MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MAGGIORE

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VOLUME I CAPITOLO 17



XVII. La disubbidienza di Eva e l'ubbidienza di Maria

   5 marzo 1944.

   17.1Dice Gesù:
   «[…][47].
   Non si legge nella Genesi[48] che Dio fece l’uomo dominatore su tutto quanto era sulla Terra, ossia su tutto meno che su Dio e i suoi angelici ministri? Non si legge che fece la donna perché fosse compagna all’uomo nella gioia e nella dominazione su tutti i viventi? Non si legge che di tutto potevano mangiare fuorché dell’albero della scienza del Bene e del Male? Perché? Quale sottosenso è nella parola “perché domini”? Quale in quello dell’albero della scienza del Bene e del Male? Ve lo siete mai chiesto, voi che vi chiedete tante cose inutili e non sapete chiedere mai alla vostra anima le celesti verità?
   La vostra anima, se fosse viva, ve le direbbe, essa che quando è in grazia è tenuta come un fiore fra le mani dell’angelo vostro, essa che quando è in grazia è come un fiore baciato dal sole e irrorato dalla rugiada per lo Spirito Santo che la scalda e illumina, che la irriga e la decora di celesti luci. Quante verità vi direbbe la vostra anima se sapeste conversare con essa, se l’amaste come quella che mette in voi la somiglianza con Dio, che è Spirito come spirito è la vostra anima. Quale grande amica avreste se amaste la vostra anima in luogo di odiarla sino ad ucciderla; quale grande, sublime amica con la quale parlare di cose di Cielo, voi che siete così avidi di parlare e vi rovinate l’un l’altro con amicizie che, se non sono indegne (qualche volta lo sono) sono però quasi sempre inutili e vi si mutano in frastuono vano o nocivo di parole, e parole tutte di Terra.
   Non ho Io detto[49]: “Chi mi ama osserverà la mia parola, e il Padre mio l’amerà, e verremo presso di lui e faremo in lui dimora”? L’anima in grazia possiede l’amore e, possedendo l’amo­­re, possiede Dio, ossia il Padre che la conserva, il Figlio che l’ammaestra, lo Spirito che la illumina. Possiede quindi la Conoscenza, la Scienza, la Sapienza. Possiede la Luce. Pensate perciò quali conversazioni sublimi potrebbe intrecciare con voi la vostra anima. Sono quelle che hanno empito i silenzi delle carceri, i silenzi delle celle, i silenzi degli eremitaggi, i silenzi delle camere degli infermi santi. Sono quelle che hanno confortato i carcerati in attesa di martirio, i claustrati alla ricerca della Verità, i romiti anelanti alla conoscenza anticipata di Dio, gli infermi alla sopportazione, ma che dico?, all’amore della loro croce.

   17.2Se sapeste interrogare la vostra anima, essa vi direbbe che il significato vero, esatto, vasto quanto il creato, di quella parola “domini” è questo: “Perché l’uomo domini su tutto. Su tutti i suoi tre strati[50]. Lo strato inferiore, animale. Lo strato di mezzo, morale. Lo strato superiore, spirituale. E tutti e tre li volga ad un unico fine: possedere Dio”. Possederlo meritandolo con questo ferreo dominio, che tiene soggette tutte le forze dell’io e le fa ancelle di questo unico scopo: meritare di possedere Dio. Vi direbbe che Dio aveva proibito la conoscenza del Bene e del Male, perché il Bene lo aveva elargito alle sue creature gratuitamente, e il Male non voleva che lo conosceste, perché è frutto dolce al palato ma che, sceso col suo succo nel sangue, ne desta una febbre che uccide e produce arsione, per cui più si beve di quel suo succo mendace e più se ne ha sete.

   17.3Voi obbietterete: “E perché ce l’ha messo?”. E perché! Perché il Male è una forza che è nata da sola, come certi mali mostruosi nel corpo più sano.
   Lucifero era angelo, il più bello degli angeli. Spirito perfetto, inferiore a Dio soltanto. Eppure nel suo essere luminoso nacque un vapore di superbia che esso non disperse. Ma anzi condensò covandolo. E da questa incubazione è nato il Male. Esso era prima che l’uomo fosse. Dio l’aveva precipitato fuor dal Paradiso, l’Incubatore maledetto del Male, questo insozzatore del Paradiso. Ma esso è rimasto l’eterno Incubatore del Male e, non potendo più insozzare il Paradiso, ha insozzato la Terra.

   17.4Quella metaforica pianta sta a dimostrare questa verità. Dio aveva detto all’uomo e alla donna: “Conoscete tutte le leggi ed i misteri del creato. Ma non vogliate usurparmi il diritto di essere il Creatore dell’uomo. A propagare la stirpe umana basterà il mio amore che circolerà in voi, e senza libidine di senso ma per solo palpito di carità susciterà i nuovi Adami della stirpe. Tutto vi dono. Solo mi serbo questo mistero della formazione dell’uomo”.

   17.5Satana ha voluto levare questa verginità intellettuale al­l’uomo, e con la sua lingua serpentina ha blandito e accarezzato membra e occhi di Eva, suscitandone riflessi e acutezze che prima non avevano, perché la Malizia non li aveva intossicati.
   Essa “vide”. E vedendo volle provare. La carne era destata. Oh! se avesse chiamato Dio! Se fosse corsa a dirgli: “Padre! Io son malata. Il Serpente mi ha accarezzata e il turbamento è in me”. Il Padre l’avrebbe purificata e guarita col suo alito, che, come le aveva infuso la vita, poteva infonderle nuovamente innocenza, smemorandola del tossico serpentino ed anzi mettendo in lei la ripugnanza per il Serpente, come è in quelli che un male ha assalito e che, guariti di quel male, ne portano una istintiva ripugnanza. Ma Eva non va al Padre. Eva torna dal Serpente. Quella sensazione è dolce per lei. “Vedendo che il frutto dell’albero era buono a mangiarsi e bello all’occhio e gradevole all’aspetto, lo colse e ne mangiò”.
   E “comprese”. Ormai la malizia era scesa a morderle le viscere. Vide con occhi nuovi e udì con orecchi nuovi gli usi e le voci dei bruti. E li bramò con folle bramosia.

   17.6Iniziò sola il peccato. Lo portò a termine col compagno. Ecco perché sulla donna pesa condanna maggiore. È per lei che l’uomo è divenuto ribelle a Dio e che ha conosciuto lussuria e morte. È per lei che non ha più saputo dominare i suoi tre regni: dello spirito, perché ha permesso che lo spirito disubbidisse a Dio; del morale, perché ha permesso che le passioni lo signoreggiassero; della carne, perché l’avvilì alle leggi istintive dei bruti. “Il Serpente mi ha sedotta”, dice Eva. “La donna m’ha offerto il frutto ed io ne ho mangiato”, dice Adamo. E la cupidigia triplice abbranca da allora i tre regni dell’uomo.

   17.7Non c’è che la Grazia che riesca ad allentare la stretta di questo mostro spietato. E, se è viva, vivissima, mantenuta sempre più viva dalla volontà del figlio fedele, giunge a strozzare il mostro ed a non aver più a temere di nulla. Non dei tiranni interni, ossia della carne e delle passioni; non dei tiranni esterni, ossia del mondo e dei potenti del mondo. Non delle persecuzioni. Non della morte. È come dice l’apostolo Paolo[51]: “Nessuna di queste cose io temo, né tengo alla mia vita più di me, purché io compia la mia missione ed il ministero ricevuto dal Signore Gesù per rendere testimonianza al Vangelo della Grazia di Dio”.
   […]».

   [8 marzo 1944.]

   
   17.8
Dice Maria:
   «Nella gioia, poiché quando ho compreso la missione a cui Dio mi chiamava fui ripiena di gioia, il mio cuore si aprì come un giglio serrato e se ne effuse quel sangue che fu zolla al Germe del Signore.

   17.9Gioia di esser madre.
   M’ero consacrata a Dio dalla prima età, perché la luce dell’Altissimo m’aveva illuminato la causa del male del mondo ed avevo voluto, per quanto era in mio potere, cancellare da me la traccia di Satana.
   Io non sapevo di esser senza macchia. Non potevo pensare d’esserlo. Il solo pensarlo sarebbe stata presunzione e superbia, perché, nata da umani genitori, non m’era lecito pensare che proprio io ero l’Eletta ad esser la Senza Macchia.
   Lo Spirito di Dio mi aveva istruita sul dolore del Padre davanti alla corruzione di Eva, che aveva voluto avvilire sé, creatura di grazia, ad un livello di creatura inferiore. Era in me l’intenzione di addolcire quel dolore riportando la mia carne alla purezza angelica col serbarmi inviolata da pensieri, desideri e contatti umani. Solo per Lui il mio palpito d’amore, solo a Lui il mio essere. Ma, se non era in me arsione di carne, era però ancora il sacrificio di non esser madre.
   La maternità, priva di quanto ora la avvilisce, era stata concessa dal Padre creatore anche ad Eva. Dolce e pura maternità senza pesantezza di senso! Io l’ho provata! Di quanto s’è spogliata Eva rinunciando a questa ricchezza! Più che dell’immortalità. E non vi paia esagerazione. Il mio Gesù, e con Lui io, sua Madre, abbiamo conosciuto il languore della morte. Io il dolce languore di chi stanco si addormenta, Egli l’atroce languore di chi muore per la sua condanna. Dunque anche a noi è venuta la morte. Ma la maternità, senza violazioni di sorta, è venuta a me sola, Eva nuova, perché io potessi dire al mondo di qual dolcezza fosse la sorte della donna chiamata ad esser madre senza dolore di carne. E il desiderio di questa pura maternità poteva essere ed era anche nella vergine tutta di Dio, poiché essa è la gloria della donna. Se voi pensate, poi, in quale onore era tenuta la donna madre presso gli israeliti, ancor più potete pensare quale sacrificio avevo compiuto consacrandomi a questa privazione.
   Ora alla sua serva l’eterno Buono dava questo dono senza levarmi il candore di cui m’ero vestita per esser fiore sul suo trono. Ed io ne giubilavo con la duplice gioia d’esser madre di un uomo e d’esser Madre di Dio.

   17.10Gioia d’esser Quella per cui la pace si rinsaldava fra Cielo e Terra.
   Oh! aver desiderato questa pace per amore di Dio e di prossimo, e sapere che per mezzo di me, povera ancella del Potente, essa veniva al mondo! Dire: “Oh! uomini, non piangete più. Io porto in me il segreto che vi farà felici. Non ve lo posso dire, perché è sigillato in me, nel mio cuore, come è chiuso il Figlio nel seno inviolato. Ma già ve lo porto fra voi, ma ogni ora che passa è più prossimo il momento in cui lo vedrete e ne conoscerete il Nome santo”.

   17.11Gioia d’aver fatto felice Iddio: gioia di credente per il suo Dio fatto felice.
   Oh! l’aver levato dal cuore di Dio l’amarezza della disubbidienza d’Eva! Della superbia d’Eva! Della sua incredulità!
   Il mio Gesù ha spiegato di qual colpa si macchiò la Coppia prima. Io ho annullato quella colpa rifacendo a ritroso, per ascendere, le tappe della sua discesa.

   17.12Il principio della colpa fu nella disubbidienza. “Non mangiate e non toccate di quell’albero”, aveva detto Iddio. E l’uomo e la donna, i re del creato, che potevano di tutto toccare e mangiare fuor che di quello, perché Dio voleva non renderli che inferiori agli angeli, non tennero conto di quel divieto.
   La pianta: il mezzo per provare l’ubbidienza dei figli.
   Che è l’ubbidienza al comando di Dio? È bene, perché Dio non comanda che il bene. Che è la disubbidienza? È male, perché mette l’animo nelle disposizioni di ribellione su cui Satana può operare.
   Eva va alla pianta da cui sarebbe venuto il suo bene con lo sfuggirla o il suo male coll’avvicinarla. Vi va trascinata dalla curiosità bambina di vedere che avesse in sé di speciale, dall’imprudenza che le fa parere inutile il comando di Dio, dato che lei è forte e pura, regina dell’Eden, in cui tutto le ubbidisce e in cui nulla potrà farle del male. La sua presunzione la rovina. La presunzione è già lievito di superbia.
   Alla pianta trova il Seduttore il quale, alla sua inesperienza, alla sua vergine tanto bella inesperienza, alla sua maltutelata da lei inesperienza, canta la canzone della menzogna. “Tu credi che qui sia del male? No. Dio te l’ha detto, perché vi vuol tenere schiavi del suo potere. Credete d’esser re? Non siete neppur liberi come lo è la fiera. Ad essa è concesso di amarsi di amor vero. Non a voi. Ad essa è concesso d’esser creatrice come Dio. Essa genererà figli e vedrà crescere a suo piacere la famiglia. Non voi. A voi negata è questa gioia. A che pro dunque farvi uomo e donna se dovete vivere in tal maniera? Siate dèi. Non sapete quale gioia è l’esser due in una carne sola, che ne crea una terza e molte più terze? Non credete alle promesse di Dio di avere gioia di posterità vedendo i figli crearsi nuove famiglie, lasciando per esse e padre e madre. Vi ha dato una larva di vita: la vita vera è di conoscere le leggi della vita. Allora sarete simili a dèi e potrete dire a Dio: ‘Siamo tuoi uguali’”.
   E la seduzione è continuata, perché non vi fu volontà di spezzarla, ma anzi volontà di continuarla e di conoscere ciò che non era dell’uomo. Ecco che l’albero proibito diviene, alla razza, realmente mortale, perché dalle sue rame pende il frutto dell’amaro sapere che viene da Satana. E la donna diviene femmina e, col lievito della conoscenza satanica in cuore, va a corrompere Adamo. Avvilita così la carne, corrotto il morale, degradato lo spirito, conobbero il dolore e la morte dello spirito privato della Grazia, e della carne privata dell’immortalità. E la ferita di Eva generò la sofferenza, che non si placherà finché non sarà estinta l’ultima coppia sulla Terra.

   17.13Io ho percorso a ritroso la via dei due peccatori. Ho ubbidito. In tutti i modi ho ubbidito. Dio m’aveva chiesto d’esser vergine. Ho ubbidito. Amata la verginità, che mi faceva pura come la prima delle donne prima di conoscere Satana, Dio mi chiese d’esser sposa. Ho ubbidito, riportando il matrimonio a quel grado di purezza che era nel pensiero di Dio quando aveva creato i due Primi. Convinta d’esser destinata alla solitudine nel matrimonio e allo sprezzo del prossimo per la mia sterilità santa, ora Dio mi chiedeva d’esser Madre. Ho ubbidito. Ho creduto che ciò fosse possibile e che quella parola venisse da Dio, perché la pace si diffondeva in me nell’udirla. Non ho pensato: “Me lo sono meritato”. Non mi son detta: “Ora il mondo mi ammirerà, perché sono simile a Dio creando la carne di Dio”. No. Mi sono annichilita nella umiltà.
   La gioia m’è sgorgata dal cuore come uno stelo di rosa fiorita. Ma si ornò subito di acute spine e fu stretta nel viluppo del dolore, come quei rami che sono avvolti dai vilucchi dei convolvoli. Il dolore del dolore dello sposo: ecco la strettoia nel mio gioire. Il dolore del dolore del mio Figlio: ecco le spine del mio gioire.
   Eva volle il godimento, il trionfo, la libertà. Io accettai il dolore, l’annichilimento, la schiavitù. Rinunciai alla mia vita tranquilla, alla stima dello sposo, alla libertà mia propria. Non mi serbai nulla. Divenni l’Ancella di Dio nella carne, nel morale, nello spirito, affidandomi a Lui non solo per il verginale concepimento, ma per la difesa del mio onore, per la consolazione dello sposo, per il mezzo con cui portare egli pure alla sublimazione del coniugio, di modo da fare di noi coloro che rendono all’uomo e alla donna la dignità perduta.

   17.14Abbracciai la volontà del Signore per me, per lo sposo, per la mia Creatura. Dissi: “Sì” per tutti e tre, certa che Dio non avrebbe mentito alla sua promessa di soccorrermi nel mio dolore di sposa che si vede giudicata colpevole, di madre che si vede generare per dare il Figlio al dolore.
“Sì”, ho detto. Sì. E basta. Quel “sì” ha annullato il “no” di Eva al comando di Dio. “Sì, Signore, come Tu vuoi. Conoscerò quel che Tu vuoi. Vivrò come Tu vuoi. Gioirò se Tu vuoi. Soffrirò per quel che Tu vuoi. Sì, sempre sì, mio Signore, dal momento in cui il tuo raggio mi fe’ Madre al momento in cui mi chiamasti a Te. Sì, sempre sì. Tutte le voci della carne, tutte le passioni del morale sotto il peso di questo mio perpetuo sì. E sopra, come su un piedestallo di diamante, il mio spirito a cui mancan l’ali per volare a Te, ma che è signore di tutto l’io domato e servo tuo. Servo nella gioia, servo nel dolore. Ma sorridi, o Dio. E sii felice. La colpa è vinta. È levata, è distrutta. Essa giace sotto al mio tallone, essa è lavata nel mio pianto, distrutta dalla mia ubbidienza. Dal mio seno nascerà l’Albero nuovo che porterà il Frutto che conoscerà tutto il Male, per averlo patito in Sé, e darà tutto il Bene. A questo potranno venire gli uomini, ed io sarò felice se ne coglieranno anche senza pensare che esso nasce da me. Purché l’uomo si salvi e Dio sia amato, si faccia della sua ancella quel che si fa della zolla su cui un albero sorge: gradino per salire”.

   17.15Maria, bisogna sempre saper essere gradino perché gli altri salgano a Dio. Se ci calpestano, non fa niente. Purché riescano ad andare alla Croce. È il nuovo albero che ha il frutto della conoscenza del Bene e del Male, perché dice all’uomo ciò che è male e ciò che è bene, perché sappia scegliere e vivere, e sa nel contempo fare di sé liquore per guarire gli intossicati dal male voluto gustare. Il nostro cuore sotto ai piedi degli uomini, purché il numero dei redenti cresca e il Sangue del mio Gesù non sia effuso senza frutto. Ecco la sorte delle ancelle di Dio. Ma poi meritiamo di ricevere nel grembo l’Ostia santa e ai piedi della Croce, intrisa del suo Sangue e del nostro pianto, dire: “Ecco, o Padre, l’Ostia immacolata che ti offriamo per la salute del mondo. Guardaci, o Padre, fuse con Essa, e per i suoi meriti infiniti dàcci la tua benedizione”.
   Ed io ti do la mia carezza. Riposa, figlia. Il Signore è con te».


   17.16
Dice Gesù:
   «La parola della Madre mia dovrebbe sperdere ogni titubanza di pensiero anche nei più inceppati nelle formule.
[…].

   Ho detto: “metaforica pianta”. Dirò ora: “simbolica pianta”. Forse capirete meglio. Il suo simbolo è chiaro: dal come i due figli di Dio avrebbero agito rispetto ad essa, si sarebbe compreso come era in loro tendenza al Bene o al Male. Come acqua regia che prova l’oro e bilancia d’orafo che ne pesa i carati, quella pianta, divenuta una “missione” per il comando di Dio rispetto ad essa, ha dato la misura della purezza del metallo d’Adamo e di Eva.

   17.17Sento già la vostra obbiezione: “Non è stata soverchia la condanna e puerile il mezzo usato per giungere a condannarli?”.
   Non è stato. Una disubbidienza attualmente in voi, che siete gli eredi loro, è meno grave che non fosse in essi. Voi siete redenti da Me. Ma il veleno di Satana rimane sempre pronto a risorgere, come certi morbi che non si annullano mai totalmente nel sangue. Essi, i due Progenitori, erano possessori della Grazia senza aver mai avuto sfioramento con la Disgrazia. Perciò più forti, più sorretti dalla Grazia, che generava innocenza e amore. Infinito era il dono che Dio aveva loro dato. Ben più grave perciò la loro caduta nonostante quel dono.

   17.18Simbolico anche il frutto offerto e mangiato. Era il frutto di una esperienza voluta compiere per istigazione satanica contro il comando di Dio. Io non avevo interdetto agli uomini l’amore. Volevo unicamente che si amassero senza malizia; come Io li amavo con la mia santità, essi dovevano amarsi in santità d’affetti, che nessuna libidine insozza.

   17.19Non si deve dimenticare che la Grazia è lume, e chi la possiede conosce ciò che è utile e buono conoscere. La Piena di Grazia conobbe tutto, perché la Sapienza la istruiva, la Sapienza che è Grazia, e si seppe guidare santamente. Eva conosceva perciò ciò che le era buono conoscere. Non oltre, perché è inutile conoscere ciò che non è buono. Non ebbe fede nelle parole di Dio e non fu fedele nella sua promessa di ubbidienza. Credette a Satana, infranse la promessa, volle sapere il non buono, lo amò senza rimorso, rese l’amore, che Io avevo dato così santo, una corrotta cosa, una avvilita cosa. Angelo decaduto, si rotolò nel fango e sullo strame, mentre poteva correre felice fra i fiori del Paradiso terrestre e vedersi fiorire intorno la prole, così come una pianta si copre di fiori senza curvare la chioma nel pantano.

   17.20Non siate come i fanciulli stolti che Io indico[52] nel Vangelo, i quali hanno udito cantare e si sono turati gli orecchi, hanno udito suonare e non hanno ballato, hanno udito piangere e hanno voluto ridere. Non siate gretti e non siate negatori. Accettate, accettate senza malizia e cocciutaggine, senza ironia e incredulità, la Luce. E basta su ciò.

   17.21Per farvi capire di quanto dovete esser grati a Colui che è morto per rialzarvi al Cielo e per vincere la concupiscenza di Satana, ho voluto parlarvi, in questo tempo di preparazione alla Pasqua, di questo che è stato il primo anello della catena con cui il Verbo del Padre fu tratto alla morte, l’Agnello divino al macello. Ve ne ho voluto parlare perché ora il novanta per cento fra voi è simile ad Eva intossicata dal fiato e dalla parola di Lucifero, e non vivete per amarvi ma per saziarvi di senso, non vivete per il Cielo ma per il fango, non siete più creature dotate d’anima e ragione ma cani senz’anima e senza ragione. L’anima l’avete uccisa e la ragione depravata. In verità vi dico che i bruti vi superano nella onestà dei loro amori».

[47] […] Questo segno indicherà sempre l’omissione di un brano non pertinente, che si troverà riportato in uno dei volumi intitolati “I quaderni” oppure in un altro punto dell’opera.
[48] si legge nella Genesi è un costante riferimento alla storia delle origini (creazione dell’universo e dell’uomo, colpa di Adamo ed Eva e sue conseguenze) per la quale rimandiamo, una volta per tutte, a: Genesi 1-3. Il tema della creazione rifulgerà nel discorso di Gesù ripetuto da Giovanni in 244.5/8 e in quello pronunciato da Gesù in 506.2, e ancora sarà trattato in 540.8/10 e 651.14/15. Il tema del peccato originale è trattato, oltre che nel presente capitolo, in: 5.14/15 - 29.7/12 - 45.6 - 47.6 (con nota) - 122.8 - 126.3 - 131.2 - 140.3 - 174.9 (con una lunga nota) - 188.6 - 196.5 (con nota) - 207.10 - 242.6 (in nota) - 265.4 - 267.3 - 286.7 - 307.6/7 - 317.4 - 365.6 - 381.6 - 406.10 - 412.2 - 414.8 - 420.10/11 - 477.3 (ultime righe) - 511.3 - 515.3 - 527.7 - 553.6 - 554.10 (spiegato in parabola) - 567.19.23 (in nota) - 593.6 - 596.29 (con nota) - 600.36 - 606 (intero capitolo) - 620.5 - 635.2 - 642.8 - 643.2 - 645.12.
[49] detto, in: Giovanni 14, 23 (600.27).
[50] tre strati, come li intende anche san Paolo in: 1 Tessalonicesi 5, 23. L’opera valtortiana presenta con frequenza la divisione tripartita dell’uomo: corpo (o carne, materia, senso, ecc.), anima (o mente, pensiero, morale, cuore, ecc.), spirito (o anima spirituale, essenza spirituale, ecc.). Sempre mantenendo la sostanziale gradualità delle tre parti, spesso chiama “anima” l’anima spirituale o spirito, fino a darne, in 651.1, la singolare definizione di “parte eletta dello spirito”. La divisione tripartita dell’uomo si ripresenta in questo capitolo e in: 35.10 - 36.9 - 37.8 - 46.13 - 47.4 - 69.1.3 - 80.9 - 122.8 - 125.2 - 137.5 - 174.9 (nella nota sul peccato originale) - 196.4 - 204.5 - 209.6 - 212.2 - 225.8 - 237.2 - 243.10 - 272.4 - 275.13 - 286.7 - 346.5 - 406.10 - 465.4 - 473.9 - 524.7/8 - 527.7 - 548.18 - 555.6 (nota) - 567.21 - 601.1 - 608.13 - 610.16 - 613.9 - 651.4.17.
[51] dice l’apostolo Paolo, in: Atti 20, 24.
[52] indico, in: Matteo 11, 16-17; Luca 7, 31-32 (266.12). Stessa citazione in 45.9.