse esser molto lento nel punirci, attendendoci, come gli altri popoli, al tempo del Giudizio, quando sarà colma la misura dei peccati. Veramente i fatti ti smentiscono. Israele è punito come dice lo storico dei Maccabei. Ma, se fosse come Tu dici, non vi è dissapore fra la tua dottrina e quella chiusa nella frase che ti ho detto?».
   «Chi sei, Io non so[132]. Ma, chiunque tu sia, ti rispondo. Non c’è dissapore nella dottrina, ma nel modo di interpretare le parole. Tu le interpreti secondo il modo umano. Io secondo quello dello spirito. Tu, rappresentante della maggioranza, vedi tutto con riferimenti al presente e al caduco. Io, rappresentante di Dio, tutto spiego e applico all’eterno e al soprannaturale. Vi ha colpiti, sì, Geavè nel presente, nella superbia e nella ingiustizia[133] d’esser un “popolo”, secondo la Terra. Ma come vi ha amati e come vi usa pazienza, più che con ogni altro, concedendo a voi il Salvatore, il suo Messia, perché lo ascoltiate e vi salviate prima dell’ora dell’ira divina! Non vuole più che voi siate peccatori. Ma se nel caduco vi ha colpiti, vedendo che la ferita non sana, ma anzi ottunde sempre più il vostro spirito, ecco che vi manda non punizione ma salvezza. Vi manda Colui che vi sana e vi salva. Io che vi parlo».

   59.6«Non trovi di essere audace nel professarti rappresentante di Dio? Nessuno dei profeti osò tanto, e Tu… Chi sei, Tu che parli? E per ordine di chi parli?».
   «Non potevano i profeti dire di loro stessi ciò che Io di Me stesso dico. Chi sono? L’Atteso, il Promesso, il Redentore. Già avete udito colui che lo precorre dire: “Preparate la via del Signore… Ecco il Signore Iddio che viene… Come un pastore pascerà il suo gregge, pure essendo l’Agnello della Pasqua vera”. Fra voi sono quelli che hanno udito dal Precursore queste parole e hanno visto balenare il cielo per una luce che scendeva in forma di colomba, e udito una voce che parlava dicendo chi ero. Per ordine di chi parlo? Di Colui che è e che mi manda».
   «Tu lo puoi dire, ma puoi esser anche un mentitore o un illuso. Le tue parole sono sante, ma talora Satana ha parole di inganno tinte di santità per trarre in errore. Noi non ti conosciamo».
   «Io sono Gesù di Giuseppe della stirpe di Davide, nato a Betlem Efrata, secondo le promesse, detto nazareno perché a Nazaret ho casa. Questo secondo il mondo. Secondo Dio sono il suo Messo. I miei discepoli lo sanno».
   «Oh! loro! Possono dire ciò che vogliono e ciò che Tu fai loro dire».
   «Un altro parlerà, che non mi ama, e dirà chi sono. Attendi che Io chiami un di questi presenti».

   59.7Gesù guarda la folla che è stupita dalla disputa, urtata e divisa fra opposte correnti. La guarda, cercando qualcuno coi suoi occhi di zaffiro, poi chiama forte: «Aggeo! Vieni avanti. Te lo comando».
   Grande brusio fra la folla, che si apre per lasciar passare un uomo, tutto scosso da un tremito e sorretto da una donna.
   «Conosci tu quest’uomo?».
   «Sì. È Aggeo di Malachia, qui di Cafarnao. Posseduto è da uno spirito malvagio che lo dissenna in furie repentine».
   «Tutti lo conoscono?».
   La folla grida: «Sì, sì».
   «Può alcuno dire che fu meco in parole, anche per pochi minuti?».
   La folla grida: «No, no, quasi ebete è, e non esce mai dalla sua casa, e nessuno ti ha visto in essa».
   «Donna, portalo a Me davanti».
   La donna lo spinge e trascina, mentre il poveretto trema più forte.
   L’archisinagogo avverte Gesù: «Sta’ attento! Il demonio sta per tormentarlo… e allora si avventa, graffia e morde».
   La folla fa largo, pigiandosi contro le pareti.
   I due sono ormai di fronte. Un attimo di lotta. Pare che l’uomo, uso al mutismo, stenti a parlare e mugola, poi la voce si forma in parola: «Che c’è fra noi e Te, Gesù di Nazaret? Perché sei venuto a tormentarci? Perché a sterminarci, Tu, Padrone del Cielo e della Terra? So chi sei: il Santo di Dio. Nessuno, nella carne, fu più grande di Te, perché nella tua carne d’uomo è chiuso lo Spirito del Vincitore eterno. Già mi hai vinto in…».
   «Taci! Esci da costui. Lo comando».
   L’uomo è preso come da un parossismo strano. Si dimena a strattoni, come se ci fosse chi lo maltratta con urti e strapponate, urla con voce disumana, spuma e poi viene gettato al suolo da cui poi si rialza stupito e guarito.

   59.8«Hai udito? Che rispondi ora?», chiede Gesù al suo oppositore.
   L’uomo barbuto e impaludato fa una alzata di spalle e, vinto, se ne va senza rispondere. La folla lo sbeffeggia e applaude Gesù.
   «Silenzio. Il luogo è sacro!», dice Gesù e poi ordina: «A Me il giovane al quale ho promesso aiuto da Dio».
   Viene il malato. Gesù lo carezza: «Hai avuto fede! Sii sanato. Va’ in pace e sii giusto».
   Il giovane ha un grido. Chissà che sente? Si prostra ai piedi di Gesù e li bacia ringraziando: «Grazie per me e per la madre mia!».
   Vengono altri malati: un bimbo dalle gambine paralizzate. Gesù lo prende fra le braccia, lo carezza e lo pone in terra… e lo lascia. E il bambino non cade, ma corre dalla mamma, che lo riceve sul cuore piangendo e che benedice a gran voce «il Santo d’Israele». Viene un vecchietto cieco, guidato dalla figlia. Anche lui viene sanato con una carezza sulle orbite malate.
   La folla è in un tumulto di benedizioni.
   Gesù si fa largo sorridendo e, per quanto sia alto, non arriverebbe a fendere la folla se Pietro, Giacomo, Andrea e Giovanni non lavorassero di gomito generosamente e si aprissero un varco dal loro angolo sino a Gesù e, poi, lo proteggessero sino all’uscita nella piazza, dove ora non è più sole.
   La visione termina così.

[130] il punto segnato, quello di: Giosuè 7, 13.
[131] è detto, in: 2 Maccabei 6, 13-14.
[132] Chi sei, Io non so. Siffatta affermazione di Gesù viene spiegata con la seguente nota di MV su una copia dattiloscritta: Il Cristo, come Dio e come Santo dei santi, penetrava nelle coscienze e vedeva e conosceva i loro riposti segreti (introspezione perfetta); come Uomo conosceva solo secondo il modo umano le persone e i luoghi, quando il Padre suo e la sua propria natura divina non giudicavano essere utile il conoscere luoghi e persone senza chiedere. Sulla stessa copia dattiloscritta MV mette la seguente nota alle parole Aggeo! Vieni avanti..., che sono all’inizio di 59.7: Qui, dovendo dar prova al fariseo della sua onniscienza divina, chiama a nome lo sconosciuto Aggeo, che sa indemoniato, mentre nella pagina precedente, come Uomo, aveva detto al fariseo: “Io non so chi tu sia”. Le due note di MV troveranno conferma nel testo di 224.2, 357.3, 527.4/6, 554.7 e giustificano le dichiarazioni di “ignoranza” da parte di Gesù che incontreremo, ad esempio, in: 73.7 - 75.3 - 362.2 - 365.10 - 376.9 - 377.2 - 382.5 - 395.2 - 406.9 - 413.8 - 433.5 - 472.4 - 488.5 - 583.23 - 584.6. — Una seconda spiegazione sulle “ignoranze” di Gesù è data a proposito di una serie di domande che Egli rivolge ad Annalia in 156.3. La relativa nota di MV, messa su una copia dattiloscritta, dice: Gesù sapeva e ricordava, ma voleva che le anime si aprissero con la massima libertà e confidenza. Questa spiegazione trova delle conferme nel testo di 128.1 e di 153.1, oltre che in una singolare espressione dell’Iscariota in 468.4: “So che Tu sai e che però attendi che io dica”. — Una terza spiegazione è in una lunga nota di MV a proposito dell’affermazione di Gesù: “Chi sia non so”, che si trova in 175.5. Riportiamo la parte essenziale della nota autografa, che occupa quattro facciate di un foglio inserito in una copia dattiloscritta: E il Padre eterno, per provare i cuori e separare i figli di Dio, della Luce, dai figli della carne e delle tenebre, permetteva, alla presenza degli apostoli, dei discepoli e delle folle, delle lacune nella onniveggenza del Figlio, pari a queste domande e risposte: “Chi è costui? Io non lo conosco...”. E ciò per gli uomini. Ma anche ciò per il suo Figlio diletto, onde prepararlo alla grande oscurità dell’ora delle tenebre, alla derelizione del Padre, ore tremende in cui Gesù fu l’Uomo, e l’Uomo respinto dal Padre, essendo divenuto “Anatema per noi”... La spiegazione data da MV è confermata dalle parole dell’apostolo Giovanni nel contesto di 334.2/3 per quanto riguarda i cuori da provare. Per quanto riguarda la preparazione del Figlio diletto all’ora delle tenebre, è confermata e approfondita in 582.14, 598.4, 602.5, 603.4, ed è una spiegazione che conferisce un significato profondo a qualche indecisione di Gesù (come in 302.4.7) e soprattutto alle sue sconcertanti incertezze che si trovano in 339.4 e in 464.14. — Fatte le suddette e motivate eccezioni, l’opera valtortiana presenta Gesù onnisciente e onniveggente, o presciente e preveggente, come viene esplicitamente dichiarato in: 48.6 - 60.7 - 78.3 - 80.9.10 - 89.2 - 117.5 - 133.2 - 149.1/2 - 160.6 - 174.7 - 203.1 - 204.4 - 218.1 - 220.4 - 224.2 - 236.5 - 317.3/5 - 329.14 - 335.13 - 340.5 - 351.4 - 357.3 - 371.9 - 387.3 - 391.8 - 406.11 - 409.3 - 411.8 - 471.3 - 473.5 - 503.2 - 522.5 - 524.8 - 525.2 - 531.10 ultime righe - 531.20 ultime righe - 532.4.6 - 534.9 - 540.7 - 548.27 - 555.4 - 561.14 - 563.5 - 565.3/4 - 566.18 - 567.18.21 - 580.2 - 587.5.8 - 595.6 - 602.4/5.
[133] ingiustizia, invece di giustizia, è correzione di MV su una copia dattiloscritta, dove MV mette anche la seguente nota a proposito del nome Geavè: I Galilei, dalla parlata più dolce, dicevano “Geovè”, con un “G” molto dolce, quasi un “sgi”. I Giudei: “Javè”, duro, reciso. Altre annotazioni o correzioni, in merito a tale pronuncia, sono in: 73.3 - 78.2 - 194.4 - 197.5 - 315.4 - 535.12.