MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MAGGIORE

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VOLUME I CAPITOLO 70



LXX. Al Getsemani con Giovanni di Zebedeo. Un paragone tra il Prediletto e Giuda di Keriot

   4 gennaio 1945.

   70.1Vedo Gesù che si dirige alla bassa casetta bianca in mezzo all’uliveto. Un giovinetto lo saluta. Pare del luogo perché ha fra le mani gli utensili per potare e sarchiare.
   «Dio sia con Te, Rabbi. Il tuo discepolo Giovanni è venuto e ora è ripartito per venirti incontro».
   «Da molto?».
   «No, ha appena passato quel sentiero. Credevamo Tu venissi dalla parte di Betania…».
   Gesù si incammina svelto, gira il balzo, vede Giovanni che scende quasi di corsa verso la città e lo chiama.
   Il discepolo si volta e, con un viso che la gioia fa luminoso, grida: «Oh! Maestro mio!» e torna indietro di corsa.
   Gesù gli apre le braccia e i due si abbracciano affettuosamente.
   «Venivo a cercarti… Credevamo fossi stato a Betania, come avevi detto».
   «Sì. Lo volevo fare. Devo incominciare ad evangelizzare anche i dintorni di Gerusalemme. Ma poi mi sono trattenuto in città… per istruire un nuovo discepolo».
   «Tutto quello che Tu fai è ben fatto, Maestro. E bene riesce. Lo vedi? Anche ora ci siamo subito trovati».
   I due camminano, tenendo Gesù un braccio sulle spalle di Giovanni che, più basso di Lui, lo guarda da sotto in su, beato di quell’intimità. Tornano così verso la casetta.
   «È molto che sei venuto?».
   «No, Maestro. Sono partito da Doco all’alba, insieme a Simone, al quale ho detto ciò che Tu volevi. Poi abbiamo sostato insieme nelle campagne di Betania, spartendo il cibo e parlando di Te a contadini trovati nei campi. Quando il sole ha avuto meno fuoco, ci siamo divisi. Simone è andato da un suo amico, al quale vuole parlare di Te. È il padrone di quasi tutta Betania. Egli lo conosce da prima, da quando erano vivi il padre dell’uno e dell’altro. Ma domani viene qui, Simone. Mi ha detto di dirti che è felice di servirti. È molto capace, Simone. Vorrei essere come lui. Ma sono un ragazzo ignorante».
   «No, Giovanni. Anche tu fai molto bene».
   «Sei proprio contento del povero tuo Giovanni?».
   «Molto contento, Giovanni mio. Molto».
   «Oh! Maestro mio!». Giovanni si curva con slancio a prendere la mano di Gesù e la bacia e se la passa sul viso come una carezza.

   70.2Sono giunti alla casetta. Entrano nella cucina bassa e fumosa. Il padrone li saluta: «La pace sia con Te».
   Risponde Gesù: «Pace a questa casa e a te e chi con te vive. Ho con Me un discepolo».
   «Vi sarà pane e olio anche per lui».
   «Ho portato pesce secco che mi han dato Giacomo e Pietro. E, passando da Nazaret, tua Madre mi ha dato pane e miele per Te. Ho camminato senza soste, ma ora sarà duro».
   «Non importa, Giovanni. Avrà sempre il sapore delle mani della Mamma».
   Giovanni estrae i suoi tesori dalla bisaccia che aveva in un canto. E vedo preparare il pesce secco in una maniera strana. Lo bagnano per pochi attimi in acqua calda, poi lo ungono e lo fanno arrostire sulla fiamma.
   Gesù benedice il cibo e col discepolo si siede alla tavola. Sono anche alla stessa il padrone, che sento chiamare Giona, e il figlio. La madre va e viene portando il pesce, delle ulive nere, delle verdure lessate e condite con olio. Gesù offre anche del miele. E lo offre alla madre stendendolo sul pane. «È del mio alveare», dice. «Le api le cura mia Madre. Mangialo. È buono. Sei tanto buona con Me, tu, Maria, che meriti questo e altro», dice poi, perché la donna non vorrebbe privarlo del dolce miele.
   La cena termina sollecita fra brevi discorsi comuni. Appena finita, e dopo aver ringraziato del cibo preso, Gesù dice a Giovanni: «Vieni. Usciamo un poco nell’uliveto. La notte è tiepida e chiara. Sarà dolce stare un poco là fuori».
   Il padrone dice: «Maestro, io ti saluto. Sono stanco, e stanco è mio figlio. Noi andiamo al riposo. Lascio la porta accostata e la lucerna sul tavolo. Sai come fare».
   «Vai pure, Giona. E spegni anche la lucerna. Vi è un lume di luna così chiaro che ci vedremo anche senza lume».
   «Ma il tuo discepolo dove dormirà?».
   «Con Me. Sulla mia stuoia vi è posto anche per lui. Vero, Giovanni?».
   Giovanni, all’idea di dormire al fianco di Gesù, va in estasi.

   70.3Escono nell’uliveto. Ma prima Giovanni ha preso qualcosa dalla sacca messa nell’angolo. Camminano per un poco e giungono su un ciglio dal quale si vede tutta Gerusalemme.
   «Sediamoci qui e parliamo fra noi», dice Gesù.
   Ma Giovanni preferisce sedersi ai suoi piedi, sull’erbetta corta, e sta col braccio posato sui ginocchi di Gesù, col capo reclino sul braccio, guardando ogni poco il suo Gesù. Pare un bambino presso la persona a lui più cara. «È bello anche qui, Maestro. Guarda come pare grande la città di notte. Più che di giorno».
   «È perché il lume di luna ne sfuma i contorni. Vedi, sembra che il limite si allarghi in una luminosità d’argento. Guarda il sommo del Tempio, lassù. Non sembra sospeso nel vuoto?».
   «Pare che lo portino gli angeli sulle loro ali d’argento».
   Gesù sospira.
   «Perché sospiri, Maestro?».
   «Perché gli angeli hanno abbandonato il Tempio. Il suo aspetto di purezza e santità è solo circoscritto alle mura. Quelli che dovrebbero darglielo nell’anima — perché anche ogni luogo ha la sua anima, ossia ha lo spirito per cui fu elevato, e il Tempio ha, dovrebbe avere, anima di preghiera e santità — sono i primi a toglierglielo. Non si può dare ciò che non si possiede, Giovanni. E se molti sono i sacerdoti ed i leviti che là vivono, non ve ne è neppure un decimo che sia atto a dar vita al Luogo Santo. Morte dànno. Comunicano ad esso la morte che è nel loro spirito, morto a ciò che è santo. Hanno le formule. Non hanno la vita delle stesse. Sono cadaveri che sono caldi solo per la putrefazione che li gonfia».
   «Ti hanno fatto del male, Maestro?». Giovanni è tutto in pena.
   «No. Anzi mi hanno lasciato parlare quando ho chiesto di farlo».
   «Lo hai chiesto? Perché?».
   «Perché non voglio essere Io quello che inizia la guerra. La guerra verrà lo stesso. Perché Io farò una stolta paura umana ad alcuni e sarò un rimprovero per altri. Ma questo deve esser sul loro libro. Non sul mio».

   70.4Vi è un poco di silenzio, poi Giovanni torna a parlare.
   «Maestro… io conosco Anna e Caifa. Per bisogni di affari la mia famiglia è stata in rapporti con loro, e quando io sono stato in Giudea, per Giovanni, venivo anche al Tempio, e loro erano buoni col figlio di Zebedeo. Mio padre pensa sempre a loro col miglior pesce. È costume, sai? Quando si vuole averli amici, continuare ad averli, bisogna fare così…».
   «Lo so». Gesù è serio.
   «Ebbene, se credi, io parlerò di Te al Sommo Sacerdote. E poi… se vuoi, io conosco uno che è in rapporto di affari con mio padre. È un ricco mercante di pesce. Ha una casa bella e grande presso l’Ippico, perché sono persone ricche, ma sono anche molto buone. Saresti più comodo e ti stancheresti meno. Per venire fin qui si deve passare anche quel sobborgo di Ofel, così disordinato e sempre pieno di asini e ragazzi rissosi».
   «No, Giovanni. Io ti ringrazio. Ma sto bene qui. Vedi quanta pace? L’ho detto anche all’altro discepolo che mi faceva la stessa proposta. Lui diceva “per esser meglio considerato”».
   «Io lo dicevo perché Tu ti stancassi meno».
   «Non mi stanco. Camminerò tanto e non mi stancherò mai. Sai cosa è che mi stanca? Il disamore. Oh! quello, che peso! Come portassi un peso sul cuore».
   «Io ti amo, Gesù».
   «Sì, e tu mi sollevi. Ti voglio tanto bene, Giovanni, te ne vorrò sempre perché tu non mi tradirai mai».
   «Tradirti! Oh!».
   «Eppure vi saranno molti che mi tradiranno…

   70.5Giovanni, ascolta. Ti ho detto che mi sono fermato qui per istruire un nuovo discepolo. È un giovane giudeo, istruito e conosciuto».
   «Allora farai molto meno fatica che con noi, Maestro. Sono contento che Tu ne abbia qualcuno più capace di noi».
   «Credi tu che farò meno fatica?».
   «Eh! se è meno ignorante di noi, ti capirà meglio e ti servirà meglio, specie se ti amerà meglio».
   «Ecco. Hai detto bene. Ma l’amore non va in ragione della istruzione, e neppure la formazione. Un vergine ama con tutta la forza del suo primo amore. Questo anche per le verginità del pensiero. E l’amato penetra e si imprime più in un cuore e in un pensiero vergine che in uno in cui già altri amori furono. Ma se Dio vorrà… Senti, Giovanni. Io ti prego di essergli amico. Il mio cuore trema a metter te, agnello intonso, presso l’esperto della vita. Ma anche però si placa, perché sa che tu sarai agnello, ma anche aquila, e se l’esperto vorrà farti toccare il suolo, sempre fangoso, il suolo del buon senso umano, tu con un colpo d’ala saprai liberarti e volere solo l’azzurro e il sole. Per questo ti prego di… — conservando te qual sei — essere amico del nuovo discepolo, che non sarà molto amato da Simon Pietro e anche da altri, per trasfondergli il tuo cuore…».
   «Oh! Maestro! Ma non basti Tu?».
   «Io sono il Maestro. Al quale non tutto si dirà. Tu sei il condiscepolo, di poco più giovane, col quale è più facile aprirsi. Io non dico di ripetermi ciò che egli ti dirà. Odio le spie e i traditori. Ma ti chiedo di evangelizzarlo con la tua fede e la tua carità, con la tua purezza, Giovanni. È una terra inquinata da acque morte. Va prosciugata col sole dell’amore, purificata con l’onestà di pensieri, desideri e opere, coltivata con la fede. Puoi farlo».
   «Se Tu credi che lo possa… oh! sì. Se Tu lo dici, che io posso fare questo, questo farò. Per amor tuo…».
   «Grazie, Giovanni».

   70.6«Maestro, hai parlato di Simon Pietro. E mi è tornato in mente quello che dovevo dirti per primo, ma che la gioia di udirti mi aveva allontanato dal pensiero. Tornati a Cafarnao dopo la Pentecoste, abbiamo subito trovato la solita somma di quello sconosciuto. Il bambino l’aveva portata a mia madre. Io l’ho data a Pietro e lui me l’ha resa dicendo che l’usassi un poco per il ritorno e la sosta a Doco e il resto lo portassi a Te, per quanto ti può occorrere… perché anche Pietro pensava che qui è scomodo… ma Tu dici di no… Io non ho levato che due denari per due poverelli trovati presso Efraim. Per il resto ho vissuto con quanto mi aveva dato la madre mia e quanto mi hanno dato dei buoni, ai quali ho predicato il tuo Nome. Ecco la borsa».
   «La distribuiremo domani ai poveri. Così anche Giuda imparerà i nostri usi».
   «Tuo cugino è venuto? Come ha fatto ad esser così svelto? Era a Nazareth e non mi disse di partire…».
   «No. Giuda è il nuovo discepolo. È di Keriot. Ma tu lo hai visto a Pasqua, qui, la sera della guarigione di Simone. Era con Tommaso».
   «Ah! è lui?». Giovanni è un poco interdetto.
   «È lui. E Tommaso che fa?».
   «Ha ubbidito al tuo comando lasciando Simone Cananeo e andando per la via del mare incontro a Filippo e Bartolomeo».
   «Sì, voglio vi amiate senza preferenze, aiutandovi scambievolmente, compatendovi l’un l’altro. Nessuno è perfetto, Giovanni. Non i giovani e non i vecchi. Ma, se avrete buona volontà, giungerete alla perfezione e quanto mancherà in voi lo metterò Io. Voi siete come i figli di una santa famiglia. Fra essa vi sono molti caratteri dissimili. Chi è forte, chi è dolce, chi è coraggioso, chi è timido, chi impulsivo e chi molto cauto. Se tutti foste uguali, sareste una forza in un carattere e delle deficienze in tutti gli altri. Mentre così formate un’unione perfetta, perché si completa a vicenda. L’amore vi unisce, vi deve unire, l’amore per la causa di Dio».
   «E per Te, Gesù».
   «Prima la causa di Dio e poi l’amore per il suo Cristo».
   «Io… che cosa sono io nella nostra famiglia?».
   «Sei la pace amorosa del Cristo di Dio.

   70.7Sei stanco, Giovanni? Vuoi tornare? Io resto a pregare».
   «Resto anche io a pregare con Te. Lasciami restare a pregare con Te».
   «Resta pure».
   Gesù dice dei salmi e Giovanni lo segue. Ma la voce si spegne e l’apostolo resta addormentato col capo sul grembo di Gesù, che sorride e stende il suo mantello sulle spalle del dormente e poi continua certo a pregare mentalmente.
   La visione ha termine così.
   

   70.8Dice poi Gesù:
   «Ancora un parallelo fra il mio Giovanni ed un altro discepolo. Parallelo in cui ne esce sempre più limpida la figura del mio prediletto.
   Egli è colui che si spoglia anche del suo modo di pensare e di giudicare per essere “il discepolo”. È colui che si dona senza volere di sé — del se stesso antecedente all’elezione — neppure una molecola. Giuda è colui che non si vuole spogliare di se stesso. E la sua è perciò una donazione irreale. Porta con sé il suo io malato di superbia, di sensualità, di cupidigia. Conserva il suo modo di pensare. Neutralizza perciò gli effetti della donazione e della Grazia.
   Giuda: capostipite di tutti gli apostoli mancati. E sono tanti! Giovanni: il capostipite di quelli che si fanno ostie per mio amore. Il tuo capostipite.
   Io e la Madre siamo le Ostie eccelse. Raggiungerci è difficile, impossibile anzi, perché il nostro sacrificio fu di una asprezza totale. Ma il mio Giovanni! È l’ostia imitabile da tutte le classi di miei amatori: vergine, martire, confessore, evangelizzatore, servo di Dio e della Madre di Dio, attivo e contemplativo, ha un esempio per tutti. È colui che ama.
   Osserva i diversi modi di ragionare. Giuda investiga, cavilla, si impunta e, se anche mostra di cedere, in realtà conserva la sua forma mentale. Giovanni si sente un nulla, accetta tutto, non chiede le ragioni, è pago di farmi felice. Ecco l’esempio.

   70.9E non te ne sei sentita divenire tutta pace davanti alla sua semplice e cara amorosità? Oh! il mio Giovanni! E il mio piccolo Giovanni, che Io voglio sempre più simile al mio diletto. Accetta tutto, dicendo sempre come l’Apostolo: “Tutto quello che Tu fai è ben fatto, Maestro”, per meritare di sentirti sempre dire: “Sei la mia amorosa pace”. Ho bisogno di sollievo anche Io, Maria. Dàmmelo. Il mio Cuore per tuo riposo».