MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MAGGIORE

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VOLUME I CAPITOLO 39



XXXIX. Preparativi per la maggiore età di Gesù e partenza da Nazareth

   25 novembre 1944.

   […].

   39.1Ho avuto da Lui una promessa. Gli dicevo: «Gesù, come mi piacerebbe vedere la cerimonia della tua maggiore età!». E Lui: «Te la darò per prima cosa appena potremo esser “noi” senza che si turbi il mistero. E la metterai dopo la scena della Madre mia, mia maestra e maestra di Giuda e Giacomo, che ti ho data recentemente (29-10). La metterai fra questa e la Disputa al Tempio».
   […].
   
   19 dicembre 1944.

   39.2Vedo Maria curva su un mastello, meglio, su una conca di terra cotta, che mescola qualcosa che fuma nell’aria fredda e serena che empie l’orto di Nazaret.
   Deve essere pieno inverno, perché, meno gli ulivi, tutte le piante sono brulle e scheletrite. In alto, un cielo tersissimo e anche un bel sole. Ma non tempera la sizza che tira e che fa sbattere fra loro i rami spogli e ondulare le ramette grigie verdi degli ulivi.
   La Madonna è tutta vestita di una pesante veste di un marrone quasi nero e si è legata davanti una rustica tela, come un grembiale, per proteggere la veste. Estrae dalla tinozza il bastone con cui dimenava il contenuto e ne vedo cadere gocce di un bel color arrubinato. Maria osserva, si bagna un dito con le gocce che cadono, prova il colore sul grembiale. Pare soddisfatta.
   Entra in casa ed esce con molte matasse di lana candidissima. Le tuffa una per una nella tinozza, con pazienza e accortezza.

   39.3Mentre fa questo, entra, venendo dal laboratorio di Giuseppe, sua cognata Maria di Alfeo. Si salutano. Si parlano.
   «Viene bene?», chiede Maria d’Alfeo.
   «Ne ho speranza».
   «Mi ha assicurato quella gentile[83] che è proprio la tinta e il modo che usano a Roma. Me lo ha dato proprio perché sei tu e hai fatto quei lavori. Dice che neppure a Roma vi è chi ricama come te. Ti devi essere accecata a farli…».
   Maria sorride e fa un movimento col capo come per dire: «Cose da nulla!».
   La cognata guarda, prima di porgerle a Maria, le ultime matasse di lana. «Come le hai filate! Paiono capelli tanto sono fini e regolari. Fai tutto bene tu… e come svelta! Queste ultime verranno più chiare?».
   «Sì, per la veste. Il mantello è più scuro».
   Le due donne lavorano insieme alla tinozza. Poi estraggono le matasse di un bel colore porporino e corrono svelte a tuffarle nell’acqua ghiaccia che empie la vaschetta, sotto alla sottile polla che cade con noterelle di risatine sommesse. Sciacquano e sciacquano, poi stendono su delle canne le matasse e le assicurano da ramo a ramo degli alberi.
   «Asciugheranno bene e presto con questo vento», dice la cognata.
   «Andiamo da Giuseppe. C’è fuoco. Devi essere gelata», dice Maria Ss. «Sei stata buona ad aiutarmi. Ho fatto presto e con meno fatica. Te ne sono grata».
   «Oh! Maria! Che non farei per te! Starti vicino è una festa. E poi… è per Gesù tutto questo lavoro. Ed è così caro, tuo Figlio!… Mi sembrerà di essergli anche io mamma se ti aiuterò per la sua festa di maggiorenne».
   Le due donne entrano nel laboratorio, pieno di quell’odore di legni piallati proprio delle officine di falegname.

   39.4E la visione ha un arresto… per riprendersi all’atto della partenza per Gerusalemme di Gesù dodicenne.
   Egli appare, bellissimo e tanto ben sviluppato da parere un fratello minore della sua giovane Madre. Già le giunge alle spalle con la sua testa bionda e inanellata, le cui chiome, non più corte come nei primi anni di vita, ma lunghe fino a sotto le orecchie, paiono un caschetto d’oro lavorato tutto a lucenti boccoli.
   È vestito di rosso. Un bel rosso di rubino chiaro. Una lunga veste che scende sino ai malleoli scoprendo solo i piedi calzati di sandali. La veste è sciolta, con maniche lunghe e ampie. Al collo, alla base delle maniche, alla balza, una greca tessuta colore su colore, molto bella…
   (nel copiare la visione attendere il resto che sarà sul nuovo quaderno).
   
   20 dicembre 1944.
   Vedo entrare Gesù insieme a sua Mamma nella stanza, dirò così, da pranzo di Nazaret.
   Gesù è un bel fanciullo dodicenne, alto, ben formato, robusto senza esser grasso. Sembra più adulto di quanto non sia, per la sua complessione. È già alto, tanto che raggiunge la spalla della Madre. Ha ancora il viso rotondo e roseo del Gesù fanciullo, viso che poi, con l’età giovanile e virile, si assottiglierà e si farà di un color senza colore, un colore di certi delicati alabastri, appena tendenti al giallo-rosa.
   Gli occhi, anche gli occhi, sono ancora occhi di bambino. Grandi, bene aperti a guardare, e con una scintilla di letizia persa nel serio dello sguardo. Dopo non saranno più così aperti… Le palpebre si caleranno a mezz’occhio per velare il troppo male, che è nel mondo, al Puro e Santo. Solo nei momenti di miracolo saranno aperti e sfavillanti, più ancora di ora… per cacciare i demoni e la morte, per guarire le malattie ed i peccati. E non saranno neppur più con quella scintilla di letizia mescolata alla serietà… La morte e il peccato saranno sempre più presenti e vicini, e con essi la conoscenza, anche umana, della inutilità del sacrificio, per la volontà contraria dell’uomo. Solo in rarissimi momenti di gioia, per essere con dei redenti e specie con dei puri, bambini per lo più, lo faranno brillare di letizia, questo occhio santo e buono.
   Ma ora è con la sua Mamma, in casa sua, e di fronte a Lui è S. Giuseppe che gli sorride con amore, e sono i cuginetti che lo ammirano e la zia Maria d’Alfeo che lo carezza… È felice. Ha bisogno di amore, il mio Gesù, per esser felice. E in questo momento lo ha.
   È vestito di una sciolta veste di lana rosso rubino chiaro. Morbida, di tessitura perfetta nella sua compatta sottigliezza. Al collo, sul davanti, in basso delle maniche lunghe e ampie, e della veste che scende sino a terra, scoprendo appena i piedi calzati di sandali nuovi e molto ben fatti — non le solite suole fissate con striscerelle di cuoio al piede — è una greca, non ricamata, ma tessuta in colore più scuro sul rubino della veste. Deve essere opera della Mamma, perché la cognata l’ammira e la loda.
   I bei capelli biondi sono già più carichi, nella loro tinta, di quando era fanciullino, con scintille di rame nelle volute dei boccoli che terminano sotto le orecchie. Non sono più i ricciolini corti e vaporosi dell’infanzia. Non sono ancora le chiome ondulate e lunghe sino agli omeri, dove terminano in morbido cannolo, dell’età adulta. Ma già tendono più a queste ultime nel colore e nella foggia.

   39.5«Ecco il Figlio nostro», dice Maria alzando la sua mano destra, nella quale è la mano sinistra di Gesù. Pare lo presenti a tutti e riconfermi la paternità del Giusto, che sorride. E aggiunge: «Benedicilo, Giuseppe, prima di partire per Gerusalemme. Non fu necessaria la rituale benedizione per la sua andata a scuola, primo passo nella vita. Ma, ora che Egli va al Tempio per esser dichiarato maggiorenne, fàllo. E benedici me con Lui. La tua benedizione… (Maria ha un sommesso singhiozzo) fortificherà Lui e darà forza a me di staccarmelo un poco di più…».
   «Maria, Gesù sarà sempre tuo. La formola non inciderà i nostri mutui rapporti. Né io te lo contenderò, questo Figlio a noi caro. Nessuno come te merita di guidarlo nella vita, o mia Santa».
   Maria si curva e prende la mano di Giuseppe e la bacia. È la sposa, oh! quanto rispettosa e amorosa del consorte!
   Giuseppe accoglie quel segno di rispetto e d’amore con dignità, ma poi alza quella baciata mano e la posa sul capo della Sposa e le dice: «Sì. Ti benedico, Benedetta, e Gesù con te. Venite, mie sole gioie, mio onore e scopo». Giuseppe è solenne. A braccia tese e palme volte a terra sopra le due teste chine, ugualmente bionde e sante, pronuncia la benedizione: «Il Signore vi guardi e vi benedica. Abbia di voi misericordia e vi dia pace. Il Signore vi dia la sua benedizione». E poi dice: «E ora andiamo. L’ora è propizia per il viaggio».

   39.6Maria prende un ampio drappo di un color granata scuro e lo drappeggia sul corpo del Figlio. Come se lo carezza nel farlo!
   Escono, chiudono. Si incamminano. Altri pellegrini vanno per la stessa direzione. Fuori del paese le donne si separano dagli uomini. I bimbi vanno con chi pare loro. Gesù resta con la Mamma.
   I pellegrini vanno, salmodiando per lo più, per le campagne tutte belle nel più lieto tempo di primavera. Freschi prati e fresche biade, e fresche fronde sugli alberi che hanno da poco fiorito. Canti di uomini per i campi e per le vie e canti d’uccelli in amore fra le fronde. Ruscelli limpidi che fan da specchio ai fiori delle rive, agnellini saltellanti presso le madri… Pace e letizia sotto il più bel cielo d’aprile.
   La visione cessa così.

[83] quella gentile è sicuramente una donna romana, quindi pagana. Il sostantivo gentile, che incontreremo spesso, si contrappone a giudeo e designa, secondo la terminologia ebraica, l’appartenenza alla “gente” che non è il popolo eletto di Israele. Alla comprensione dei gentili, in quanto pagani, Gesù dovrà adattare l’insegnamento delle verità, come è detto in nota a 154.7, nel testo di 272.5 e in nota a 406.10. E sui pagani Egli può fare affidamento più che sui giudei, come mette spesso in evidenza, fornendone infine una base biblica in 635.17. — Molti episodi nell’opera valtortiana mostrano (specialmente nel capitolo 155) come i giudei si ritenessero contaminati dal contatto con i pagani. Tale impurità legale aveva un fondamento in: Geremia 10, 25; Ezechiele 4, 13; Osea 9, 3; ed è affermata in alcuni passi neo-testamentari: Giovanni 18, 28; Atti 10, 28; 11, 1-3; 21, 27-28. Del paganesimo vero parla Gesù in 116.2 e in 121.7.