MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MAGGIORE

A A A

VOLUME II CAPITOLO 128



CXXVIII. I discorsi dell’Acqua Speciosa: Non desiderare la donna d’altri. Il giovane lussurioso.

   12 marzo 1945.

   128.1 Gesù passa in mezzo ad un vero piccolo popolo che lo chiama da tutte le parti. Chi mostra le sue ferite, chi enumera le sue sventure, chi si limita a dire: «Abbi pietà di me» e chi gli presenta il proprio figliolino perché sia benedetto. La giornata serena e senza vento ha condotto molta molta gente.
   Quando Gesù è già quasi al suo posto, viene dalla stradetta che conduce verso il fiume un lamento pietoso: «Figlio di Davide, pietà del tuo infelice!».
   Gesù si volta in quella direzione, e popolo e discepoli con Lui. Ma un ciuffo folto di bossi nasconde colui che supplica.
   «Chi sei? Vieni avanti».
   «Non posso. Infetto sono. Devo recarmi dal sacerdote per essere radiato dal mondo. Ho peccato e la lebbra m’è fiorita sul corpo. Spero in Te!».
   «Un lebbroso! Un lebbroso! Anatema! Lapidiamolo!». La folla tumultua.
   Gesù fa un gesto che impone silenzio e immobilità. «È uno non più infetto di colui che è in peccato. Agli occhi di Dio è ancor più immodo il peccatore impenitente che il lebbroso pentito. Chi è capace di credere venga con Me».
   Dei curiosi, oltre che i discepoli, vanno dietro a Gesù. Gli altri allungano il collo ma rimanendo dove sono.
   Gesù si inoltra oltre la casa e la stradella verso il ciuffo di bossi. Ma poi si arresta e ordina: «Mostrati!».
   Viene fuori un poco più che giovanetto, ancor bello nel volto appena velato dai baffi e dalla barba leggera, un viso ancor fresco e pieno, dagli occhi arrossati di pianto.
   Un grande grido lo saluta partendo da un gruppo di donne tutte coperte, che già piangevano nella corte della casa al passaggio di Gesù e più forte si erano date a piangere per le minacce della folla: «Figlio mio!», e la donna si accascia nelle braccia di un’altra, non so se parente o amica.
   Gesù solo avanza ancora verso l’infelice: «Sei molto giovane. Come lebbroso?».
   Il giovane abbassa gli occhi e diventa di fiamma, balbetta, ma non osa di più. Gesù ripete la domanda. Quello dice qualche cosa più nettamente. Ma non si afferrano che le parole: «…il padre… andai… e peccammo… non solo io…».
   «Là è tua madre che spera e che piange. In Cielo è Dio che sa. Qui sono Io che so. Ma che, per avere pietà, ho bisogno della tua umiliazione. Parla».
   «Parla, figlio. Abbi pietà delle viscere che ti hanno portato», geme la madre che si è strascinata fin presso Gesù e ora, in ginocchio, tenendo inconsciamente un lembo della veste di Gesù in una mano, tende l’altra verso il figlio e mostra un po vero volto arso dalle lacrime.
   Gesù le pone la mano sul capo. «Parla», torna a dire.
   «Sono il primogenito e aiuto il padre nei commerci. Egli mi ha mandato a Gerico molte volte per parlare coi suoi clienti e… e uno… uno aveva una bella e giovane moglie… Mi… mi piacque. Andai anche più che non dovessi… Le piacqui… Ci desiderammo e… peccammo nelle assenze del marito… Non so come fu, perché ella era sana. Sì. Non solo io ero sano e la volli… Ma lei era sana e mi volle. Non so se… se con me volle altri e si contagiasse… So che lei sfiorì presto, ed ora è già nei sepolcri a morire da viva… E io… e io… Mamma! Tu l’hai visto.
   È poca cosa, ma dicono che è lebbra… e ne morirò. Quando?… Più vita… più casa… più mamma!… Oh! mamma! Ti vedo e non ti posso baciare!… Oggi vengono a scucirmi le vesti ed a scacciarmi di casa… dal paese… Io sono peggio che morto. E non avrò neppure il pianto della mamma sul mio cadavere…».
   Il giovane piange. La madre pare una pianta squassata dal vento, tanto la scuotono i singhiozzi. La gente commenta fra opposti sentimenti.

   128.2 Gesù è mesto. Parla: «E quando peccavi non pensavi a tua madre? Tanto folle eri da non ricordare più di avere una madre sulla Terra e un Dio in Cielo? E se la lebbra non fosse apparsa, ti saresti mai sovvenuto che avevi offeso Dio e prossimo? Che ne hai fatto della tua anima? Che della tua giovinezza?».
   «Fui tentato…».
   «Sei un infante per non sapere che quel frutto era maledetto? Meriteresti di morire senza pietà».
   «Oh! Pietà! Solo Tu puoi…».
   «No Io. Dio. E se qui giuri di non peccare più».
   «Lo giuro. Lo giuro. Salvami, Signore. Ho solo poche ore prima della condanna. Mamma!… Mamma! Aiutami col tuo pianto!… Oh! mamma mia!».
   La donna non ha neanche più voce. Solo si abbranca alle gambe di Gesù e alza il suo viso dagli occhi dilatati dal dolore, un tragico viso di un che affoga e sa che quello è l’ultimo sostegno che lo regge e che lo può salvare.
   Gesù la guarda. Le sorride pietoso: «Alzati, madre. Tuo figlio è guarito. Ma per te. Non per lui».
   La donna non crede ancora. Le pare che così a distanza egli non possa essere stato sanato, e fa cenni di diniego fra i singhiozzi continui.
   «Uomo, levati la tunica dal petto. Là avevi la macchia. Che tua madre sia consolata».
   Il giovane si cala la veste apparendo nudo agli occhi di tutti. Non ha che una pelle unita e liscia di giovane ben robusto.
   «Guarda, madre», dice Gesù e si china ad alzare la donna.
   Mossa che serve anche a trattenerla quando il suo amore di madre e la vista del miracolo la lancerebbe contro il figlio senza attendere che sia purificato. Sentendosi impossibilitata di andare là dove la spinge l’amore materno, si abbandona sul petto di Gesù e lo bacia in un vero delirio di gioia. Piange, ride, bacia, benedice… e Gesù la carezza con pietà. Poi dice al giovane: «Vai dal sacerdote. E ricordati che Dio ti ha sanato per tua madre e perché tu sia giusto in futuro. Va’».
   Il giovane se ne va dopo aver benedetto il Salvatore e, a distanza, lo seguono la madre e le altre che erano con lei. La folla ha dei gridi di osanna.

   128.3 Gesù torna al suo posto. «Anche colui aveva dimenticato che vi è un Dio il quale ordina onestà nei costumi. Aveva dimenticato che è proibito farsi degli dèi che Dio non siano. Aveva dimenticato di santificare il suo sabato come ho insegnato. Aveva dimenticato il rispetto amoroso verso la madre. Aveva dimenticato che non si deve fornicare, non rubare, non essere falsi, non desiderare la donna altrui, non ammazzare se stesso e la propria anima, non fare adulterio. Tutto aveva dimenticato. Vedete come era stato colpito.
   “Non desiderare la donna d’altri” si unisce al “non fare adulterio”. Perché il desiderio precede sempre l’azione. L’uomo è troppo debole per potere desiderare senza poi giungere a consumare il desiderio. E, quello che è sommamente triste, l’uomo non sa fare lo stesso nei giusti desideri. Nel male si desidera e poi si compie. Nel bene si desidera e poi ci si ferma, se pure non si retrocede.
   Come ho detto a lui, dico a voi tutti, perché il peccato di desiderio è diffuso come la gramigna che da sé si propaga: siete infanti per non sapere che quella tentazione è venefica e va fuggita? “Fui tentato”. L’antica parola! Ma siccome è anche un antico esempio, dovrebbe l’uomo sovvenirsi delle conseguenze di esso e sapere dire: “No”. La nostra storia non manca di esempi di casti che rimasero tali nonostante tutte le seduzioni del sesso e le minacce dei violenti.
   È la tentazione un male? Non lo è. È l’opera del Maligno. Ma si muta in gloria per il vittorioso su essa.
   Il marito che va ad altri amori è un assassino della sposa, dei figli, di se stesso. Colui che entra nell’altrui dimora per fare adulterio è un ladro, e dei più vili. Pari al cuculo, gode senza spesa del nido altrui. Colui che carpisce la buona fede dell’amico è un falsario, perché testimonia una amicizia che in realtà non ha. Colui che così agisce disonora se stesso e i genitori. Può avere allora Dio con sé?

   128.4 Ho fatto il miracolo per quella povera madre. Ma tanto mi fa schifo la lussuria che ne sono rivoltato. Voi avete urlato per paura e ribrezzo della lebbra. Io, con l’anima mia, ho avuto urlo per il ribrezzo[78] della lussuria. Tutte le miserie sono intorno a Me e per tutte Io sono il Salvatore. Ma preferisco toccare un morto, un giusto già infracidito con la sua carne che fu proba, e che è già in pace con il suo spirito, ad avvicinare colui che sa di lussuria. Sono il Salvatore, ma sono l’Innocente. Lo ricordino tutti coloro che qui vengono o di Me parlano prestando alla mia personalità i fermenti della loro.
   Comprendo che voi vorreste altro da Me. Ma non posso. La rovina di una giovinezza appena formata e demolita dalla libidine mi ha turbato più che se avessi toccato la Morte. Andiamo dai malati. Non potendo, per la nausea che mi strozza, essere la Parola, sarò la Salute di chi spera in Me.
   La pace sia con voi».
   Infatti Gesù è molto pallido, come sofferente. Non ripiglia il sorriso altro che quando si curva su dei bambini malati e su degli infermi nelle loro barelline. Allora torna ad essere Lui. Specie quando, mettendo il suo dito nella bocca di un mutolino di circa dieci anni, gli fa dire «Gesù» e poi «Mamma».
   La gente se ne va piano piano.

   128.5 Gesù resta a passeggiare al sole che innonda l’aia, finché lo raggiunge l’Iscariota: «Maestro. Io non sono tranquillo…».
   «Perché, Giuda?».
   «Per quelli di Gerusalemme… Io li conosco. Lasciami andare là per qualche giorno. Non ti dico neppure di mandarmi solo. Anzi ti prego che ciò non sia. Mandami insieme Simone e Giovanni. Quelli che mi furono tanto buoni nel primo viaggio in Giudea. Uno mi frena, l’altro mi purifica anche nel pensiero. Non puoi credere che sia Giovanni per me! È una rugiada che calma i miei ardori ed un olio sulle mie acque agitate… Credilo».
   «Lo so. Non te ne devi stupire perciò se Io l’amo tanto. È la mia pace. Ma anche tu, se sarai sempre buono, sarai il mio conforto. Se tu userai i doni di Dio, e ne hai molti, nel bene, come fai da qualche giorno, diverrai un vero apostolo».
   «E Tu mi amerai come Giovanni?».
   «Io ti amo lo stesso, Giuda. Ma solo ti amerò senza affanno e dolore».
   «Oh! Maestro mio, come sei buono!».
   «Va’ pure a Gerusalemme. Non gioverà a nulla. Ma non voglio deludere il tuo desiderio di giovarmi. Ora lo dirò subito a Simone e Giovanni. Andiamo. Lo vedi come soffre il tuo Gesù per certe colpe? Sono come uno che ha sollevato un peso troppo forte. Non mi dare mai questo dolore. Mai più…».
   «No, Maestro. No. Ti voglio bene. Lo sai… Ma sono un debole…».
   «L’amore fortifica».
   Entrano in casa e tutto ha fine.

   128.6 Ed è bene perché io sto molto male: di morale. E lei ne sa la causa. Di fisico perché – sia perché è tempo di Passione, sia perché ho scritto troppo, non so di preciso perché – ho un periodo tremendo di febbri e dolori ai polmoni, alla spina dorsale e all’addome. Credo che Còmpito continui a lavorare in me. Sconto tutto l’umido e la mancanza di sole di quel caro paese.

[78] ho avuto urlo per il ribrezzo: Da dove risulta – così annota MV su una copia dattiloscritta – che l’infinita Purezza del Verbo solo per misericordia e per redenzione avvicinava i peccatori nella lussuria.