MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MAGGIORE

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VOLUME II CAPITOLO 104



CIV. Aava riconciliata con il marito. Notizie sulla morte di Alfeo e sul riscatto di Giona.

   11 febbraio 1945.

   104.1 Gesù è nella bellissima città marittima che sulla cartina ha quel golfo naturale, ampio e ben protetto, capace di molti navigli, reso ancor più sicuro da una diga portuale potente. Deve essere molto usato anche militarmente, perché vedo triremi romane con dei soldati a bordo. Stanno sbarcando, non so se per avvicendamento di truppe o se per rinforzamento di presidio. Il porto, ossia la città portuale, mi ricorda vagamente Napoli, dominata dai monti vesuviani.
   Gesù è seduto in una povera casa presso il porto. Casa di pescatori certo, forse amici di Pietro o di Giovanni, perché vedo che questi sono molto a loro agio nella casa e coi suoi abitanti. Non vedo il pastore Giuseppe. E naturalmente non vedo neanche l’Iscariota, ancora assente. Gesù parla, alla buona, con i componenti la famiglia e con altri venuti ad udirlo. Ma non è una vera predica. Sono parole piane, di consiglio, di conforto, come solo Lui può darle.
   Rientra Andrea, che pare uscito per qualche incombenza perché ha anche delle pagnotte fra le mani. Si accosta tutto rosso, perché attirare su lui l’attenzione deve essere un vero supplizio, e, più che dire, mormora: «Maestro, potresti venire con me? Vi… vi sarebbe da fare un poco di bene. Tu solo puoi».
   Gesù si alza senza neppure chiedere cosa è questo bene.

   104.2 Ma Pietro chiede: «Dove lo porti? È stanco tanto. È ora di cena. Lo possono aspettare anche domani».
   «No… è da fare subito. È…».
   «Ma parla, gazzella spaurita! Ma guardate se un uomo grande e grosso deve essere così!… Mi pare un pesciolino impigliato nella rete!».
   Andrea diventa ancor più rosso. Gesù lo difende coll’attirarlo a Sé: «A Me piace così. Lascialo fare. Tuo fratello è come un’acqua salutare. Lavora nel profondo e senza rumore, esce come un filo dalla terra, ma chi l’accosta è guarito. Andiamo, Andrea».
   «Vengo anche io! Voglio vedere dove ti porta», ribatte Pietro.
   Andrea supplica: «No, Maestro. Io e Te soli. Se c’è gente non si può… È cosa di cuori…».
   «Che c’è? Ora fai il paraninfo?».
   Andrea non risponde al fratello. Dice a Gesù: «Un uomo vuole ripudiare una sposa e… e io ho parlato. Ma non sono buono. Ma se parli Tu… oh! ti riesce, perché l’uomo non è malvagio. È… è… te lo dirà lui».
   Gesù esce con Andrea senza dire altro.
   Pietro resta un poco incerto, poi dice: «Ma io vado. Voglio almeno vedere dove vanno». Ed esce, nonostante gli altri gli dicano di non farlo.
   Andrea sta per svoltare da una vietta popolana. E Pietro dietro. Rigira per una piazzetta piena di comari. E Pietro dietro. Si infila in un portone che dà in un ampio cortile cinto da casette basse e povere. Dico portone perché c’è un arco. Ma la porta non c’è. E Pietro dietro. Gesù entra in una di queste casette con Andrea. Pietro si apposta lì fuori.
   Una donna lo vede e l’interroga: «Sei parente di Aava? E quei due anche? Siete venuti a riprenderla?».
   «Taci, gallina! Non devo esser visto».
   Far tacere una donna! È cosa difficile. E, posto che Pietro la fulmina con gli occhiacci, lei va a parlare ad altre comari. Il povero Pietro è in un momento circondato da un cerchio di donne, ragazzi e anche uomini che, solo per imporsi a vicenda silenzio, fanno un rumore che denuncia la loro presenza. Pietro si rode di stizza… ma non giova.

   104.3 Dall’interno viene la voce piena, bella, pacata di Gesù, insieme a quella spezzata di una donna e ad una chiusa, roca, di uomo.
   «Se fu sempre buona sposa, perché ripudiarla? Ti ha mai mancato?».
   «No, Maestro, te lo giuro! L’ho amato come la pupilla del mio occhio», geme la donna.
   E l’uomo, breve e duro: «No. Non mi ha mancato altro che nell’essere sterile. Ed io voglio figli. Non voglio la maledizione di Dio sul mio nome».
   «Non ne ha colpa tua moglie di esser tale».
   «Me ne fa colpa. A me e ai miei, come di un tradimento…».
   «Donna, sii sincera. Sapevi d’esser tale?».
   «No. Ero e sono in tutto come tutte. Anche il medico l’ha detto. Ma non riesco ad avere figli».
   «Lo vedi che non ti ha tradito. Anche lei soffre di questo.
   Rispondi tu pure sinceramente: se ella fosse madre, la ripudieresti?».
   «No. Lo giuro. Non ne ho motivo. Ma il rabbino l’ha detto, e l’ha detto lo scriba: “La sterile è la maledizione di Dio nella casa e tu hai diritto e dovere di darle libello di divorzio[40] e non affliggere la tua virilità privandola di figli”.

   104.4 Io faccio ciò che la Legge dice».
   «No. Ascolta. La Legge dice: “Non commettere adulterio” e tu stai per commetterlo. Il comandamento iniziale è questo e non altro. E se, per la durezza dei vostri cuori, Mosè concesse il divorzio, ciò fu per impedire tresche e concubinati odiosi a Dio. Poi sempre più il vostro vizio lavorò sulla clausola di Mosè, ottenendo le malvagie catene e le omicide pietre che sono le condizioni attuali della donna, vittima sempre del vostro prepotere, del vostro capriccio, della vostra sordità e cecità di affetti. Io te lo dico: non ti è lecito fare ciò che vuoi fare. È offesa a Dio il tuo atto. Abramo ripudiò forse Sarai? E Giacobbe, Rachele? Ed Elcana, Anna? E Manue, la sposa? Conosci il Battezzatore? Sì? Ebbene, sua madre non fu sterile sino alla vecchiezza e poi partorì il santo di Dio, così come la sposa di Manue partorì Sansone, ed Anna d’Elcana Samuele, e Rachele Giuseppe, e Sarai Isacco? Alla continenza dello sposo, alla sua pietà per la sterile, alla sua fedeltà alle nozze, Dio concede premio, e premio celebrato nei secoli, così come dà sorriso al pianto delle sterili, non più sterili, né avvilite, ma gloriose nel tripudio d’esser madri. Non ti è lecito offendere l’amore di costei. Sii giusto ed onesto. Dio ti premierà oltre il tuo merito».
   «Maestro, Tu solo parli così… Io non sapevo. Avevo chiesto ai dottori e mi avevano detto: “Fàllo”. Ma non una parola per dirmi che Dio premia con doni un atto buono. Siamo in mano loro… e ci chiudono gli occhi e il cuore con una mano di ferro.
   Non sono cattivo, Maestro. Non ti sdegnare con me».
   «Non ti sdegno. Mi fai pietà ancor più di questa donna piangente. Perché il suo dolore avrà fine con la vita. Il tuo comincerà allora, e per l’eternità. Pensaci».
   «No, che non comincerà. Non lo voglio. Mi giuri sul Dio di Abramo che quanto Tu dici è verità?».
   «Io sono Verità e Scienza. Chi crede in Me avrà in Lui giustizia, sapienza, amore e pace».
   «Io ti voglio credere. Sì, ti voglio credere. Sento in Te qualche cosa che non è negli altri. Ecco. Ora vado dal sacerdote e gli dico: “Non la ripudio più. La tengo, e chiedo solo a Dio che mi aiuti a sentire meno il dolore di essere senza figli”. Aava, non piangere. Diremo al Maestro di venire ancora per tenermi buono, e tu… continua a volermi bene».
   La donna piange più forte per il contrasto dal dolore di prima alla gioia attuale.
   Gesù sorride, invece. «Non piangere. Guardami. Guardami, donna».
   Ella alza il capo. Lo guarda nel volto luminoso col suo volto lacrimoso.
   «Vieni qui, uomo. Mettiti in ginocchio presso la sposa. Ora Io vi benedico e santifico la vostra unione. Udite: “Signore Dio dei padri nostri, che dal fango facesti Adamo e gli desti a com pagna Eva perché ti popolassero di uomini la Terra allevandoli nel tuo santo timore, scendi con la tua benedizione e la tua misericordia, apri e feconda le viscere che il Nemico teneva chiuse per portare ad un duplice peccato di adulterio e di disperazione. Abbi pietà di questi due figli, Padre santo, Creatore supremo. Fàlli felici e santi. Ella feconda come una vigna, egli protettore come l’olmo che la regge. Scendi, o Vita, a dar vita. Scendi, o Fuoco, a scaldare. Scendi, o Potente, ad operare. Scendi! Fa’ che, per la festa di lode per le feconde messi del veniente anno, essi ti offrano il loro vivo manipolo, il loro primogenito, figlio sacro a Te Eterno che benedici coloro che in Te sperano”». Gesù ha pregato con voce di tuono, a mani tese sulle due teste chine.

   104.5 La gente non si trattiene più e si assiepa, Pietro in prima linea.
   «Alzatevi. Abbiate fede e siate santi».
   «Oh! resta, Maestro!», pregano i due riconciliati.
   «Non posso. Tornerò. Più e più volte».
   «Resta, resta. Parla anche a noi!», grida la folla.
   Ma Gesù benedice e non si ferma. Promette solo di tornare presto. E, seguito da una piccola folla, va alla sua casa ospitale.
   «Uomo curioso, che ti dovrei fare?», chiede per via a Pietro.
   «Quello che vuoi. Ma intanto io c’ero…».
   Entrano nella casa, congedano il popolo che commenta le parole udite, e si pongono a cena.
   Pietro è ancora curioso. «Maestro, ma il figlio ci sarà proprio?».
   «Mi hai mai visto promettere cose che non si avverano? Ti pare che Io mi permetta di usare la fiducia nel Padre per mentire e deludere?».
   «No… ma… A tutti gli sposi potresti fare così?».
   «Potrei. Ma lo faccio solo dove vedo che un figlio può essere spinta alla santificazione. Dove sarebbe ostacolo non lo faccio».
   Pietro si arruffa i capelli brizzolati e tace.

   104.6 Entra il pastore Giuseppe. È tutto impolverato come chi ha molto camminato.
   «Tu? Come mai?», chiede Gesù dopo il bacio di saluto.
   «Ho lettere per Te. Tua Madre me le ha date, e una è sua.
   Eccole». E Giuseppe porge tre piccoli rotoli di una specie di pergamena sottile, legati da un nastrino. Quella più voluminosa ha anche un sigillo che la chiude. Un’altra ha solo il nodo, la terza mostra un sigillo spezzato. «Questa è di tua Madre», dice Giuseppe indicando quella col nodo.
   Gesù la svolge e la legge. Prima piano e poi forte. «“Al mio amato Figlio pace e benedizione. Mi è giunto all’ora prima delle calende della luna di elul un messo da Betania. Egli era Isacco pastore, al quale detti bacio di pace e ristoro in tuo nome ed in mia riconoscenza. Mi ha portato queste due lettere che ti mando, dicendomi a voce che l’amico Lazzaro di Betania ti sollecita ad accondiscendere alla sua preghiera. Amato Gesù, mio benedetto Figlio e Signore, io pure avrei da pregarti di due cose. L’una di ricordarti che mi hai promesso di chiamare la tua povera Mamma per istruirla nella Parola. La seconda di non venire a Nazaret senza avermi prima parlato”».
   Gesù ha una brusca sosta e si alza andando fra Giacomo e Giuda. Li abbraccia stretti e finisce ripetendo a mente le parole: «“Alfeo è tornato nel seno di Abramo alla passata luna piena, e grande fu il cordoglio della città…”». I due figli piangono sul petto di Gesù, che termina: «“…All’ultima ora ti avrebbe voluto. Ma Tu eri lontano. Questo però è conforto per Maria, che vede in questo un perdono di Dio, e deve dare pace anche ai nipoti”. Udite? Ella lo dice. Ed Ella sa quello che dice».
   «Dammi la lettera», supplica Giacomo.
   «No, ti farebbe male».
   «Perché? Che può dire di più penoso della morte di un padre?…».
   «Che ci ha maledetti», sospira Giuda.
   «No. Non questo», dice Gesù.
   «Tu lo dici… per non trafiggerci. Ma così è».
   «Leggi, allora».
   E Giuda legge: «“Gesù, ti prego, e te ne prega anche Maria: non venire a Nazaret finché il cordoglio non è finito. L’amore per Alfeo rende ingiusti i nazareni verso Te, e tua Madre piange perciò. Il buon amico Alfeo mi consola e calma il paese. Molto rumore ha fatto il racconto di Aser e Ismaele per la moglie di Cusa. Ma Nazaret è ora mare agitato da venti diversi. Ti benedico, Figlio mio, e ti chiedo pace e benedizione sull’anima mia. Pace ai nipoti. La Mamma”».
   Gli apostoli commentano e confortano i fratelli piangenti.

   104.7 Ma Pietro dice: «E quelle non le leggi?».
   Gesù fa un cenno di assenso e apre quella di Lazzaro. Chiama Simone Zelote. Leggono insieme, in un angolo. Poi aprono l’altro rotolo e leggono anche quello, discutono fra loro; e vedo che lo Zelote cerca persuadere Gesù su qualche cosa, ma non la vince.
   Gesù, coi rotoli in mano, viene in mezzo alla stanza e dice: «Udite, amici. Siamo tutti una famiglia e non vi sono segreti fra noi. E, se il male è pietà tenerlo occulto, il bene è giustizia farlo noto. Udite ciò che scrive Lazzaro di Betania: “Al Signore Gesù pace e benedizione, e pace e salute al mio amico Simone. Ho ricevuto la tua lettera, e da servo quale sono ho messo il mio cuore, la mia favella ed ogni mio mezzo al tuo servizio per farti contento ed avere l’onore di esserti servo non disutile. Sono andato da Doras, nel suo castello di Giudea, a pregarlo di vendermi il servo Giona come Tu desideri. Confesso che, se non era preghiera di Simone, amico fedele, per Te, non avrei affrontato quello sciacallo irridente, crudele e nefasto. Ma per Te, mio Maestro e Amico, sento capacità di affrontare anche Mammona. Ciò perché penso che chi lavora per Te ti ha vicino e perciò è difeso. E aiutato certo lo sono stato, perché contro ogni previsione ho vinto. Dura fu la discussione e avvilenti le prime ripulse. Tre volte dovetti inchinare a questo aguzzino potente. Poi mi impose un’attesa di giorni. Infine ecco la lettera. Degna dell’aspide. Ed io quasi non oso dirti: ‘Cedi per riuscire allo scopo’, perché egli non è degno di averti. Ma non c’è altro modo. Io ho accettato in tuo nome ed ho firmato. Se ho fatto male, dammene rampogna. Ma, credi, ho cercato servirti il meglio che potevo. Ieri è venuto un tuo discepolo giudeo, dicendo che veniva in tuo nome a sapere se c’era notizia da portarti. Si disse Giuda di Keriot. Ma ho preferito attendere Isacco per dare la lettera. E mi fu stupore che Tu avessi mandato altri, sapendo che ogni sabato viene da me Isacco per il suo riposo. Altro non ho da dire. Solo, baciandoti i piedi santi, ti prego di condurli dal tuo servo e amico Lazzaro, come hai promesso. A Simone salute. A Te, Maestro e Amico, bacio di pace e preghiera di benedizione. Lazzaro”.
   Ed ora l’altra: “A Lazzaro salute. Ho deciso. Per doppia somma avrai Giona. Però metto questi patti e non muterò su essi per nessuna ragione. Voglio che prima Giona termini i raccolti dell’anno, ossia sarà consegnato alla luna di tisri, a fine luna. Voglio che venga personalmente a prenderlo Gesù di Nazaret, al quale chiedo di entrare sotto il mio tetto per conoscerlo. Voglio immediato pagamento dietro regolare contratto. Addio. Doras”».

   104.8 «Che peste!», grida Pietro. «Ma chi paga? Chissà cosa chiede, e noi… siamo sempre senza un picciolo!».
   «Simone paga. Per fare contento Me e il povero Giona. Non acquista che un rudere d’uomo, che non lo servirà per nulla. Ma acquista un grande merito in Cielo».
   «Tu? Oh!». Tutti sono stupiti. Persino i figli di Alfeo escono dal loro dolore per lo stupore.
   «Lui è. È giusto che ciò sia noto».
   «Sarebbe anche giusto che fosse noto perché Giuda di Keriot è andato da Lazzaro. Chi ce lo aveva mandato? Tu?».
   Ma Gesù non risponde a Pietro. È molto serio e pensoso. Esce dalla sua meditazione solo per dire: «Date ristoro a Giuseppe e poi andiamo al riposo. Io preparerò risposta per Lazzaro… Isacco è ancora a Nazaret?».
   «Mi attende».
   «Andremo tutti».
   «Nooh! Tua Madre dice…». Tutti sono in subbuglio.
   «Tacete. Così voglio. La Madre parla col suo cuore d’amore.
   Io giudico con la mia ragione. Preferisco fare questo mentre non c’è Giuda. E voglio tendere la mano amica ai cugini Simone e Giuseppe, e con loro piangere prima che il cordoglio sia finito. Poi torneremo a Cafarnao, a Genezaret, sul lago insomma, attendendo la fine della luna di tisri. E prenderemo le Marie con noi. Vostra madre ha bisogno di amore. Glielo daremo.
   E la mia ha bisogno di pace. Io sono la sua pace».
   «Credi che a Nazaret?…», chiede Pietro.
   «Non credo nulla».
   «Ah! bene! Perché, se le dovessero fare del male, o darle dolore!… L’avrebbero a fare con me!», dice Pietro tutto rabbuffato.
   Gesù lo carezza, ma è soprappensiero. È triste, direi. Poi va fra Giuda e Giacomo e si siede tenendoli abbracciati per consolarli.
   Gli altri parlano piano per non turbare il loro dolore.

[40] divorzio, che il marito poteva imporre alla moglie se trovava in lei qualcosa di vergognoso o di sgradevole, come è detto in: Deuteronomio 24, 1-4; ma Gesù condanna la legge del divorzio in: 140.4 - 174.19 - 357.10/11 - 531.13/14 - 635.9. Inoltre, l’obbligo per la donna ebrea di sposarsi e avere figli (lo ricorda il sommo sacerdote alla Vergine in 11.3) e il disonore della sua sterilità (considerata come un castigo da Anna in 2.4) si possono dedurre da: Genesi 1, 27-28; 2, 22-24; 9,1; 17, 15-21; 21, 1-7; 30, 1-2.22-24; Giudici 13, 2-7.24; 1 Samuele 1, 1-20; Osea 9, 1114. Gesù tratta l’argomento dei matrimoni misti in 327.4 e in 635.9; e illustra magistralmente l’origine del matrimonio in 470.4.