MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MAGGIORE

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VOLUME X CAPITOLO 628



DCXXVIII. Il ritorno di Tommaso e la sua incredulità.

   7 aprile 1945.

   628.1I dieci sono nel cortile della casa del Cenacolo. Parlano fra loro e poi pregano. E poi tornano a parlare.
   Dice Simone Zelote: «Sono veramente afflitto della sparizione di Tommaso. Non so più dove cercarlo».
   «Ed io neppure», dice Giovanni.
   «Dai parenti non c’è. E non è stato visto da nessuno. Che lo abbiano preso?».
   «Se così fosse, il Maestro non avrebbe detto: “Dirò il resto quando ci sarà l’assente”».
   «È vero. Io però voglio ancora andare a Betania. Forse si aggira per quelle montagne senza osare di mostrarsi».
   «Vai, vai, Simone. Tu ci hai tutti riuniti e… salvati col riunirci, perché ci hai portati da Lazzaro. Avete sentito che parole ebbe il Signore per lui? Ha detto: “il primo che in mio Nome ha perdonato e guidato”. Perché non lo mette al posto dell’Iscariota?», chiede Matteo.
   «Perché non vorrà dare al perfetto amico il posto del Traditore», risponde Filippo.

   628.2«Ho sentito poco fa, quando ho fatto un giro per i mercati e ho parlato a venditori di pesce, che… — sì, mi posso fidare di loro — che quelli del Tempio non sanno che fare del corpo di Giuda. Non so chi fu… ma questa mattina all’alba i guardiani del Tempio hanno trovato dentro al sacro recinto il suo corpo putrido, con ancora la fune al collo. Io penso siano stati dei pagani a staccarlo e a gettarlo là dentro chissà come», dice Pietro.
   «A me invece hanno detto ieri sera alla fonte, ho sentito dire, anzi, che da ieri sera hanno frombolato le viscere del Traditore fin contro la casa di Anna. Pagani, certo. Perché nessun ebreo avrebbe toccato, dopo più di cinque giorni, quel corpo. Chissà come era putrido!», dice Giacomo d’Alfeo.
   «Oh! un orrore fin dal sabato!». Giovanni impallidisce al ricordo.
   «Ma come finì in quel posto? Era suo?».
   «E chi ha mai saputo niente di esatto da Giuda di Keriot? Vi ricordate come era chiuso, complicato…».
   «Puoi dire: bugiardo, Bartolomeo. Mai era sincero. Per tre anni fu con noi, e noi, che tutto avevamo in comune, davanti a lui eravamo come davanti all’alto muro di un fortezza».
   «Di una fortezza? Oh! Simone! Di’ di un labirinto!», esclama Giuda d’Alfeo.
   «Oh! sentite! Non parliamo di lui! Mi pare di averlo a evocare e che debba venire a darci disturbo. Io vorrei cancellare il suo ricordo da me e da ogni cuore. Ebreo o gentile che sia.
   E­breo, per non arrossire di avere partorito dalla nostra razza questo mostro. Gentile, perché fra loro non ci sia chi ci può dire un giorno: “Fu uno di Israele il suo Traditore”.

   628.3Io sono un ragazzo. E non dovrei parlare davanti a voi per primo. Sono l’ultimo e tu, Pietro, sei il primo. E qui c’è lo Zelote e Bartolomeo, istruiti, e ci sono i fratelli del Signore. Ma, ecco, io vorrei presto mettere uno al dodicesimo posto, uno che santo fosse, perché, finché vedrò quel posto vuoto nel gruppo nostro, io vedrò la bocca dell’inferno coi suoi fetori fra noi. E ho paura che ci travii…».
   «Ma no, Giovanni! Sei rimasto impressionato dalla bruttezza del suo delitto e del suo corpo appeso…».
   «No, no. Anche la Madre ha detto: “Ho visto Satana vedendo Giuda di Keriot”. Oh! facciamo presto a cercare un santo da mettere a quel posto!».
   «Senti, io non scelgo nessuno. Se Lui, che era Dio, ha scelto un Iscariota, che sceglierà mai il povero Pietro?».
   «Eppure dovrai bene…».
   «No, caro. Io non scelgo nulla. Lo chiederò al Signore. Basta di peccati fatti da Pietro!».

   628.4«Tante cose dobbiamo chiedere. L’altra sera siamo rimasti come ebeti. Ma dobbiamo farci insegnare. Perché… Come faremo a capire se una cosa è peccato proprio? O se non lo è? Vedi come il Signore parla diverso da noi sui pagani. Vedi come scusa più una viltà e un rinnegamento di quanto non scusi il dubbio sul possibile suo perdono… Oh! io ho paura di fare male», dice sconsolato Giacomo d’Alfeo.
   «Veramente ci ha tanto parlato. Eppure mi pare di sapere niente. Sono ebete da una settimana», confessa sconsolato l’altro Giacomo.
   «Io pure».
   «Io pure».
   «E anche io».
   Sono tutti nelle stesse condizioni e, stupiti, si guardano l’un l’altro. Ricorrono alla ormai abituale soluzione: «Andremo da Lazzaro», dicono. «Forze là troveremo il Signore e… Lazzaro ci aiuterà».

   628.5Bussano al portone. Tacciono tutti ascoltando. E hanno un «oh!» di stupore vedendo entrare nel vestibolo Elia insieme a Tommaso. Un Tommaso così stranito che non pare più lui.
   I compagni gli si affollano intorno gridando il loro giubilo: «Lo sai che è risorto e che è venuto? E aspetta te per tornare!».
   «Sì. Me lo ha detto anche Elia. Ma non ci credo. Io credo a ciò che vedo. E vedo che per noi è finita. Vedo che siamo tutti dispersi. Vedo che non c’è più neppure un sepolcro noto dove piangerlo. Vedo che il Sinedrio si vuole disfare, e del complice di cui decreta il seppellimento, come fosse un animale sozzo, ai piedi dell’ulivo dove si è impiccato, e dei seguaci del Nazareno. Io sono stato fermato nel venerdì, alle porte, e mi hanno detto: “Anche tu eri uno dei suoi? È morto, ormai. Torna a battere l’oro”. E sono scappato…».
   «Ma dove? Ti abbiamo cercato da per tutto!».
   «Dove? Sono andato verso la casa di mia sorella a Rama. Poi non ho osato entrare perché… per non essere rimproverato da una donna. Allora ho vagato per le montagne giudee e ieri sono finito a Betlemme, nella sua grotta. Quanto ho pianto… Mi sono addormentato fra le macerie e lì mi ha trovato Elia, che era venuto… non so perché».
   «Perché? Ma perché nelle ore di gioia o di dolore troppo grande si va dove più si sente Dio. Io molte volte, in questi anni, ero andato là, di notte, come un ladro, per sentirmi carezzare l’anima dal ricordo del suo vagito. E poi scappavo al primo sole per non essere lapidato. Ma ero già consolato. Ora sono andato là per dire a quel luogo: “Io sono felice” e per prendere quanto posso di esso. Abbiamo deciso così. Noi vogliamo predicare la sua Fede. Ma ce ne darà forza un pezzo di quel muro, un pugno di quella terra, una scheggia di quei pali. Non siamo santi tanto da osare di prendere la terra del Calvario…».
   «Hai ragione, Elia. Lo dovremo fare noi pure. E lo faremo. Ma Tommaso?…».
   «Tommaso dormiva e piangeva. Gli ho detto: “Svegliati e non piangere più. È risorto”. Non mi voleva credere. Ma tanto ho insistito che l’ho persuaso. Eccolo. Ora è fra voi ed io mi ritiro. Raggiungo i compagni diretti in Galilea. La pace a voi». Elia se ne va.

   628.6«Tommaso, è risorto. Io te lo dico. Fu con noi. Mangiò. Parlò. Ci benedisse. Ci perdonò. Ci ha dato potestà di perdonare. Oh! perché non sei venuto prima?».
   Tommaso non si scuote dal suo abbattimento. Crolla il capo, testardo. «Io non credo. Avete visto un fantasma. Siete tutti folli. Le donne per le prime. Un uomo morto, da sé non risorge».
   «Un uomo no. Ma Egli è Dio. Non lo credi?».
   «Sì. Lo credo che è Dio. Ma, appunto perché lo credo, penso e dico che, per quanto sia tanto buono, non può esserlo al punto di venire fra chi lo ha così poco amato. E dico che, per quanto sia tanto umile, deve averne basta di avvilirsi nella nostra carnaccia. No. Sarà, certo lo è, trionfante in Cielo e, forse, apparirà come spirito. Dico: forse. Non meritiamo neppure questo! Ma risorto in carne e ossa, no. Non lo credo».
   «Ma se lo abbiamo baciato, visto mangiare, udito la voce, sentito la sua mano, visto le ferite!».
   «Niente. Io non credo. Non posso credere. Dovrei vedere per credere. Se non vedo nelle sue mani il foro dei chiodi e non vi metto dentro il dito, se non tocco le ferite dei piedi e se non metto la mano dove la lancia ha aperto il costato, io non credo. Non sono un bambino o una donna. Io voglio l’evidenza. Quello che la mia ragione non può accettare lo rifiuto. E io non posso accettare questa vostra parola».
   «Ma Tommaso! Ti pare che ti si voglia ingannare?».
   «No, poverini. Anzi! Beati voi che siete tanto buoni da volermi portare ad avere la pace che siete riusciti a darvi con questa vostra illusione. Ma… io non credo alla sua Risurrezione».
   «Non temi di essere punito da Lui? Sente e vede tutto, sai?».
   «Chiedo che mi persuada. Ho una ragione, e l’uso. Lui, Padrone della ragione umana, raddrizzi la mia se è deviata».
   «Ma la ragione, Lui lo diceva, è libera».
   «Ragion di più perché io non la faccia schiava di una suggestione collettiva. Io vi voglio bene e voglio bene al Signore. Lo servirò come posso e starò con voi per aiutarvi a servirlo. Predicherò la sua dottrina. Ma non posso credere altro che vedendo».
   E Tommaso, cocciuto, non intende altro che se stesso. Gli parlano di tutti quelli che lo hanno visto, e come lo hanno visto. Lo consigliano a parlare con la Madre. Ma lui crolla il capo, seduto su un sedile di pietra, più pietra lui del sedile. Testardo come un bambino, ripete: «Crederò se vedrò…».
   La grande parola degli infelici che negano ciò che è tanto dolce e santo credere ammettendo che Dio può tutto.