MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MAGGIORE

A A A

VOLUME II CAPITOLO 156



CLVI. Annalia, la prima delle vergini consacrate.

   6 maggio 1945.

   156.1 Gesù, insieme a Pietro, Andrea e a Giovanni, bussa alla porta della sua casa di Nazaret. Apre subito la Mamma, il cui volto si illumina di un fulgido sorriso vedendo il suo Gesù.
    «Ben torni, Figlio mio! Da ieri ho con me una pura colomba che ti attende. Viene da lontano. E chi l’accompagna non poteva rimanere più oltre. Io, poiché ella voleva consiglio, ho detto ciò che potevo. Ma Tu solo, Figlio mio, sei Sapienza. Ben tornati voi pure. Venite a ristorarvi subito».
    «Sì. Rimanete qui. Io vado subito da questa creatura che mi attende».
    La curiosità è viva nei tre, in maniera diversa. Pietro sbircia con interesse in ogni senso, quasi sperando di vedere oltre i muri. Giovanni pare voglia leggere sul sorridente volto di Maria il nome della sconosciuta. Andrea, che è vivamente arrossito, guarda invece con tutta la forza delle sue pupille Gesù, e una supplica muta trema nel suo sguardo e sulle sue labbra.
    Ma Gesù non cura nessuno. Mentre i tre si decidono ad entrare nella cucina, dove Maria offre loro cibarie e tepore di fuoco, Gesù alza la tenda che cela l’apertura che conduce nell’orto-giardino ed esce in esso.
    Un dolce sole rende ancora più aerei e irreali i rami tutti in fiore dell’alto mandorlo dell’orto. Unico in fiore, il più alto delle piante che sono nell’orto, ricco nella sua veste di seta bianco-rosata sulla povertà nuda degli altri – pero, melo, fico, vite, melograno, tutti ancora aridi e spogli – pomposo nel suo velo spumoso e vivo contro la grigia umiltà monotona degli ulivi, pare che coi suoi lunghi rami abbia catturato una nuvoletta leggerissima, sperduta sul campo azzurrino del cielo, e se ne sia infiocchettato per dire a tutti: «Le nozze della primavera vengono. Esultate, voi piante, voi animali. È l’ora dei baci coi venti, con le api, o fiori. È l’ora dei baci sotto i tegoli o nel folto dei boschetti, o uccellini di Dio, o candide pecore. Oggi baci, domani prole, per perpetuare l’opera del Creatore Dio nostro».
    Gesù, con le braccia conserte sul petto, sorride, ritto nel sole, alla pura, placida grazia dell’orto materno con le sue aiuole di gigli che si denunciano per i primi cespi di foglie, coi suoi rosai ancora nudi, e l’ulivo così d’argento, con altre famiglie di fiori sparse fra le umili aiuole di legumi e insalate che appena verzicano. Puro, ordinato, gentile, pare esso pure spirare candore di verginità perfetta.

   156.2 «Figlio, vieni nella mia stanza. Te la condurrò, poiché è fuggita là in fondo udendo tante voci».
    Gesù entra nella cameretta materna, sempre la casta, castissima cameretta che ha sentito le parole dell’angelico colloquio e emana, ancor più dell’orto, l’essenza verginale, angelica, santa, di Colei che l’abita da anni e dell’Arcangelo che in essa ha venerato la sua Regina. Sono passati oltre trent’anni o solo ieri è avvenuto l’incontro? Anche oggi una conocchia sorregge il suo morbido e quasi argenteo ciuffo di stame e sul fuso è il filo, e un ricamo piegato è sulla mensola presso la porta, fra un rotolo di pergamena e un’anfora di rame con dentro un folto ramo di mandorlo fiorito; anche ora la tenda a righe palpita ad un poco di vento, calata sul mistero della verginale dimora, e il letto, ordinato nel suo angolo, ha sempre il gentile aspetto del letto di una fanciulla appena giunta alle soglie della giovinezza. Che sogni si faranno e si saranno fatti sul basso guanciale?…
    La tenda viene alzata lentamente dalla mano di Maria; Gesù che, con le spalle voltate alla porta, in piedi, contemplava quel nido di purezza, si volge.
    «Ecco, Figlio mio. Io te la conduco. Un’agnella. E Tu sei il suo Pastore»; e Maria, che è entrata tenendo per mano una giovinetta brunetta, snella, che arrossa vivamente apparendo al cospetto di Gesù, si ritira dolcemente lasciando ricadere la tenda.

   156.3 «La pace sia a te, fanciulla».
    «La pace… Signore…». La fanciulla, molto emozionata, resta senza parole, ma si inginocchia col capo verso terra.
    «Alzati. Che vuoi da Me? Non avere paura…».
    «Non paura… ma… ora che ti sono davanti… dopo averlo tanto voluto… tutto quello che mi pareva facile, necessario di dirti… io non lo trovo più… non mi pare più quello… Stolta sono… perdona, mio Signore…».
    «Chiedi grazia per la Terra? Hai bisogno di miracolo? Hai anime da convertire? No? E allora? Suvvia, parla! Tanto coraggio hai avuto ed or ti manca? Non sai che Io sono Colui che aumenta fortezza? Sì? Lo sai? E allora su, parla, come fossi un padre per te. Sei giovane. Quanti anni hai?».
    «Sedici, Signor mio».
    «Da dove vieni?».
    «Da Gerusalemme».
    «Che nome hai?».
    «Annalia…».
    «Il caro nome della nonna mia e di tante altre sante donne d’Israele, e con esso, a farne un solo[120], quello della buona, fedele, amorosa e mansueta moglie di Giacobbe. Ti sarà augurale.
    Sarai sposa e madre esemplare. No? Scuoti il capo? Piangi? Sei forse stata respinta? Neppure? È morto l’uomo a te promesso?
    Ancor non sei stata scelta?».
    La giovinetta scuote sempre il capo. Gesù fa un passo, la carezza e la forza ad alzare il capo e a guardarlo… Il sorriso di Gesù vince l’orgasmo della fanciulla. Si rinfranca.
    «Mio Signore, io sarei sposa e felice, e per merito tuo. Non mi riconosci, mio Signore? Sono la malata[121] di tisi, la morente fidanzata che Tu hai guarito per preghiera del tuo Giovanni…
    Dopo la tua grazia io… io ho avuto un altro corpo, sano questo in luogo di quello che avevo prima, morente; e ho avuto un’altra anima… Non so. Non mi sentivo più io… La gioia di essere guarita, la certezza perciò di potermi sposare – era il mio rimpianto nel morire questo non giungere ad essere sposa – non sono durate che nelle prime ore. E poi…».
    La giovinetta si fa sempre più franca, ritrova le parole e le idee perdute nello sconvolgimento di essere sola col Maestro…
    «… E poi ho sentito che non dovevo essere solo egoista, pensare solo: “Ora sarò felice”, ma che dovevo pensare a qualche cosa di più, e che venisse a Te e a Dio, tuo e mio Padre. Qualche piccola cosa, ma che dicesse che ero grata. Ho molto pensato, e quando il sabato successivo ho veduto lo sposo gli ho detto: “Ascolta, Samuele. Senza il miracolo io sarei morta fra qualche mese e per sempre mi avresti perduta. Ora io vorrei fare a Dio un sacrificio, io con te, per dire a Dio che lo lodo e ringrazio”. E Samuele ha detto subito, poiché mi ama: “Andiamo al Tempio insieme ad immolare la vittima”. Ma io non volevo questo. Sono povera e popolana, mio Signore. Poco so e meno posso. Ma attraverso la tua mano, posata sul mio petto malato, qualcosa era venuto non solo nei polmoni corrosi, ma dentro al cuore. Nei polmoni salute, nel cuore sapienza. E capivo che il sacrificio di un agnello non era il sacrificio voluto dal mio spirito che ti… che ti amava».
    La fanciulla tace, arrossendo, dopo questa sua professione d’amore.

   156.4 «Continua senza timore. Che voleva il tuo spirito?».
    «Sacrificarti cosa degna di Te, Figlio di Dio! E allora… e allora io pensavo che dovesse essere cosa spirituale come ciò che è da Dio, ossia il mio sacrificio di attesa alle nozze per amore di Te, mio Salvatore. Grande gioia le nozze, sai? Quando ci si ama è grande cosa! Un desiderio, un’ansia di compierle!… Ma non ero più quella di pochi giorni avanti. Non volevo più questo come la cosa più bella… L’ho detto a Samuele… ed egli mi ha capita. Lui pure ha voluto farsi nazir per un anno, cominciando dal giorno che avrebbe dovuto esser quello nuziale, ossia il giorno dopo le calende di adar. Intanto è venuto alla tua ricerca per amare Chi gli aveva resa la sposa, amarlo e conoscerlo: Te. E ti ha trovato, dopo molti mesi, all’Acqua Speciosa. Io pure sono venuta… e la tua parola ha finito di cambiarmi il cuore. Ora non mi basta più il voto di prima… Come quel mandorlo lì fuori, che sotto il sole sempre più caldo è ri nato dopo essere stato morto per mesi e ha messo fiori e poi metterà foglie e poi frutti, così io ho sempre più progredito nella sapienza di ciò che è migliore. L’ultima volta, ormai sicura di me e di ciò che volevo – per tutti questi mesi io ci ho pensato – l’ultima volta che sono venuta all’Acqua Speciosa Tu non c’eri più… Ti avevano cacciato. Ho pianto tanto e tanto ho pregato che l’Altissimo mi ha esaudita, persuadendo mia madre a mandarmi qui con un parente che andava a Tiberiade per parlare ai cortigiani del Tetrarca. Il fattore mi aveva detto che qui ti avrei trovato. Ho trovato la Madre tua… e le sue parole, solo l’udirla e starle al fianco in questi due giorni, hanno finito di maturare il frutto della tua grazia».
    La fanciulla si è inginocchiata come davanti ad un altare, con le braccia conserte sul petto.
    «Va bene.

   156.5 Ma che vuoi di preciso? Che ti posso fare?».
    «Signore, io vorrei… io vorrei una grande cosa. E Tu solo, Datore di vita e salute, me la puoi dare, perché io penso che ciò che Tu puoi dare Tu anche puoi togliere… Io vorrei che la vita, che mi hai dato, Tu me la levassi durante l’anno del voto mio, prima che esso abbia termine…».
    «Ma perché? Non sei grata a Dio della salute avuta?».
    «Tanto! Senza misura! Ma per una cosa sola: perché vivendo per sua grazia e per tuo miracolo ho compreso il migliore».
    «Che è?».
    «Che è vivere da angeli. Come tua Madre, mio Signore… come Tu vivi… come vive il tuo Giovanni… I tre gigli, le tre fiamme bianche, le tre beatitudini della Terra, Signore. Sì. Perché io penso che è beatitudine possedere Dio e che Dio sia possesso dei puri. Il puro io credo sia un cielo col suo Dio al centro e gli angeli intorno… Oh! mio Signore! Questo vorrei!… Poco ti ho udito, e poco tua Madre, e il discepolo e Isacco. Altri non ho avvicinato che mi dicessero le tue parole. Ma mi sembra che lo spirito mio sempre ti senta e Tu gli sia maestro… Ho detto, mio Signore…».
    «Annalia, molto è ciò che chiedi e molto è ciò che dài… Figlia, hai compreso Dio e la perfezione a cui la creatura può salire per somigliare al Purissimo e per piacere al Purissimo». Gesù ha preso fra le sue mani la testa bruna della fanciulla inginocchiata e le parla stando curvo su lei. «Colui che è nato da una Vergine – perché non poteva che farsi nido su un cumulo di gigli – è nauseato, figlia, della libidine triplice del mondo, e piegherebbe schiacciato da tanta nausea se il Padre, che sa di che vive il Figlio suo, non intervenisse con amorosi aiuti a sostenere la mia anima angosciata. I puri sono la mia gioia. Tu mi rendi ciò che il mondo mi leva con la sua inesausta bassezza. Ne sia benedetto il Padre e te, fanciulla. Va’ tranquilla. Qualcosa interverrà a far eterno il tuo voto. Sii uno dei gigli sparsi sulle sanguinose vie del Cristo».

   156.6 «Oh! mio Signore… io vorrei ancora una cosa…».
    «Quale?».
    «Non esserci alla tua morte… Non potrei vedere morire Colui che è la mia Vita».
    Gesù sorride dolcemente e con la mano asciuga due righe di pianto che scendono sul visetto bruno. «Non piangere. I gigli non sono mai a lutto. Tu riderai con tutte le perle della tua corona angelica quando vedrai il Re coronato entrare nel suo Regno. Va’. Lo Spirito del Signore ti ammaestri fra l’una e l’altra delle mie venute. Ti benedico con le fiamme dell’eterno Amore».
    Gesù si affaccia all’orto e chiama: «Madre! Ecco una piccola figlia, tutta per te. Ora è felice. Ma tu immergila nei tuoi candori, ora e ogni volta che alla Città Santa andremo, perché sia neve di petali celesti sparsa sul trono dell’Agnello». E Gesù torna dai suoi mentre Maria carezza la fanciulla rimanendo con lei.

   156.7 Pietro, Andrea e Giovanni lo guardano interrogativamente.
    E il viso splendente di Gesù dice loro che è felice.
    Pietro non si tiene e chiede: «Con chi hai parlato tanto, Maestro mio? E che udisti per essere così luminoso di gioia?».
    «Con una donna all’alba della vita; con colei che sarà l’alba di tante che verranno».
    «Chi?».
    «Le vergini».
    Andrea mormora, piano, a se stesso: «Non è lei…».
    «No. Non è lei. Ma non stancarti di pregare, paziente e buono. Ogni parola della tua preghiera è come un richiamo, un lume nella notte, e la sorregge e la guida».
    «Ma chi aspetta mio fratello?».
    «Un’anima, Pietro. Una grande miseria che egli vuole mutare in una grande ricchezza».
    «E dove l’ha trovata, Andrea, che non si muove mai, non parla mai, che non ha mai iniziative?».
    «Sul mio sentiero. Vieni con Me, Andrea. Andiamo da Alfeo a benedirlo fra i suoi molti nipoti. Voi attendetemi in casa di Giacomo e Giuda. Mia Madre ha bisogno di essere lasciata sola per tutto il giorno».
    E andando così, chi di qua e chi di là, il segreto fascia la gioia della prima consacrata per amore del Cristo alla verginità.

[120] a farne un solo, poiché in esso sono uniti il nome Anna e il nome Lia.
[121] la malata incontrata in 85.6 e 86.4/5.