MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MAGGIORE

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VOLUME III CAPITOLO 207



CCVII. Alla grotta di Betlemme la Madre rievoca la nascita di Gesù.

   3 luglio 1945.

   207.1 Lasciata Betania al primo riso dell’aurora, Gesù va verso Betlemme con sua Madre, Maria di Alfeo e Maria Salome, seguito dagli apostoli e preceduto dal bambino, che trova motivo di gioia da tutto quanto vede: le farfalle che si svegliano, gli uccellini che cantano o sbeccuzzano sul sentiero, i fiori che splendono per i diamanti delle rugiade, l’apparizione di un gregge in cui sono molti agnellini belanti. Superato il torrente che è a sud di Betania, tutto una spuma ridarella fra i sassi, la comitiva si dirige verso Betlemme fra due ordini di colli, tutti verdi di ulivi e di vigneti, con piccoli campi dorati di messi già avviate alla mietitura. La valle è fresca, e abbastanza comoda la via.
   Simone di Giona si fa avanti, raggiungendo il gruppo di Gesù, e chiede: «Si va di qui a Betlemme? Giovanni dice che l’altra volta avete fatto un’altra strada».
   «È vero», risponde Gesù. «Ma perché venivamo da Gerusalemme. Di qui è più breve. Al sepolcro di Rachele, che le donne vogliono vedere, ci separeremo come avete deciso tempo fa. Ci riuniremo poi a Betsur, dove mia Madre desidera sostare».
   «Già, l’abbiamo detto… Ma sarebbe così bello che ci fossimo tutti… la Madre in specie… perché, infine, la regina di Betlemme e della grotta è Lei, e Lei sa proprio bene tutto… Sentito da Lei… sarebbe diverso, ecco».
   Gesù sorride guardando Simone che insinua dolcemente il suo desiderio.
   «Che grotta, padre?», chiede Marziam.
   «La grotta dove è nato Gesù».
   «Oh! bello! ci vengo anche io!…».
   «Sarebbe bello davvero!», dicono Maria d’Alfeo e Salome.
   «Molto bello!… Sarebbe tornare indietro… a quando il mondo ti ignorava, è vero, ma non ti odiava ancora… Sarebbe ritrovare l’amore dei semplici, che non seppero che credere e amare con umiltà e fede… Sarebbe deporre questo peso di amarezza che mi grava sul cuore da quando ti so così odiato, deporlo là nella tua greppia… Ci deve essere rimasta ancora la dolcezza del tuo sguardo, del tuo respiro, del tuo incerto sorriso, là… e mi carezzerebbero il cuore… È così amareggiato!…». Maria parla piano, con desiderio e con mestizia.
   «Allora vi andremo, Mamma. Conducici tu. Oggi sei tu la Maestra e Io il Bambino che impara».
   «Oh! Figlio! No! Tu sei sempre il Maestro…».
   «No, Mamma. Simone di Giona ha detto bene. Nella terra di Betlemme sei tu la Regina. È il tuo primo castello. Maria, della stirpe di Davide, guida questo piccolo popolo nelle tue dimore».
   L’Iscariota fa per parlare, ma tace. Gesù, che vede l’atto e l’interpreta, dice: «Se qualcuno, per stanchezza o altro, non vuole venire, prosegua per Betsur liberamente». Ma nessuno parla.

   207.2 Proseguono la strada per la fresca valle che va in direzione est-ovest. Poi piegano lievemente a nord per costeggiare un colle che sporge e raggiungono così la via, che da Gerusalemme conduce a Betlemme, proprio presso il cubo sormontato da una cupoletta tonda della tomba di Rachele. Tutti si accostano a pregare con riverenza.
   «Qui abbiamo sostato io e Giuseppe… È tutto uguale come allora. Solo differisce la stagione. Allora era una fredda giornata di casleu. Aveva piovuto e le strade si erano fatte pantanose, poi era venuto vento gelido e forse nella notte era venuta brina. Le strade si erano indurite ma, tutte solcate dai carri e dalle folle, erano come un mare pieno di buche, e il mio asinello faticava molto…».
   «E tu no, Madre mia?».
   «Oh! io avevo Te!…», e lo guarda con un tal viso beato che commuove.
   Poi riprende a parlare:
   «Veniva la sera e Giuseppe era molto preoccupato… Si stava levando sempre più forte un vento tagliente… La gente si affrettava verso Betlemme, urtandosi l’una coll’altra, e molti insolentivano il mio asinello che andava così piano, cercando il posto dove mettere gli zoccoli… Pareva sapesse che c’eri Tu… e che facevi l’ultimo sonno nella cuna del mio seno. Faceva freddo… Ma io ero in un ardore. Ti sentivo venire… Venire? Potresti dire: “C’ero, Mamma, da nove mesi”. Sì. Ma ora era come Tu venissi dai Cieli. I Cieli si abbassavano, si abbassavano su me, ed io ne vedevo gli splendori… Vedevo ardere la Divinità nella sua gioia del prossimo tuo natale, e quei fuochi mi penetravano, mi incendiavano, mi astraevano… da tutto… Freddo… vento… folle… nulla! Io vedevo Dio… Ogni tanto, con sforzo, riuscivo a riportare il mio spirito sulla Terra e sorridevo a Giuseppe, che aveva paura del freddo e della fatica per me, e che guidava l’asinello per tema che inciampasse, e che mi ravvolgeva nella coperta per tema che mi raffreddassi… Ma nulla poteva accadere. Le scosse io non le sentivo. Mi pareva di procedere su un cammino di stelle, fra nuvole di candore, sorretta da angeli… E sorridevo… Prima a Te… Ti guardavo, attraverso le barriere della carne, dormire coi pugnelli stretti nel tuo lettino di rose vive, mio boccio di giglio… Poi sorridevo allo sposo così afflitto, così afflitto, per rincuorarlo… Poi alla gente, che non sapeva che già respirava nell’aura del Salvatore…
   Sostammo presso la tomba di Rachele per fare riposare un momento l’asinello e per mangiare un poco di pane e ulive, le nostre provviste da poveri. Ma io non avevo fame. Non potevo avere fame… Ero nutrita dalla mia gioia…

   207.3 Riprendemmo il cammino… Venite. Vi mostro dove incontrammo il pastore… Non abbiate tema che io sbagli. Io rivivo quell’ora e ritrovo ogni luogo perché vedo tutto attraverso ad una gran luce angelica. Forse lo stuolo angelico è di nuovo qui, invisibile ai corpi, ma visibile alle anime col suo luminoso candore, e tutto si svela, e tutto è indicato. Essi non possono sbagliare, e mi conducono… per gioia mia, e per gioia vostra. Ecco, da quel campo a questo venne Elia con le sue pecore, e Giuseppe gli chiese del latte per me. E lì, in quel prato, sostammo mentre lui mungeva il latte caldo e ristoratore, e dava i suoi consigli a Giuseppe. Venite, venite… Ecco, ecco il sentiero dell’ultima valletta prima di Betlemme. Abbiamo preso questo perché la strada principale, nella imminenza della città, era un arruffio di persone e di cavalcature…

   207.4 Ecco Betlemme! Oh! cara! Cara terra dei miei padri che mi hai dato il primo bacio di mio Figlio! Ti sei aperta, buona e fragrante come il pane di cui hai il nome[84], per dare il Pane vero al mondo morente di fame! Mi hai abbracciata, tu in cui è rimasto il materno amore di Rachele, come una madre, terra santa della davidica Betlemme, primo tempio al Salvatore, alla Stella del mattino nata da Giacobbe per segnare la rotta dei Cieli a tutta l’Umanità! Guardatela come è bella in questa primavera! Ma anche allora, benché i campi ed i vigneti fossero spogli, era bella! Un velo leggero di brina tornava a splendere sui rami nudi, ed essi divenivano spolverati di diamanti, come fossero avvolti in un impalpabile velo paradisiaco. Ogni casa fumava nel suo camino per l’imminente cena, e il fumo, salendo di scaglione in scaglione fino a questo ciglio, mostrava la città essa pure velata… Tutto era casto, raccolto, in attesa… di Te, di Te, Figlio! La Terra ti sentiva venire… E ti avrebbero sentito anche i betlemmiti, perché cattivi non sono, anche se voi non lo credete. Non potevano ospitarci… Nelle case oneste e buone di Betlemme si pigiavano, arroganti come sempre, sordi e superbi, quelli che anche ora lo sono, ed essi non potevano sentire Te… Quanti farisei, sadducei, erodiani, scribi, esseniti c’erano mai! Oh! il loro essere ottusi ora viene ancora dall’essere stati duri di cuore allora. Hanno chiuso il cuore all’amore verso la loro povera sorella quella sera… e sono rimasti, e restano nelle tenebre. Hanno respinto Dio fin d’allora, respingendo da loro l’amore del prossimo.

   207.5 Venite. Andiamo alla grotta. In città è inutile entrare. I più grandi amici del mio Bambino non ci sono più. Resta la natura amica, nelle sue pietre, nel suo rio, nelle sue legna per fare fuoco. La natura che ha sentito venire il suo Signore… Ecco, venite sicuri. Si gira di qui… Ecco là le macerie della torre di Davide. Oh! cara a me più di una reggia! Benedette rovine! Benedetto rio! Benedetta pianta che come per miracolo ti spogliasti, col vento, di tanti rami perché noi trovassimo legna e potessimo far fuoco!».
   Maria scende svelta verso la grotta, valica il piccolo rio su una tavola che fa da ponte, corre sullo spiazzo che è davanti alle macerie e cade in ginocchio sulla soglia della grotta, si curva e ne bacia il suolo. La seguono tutti gli altri. Sono commossi… Il bambino, che non la lascia un istante, sembra che ascolti una meravigliosa storia, e i suoi occhietti neri bevono parole e gesti di Maria non perdendone uno solo.
   Maria si rialza ed entra dicendo:
   «Tutto, tutto come allora!… Ma allora era notte… Giuseppe fece lume al mio entrare. Allora, solo allora, smontando dall’asinello, sentii quanto ero stanca e gelata… Un bue ci salutò, andai ad esso, per sentire un poco di calore, per appoggiarmi al fieno… Giuseppe qui, dove io sono, stese il fieno a farmi letto e lo asciugò per me come per Te, Figlio, alla fiammata accesa in quell’angolo… perché era buono come un padre nel suo amore di sposo-angelo… E tenendoci per mano, come due fratelli spersi nel buio della notte, mangiammo il nostro pane e cacio, e poi egli andò là, ad alimentare il fuoco, levandosi il mantello per fare ostacolo all’apertura… In realtà calò il velo davanti alla gloria di Dio che scendeva dai Cieli, Tu, mio Gesù… ed io stetti sul fieno, al tepore dei due animali, ravvolta nel mio mantello e con la coperta di lana… Caro sposo mio!… In quell’ora trepida in cui ero sola davanti al mistero della prima maternità, sempre colma di ignoto per una donna, e per me, nella mia unica maternità, colma anche del mistero di che sarebbe stato vedere il Figlio di Dio emergere da carne mortale, egli, Giuseppe, mi fu come una madre, un angelo fu… il mio conforto… allora, sempre…

   207.6 E poi il silenzio e il sonno che caddero ad avviluppare il Giusto… perché non vedesse ciò che era per me il quotidiano bacio di Dio… E per me, dopo l’intermezzo delle umane necessità, ecco le onde smisurate dell’estasi, venienti dal mare paradisiaco, e che mi sollevavano di nuovo sulle creste luminose sempre più alte, portandomi su, su, con loro, in un oceano di luce, di luce, di gioia, di pace, di amore, fino a trovarmi persa nel mare di Dio, del seno di Dio… Una voce dalla Terra, ancora: “Dormi, Maria?”. Oh! così lontana!… Un’eco, un ricordo della Terra!… E così debole che l’anima non si scuote, e non so con che rispondo, mentre salgo, salgo ancora in questo abisso di fuoco, di beatitudine infinita, di preconoscimento di Dio… fino a Lui, a Lui… Oh! ma sei Tu che mi sei nato, o sono io che sono nata dai trini Fulgori, quella notte? Sono io che ho dato Te, o Tu mi hai aspirata per darmi? Non so… E poi la discesa, di coro in coro, di astro in astro, di strato in strato, dolce, lenta, beata, placida come quella di un fiore portato in alto da un’aquila e poi lasciato andare, e che scende lentamente, sull’ali dell’aria, fatto più bello per una gemma di pioggia, per un briciolo di arcobaleno rapito al cielo, e si ritrova sulla zolla natia… Il mio diadema: Tu! Tu sul mio cuore…
   Seduta qui, dopo averti adorato in ginocchio, ti ho amato. Finalmente ti ho potuto amare senza barriere di carne, e da qui mi sono mossa per portarti all’amore di quello che come me era degno d’amarti fra i primi. E qui, fra queste due rustiche colonne, ti ho offerto al Padre. E qui Tu hai riposato per la prima volta sul cuore di Giuseppe… E poi ti ho fasciato e insieme ti abbiamo deposto qui… Io ti cullavo mentre Giuseppe asciugava il fieno alla fiamma e lo teneva caldo poi mettendolo sul suo petto, e poi lì, ad adorarti tutti e due, così, così, curvi su Te come io ora, a bere il tuo respiro, a vedere a che annichilimento può condurre l’amore, a piangere le lacrime che si piangono certo in Cielo per la gioia inesausta di vedere Dio».

   207.7 Maria, che è andata e venuta nella sua rievocazione, accennando i posti, affannata d’amore, con un bagliore di pianto nell’occhio azzurro e un sorriso di gioia sulla bocca, si curva realmente sul suo Gesù, che si è seduto su un grosso sasso mentre Lei rievoca, e lo bacia fra i capelli, piangendo, adorando come allora… «E poi i pastori… essi dentro, qui, ad adorare col loro animo buono e col gran sospiro della Terra che entrava con loro, nel loro odore di umanità, di greggi, di fieni; e fuori, e ovunque, gli angeli, ad adorarti col loro amore, i loro canti non ripetibili da creatura umana, e con l’amore dei Cieli, con l’aere dei Cieli che entrava con essi, che portavano essi, fra i loro fulgori… La tua nascita, benedetto!…».
   Maria si è inginocchiata a fianco del Figlio e piange di emozione col capo piegato sui ginocchi di Lui. Nessuno osa parlare per qualche tempo. Più o meno emozionati i presenti si guardano intorno, come se fra le ragnatele e le pietre scabre sperassero vedere dipinta la scena descritta… Maria si riprende e dice: «Ecco, io ho detto la infinitamente semplice e infinitamente grande nascita del Figlio mio. Con il mio cuore di donna, non con sapienza di maestro. Altro non c’è, perché fu la cosa più grande della Terra, nascosta sotto le apparenze più comuni».

   207.8 «Ma il giorno dopo? E poi ancora?», chiedono in molti, fra cui le due Marie.
   «Il giorno dopo? Oh! molto semplice! Fui la madre che dà il latte al suo bambino e che lo lava e fascia come tutte le madri fanno. Scaldavo l’acqua presa al rio sul fuoco acceso lì fuori, perché il fumo non facesse piangere due occhietti azzurri, e poi nell’angolo più riparato, in un vecchio mastello, lavavo la mia Creatura e la mettevo in panni freschi. E al rio andavo a lavare i pannolini e li stendevo al sole… e poi, gioia fra le gioie, mettevo Gesù alla mammella, e Lui succhiava divenendo più colorito, e felice… Il primo giorno, nell’ora più calda, andai a sedermi lì fuori per vederlo bene. Qui la luce filtra, non entra, e lume e fiamma davano bizzarri aspetti alle cose. Andai lì fuori, al sole… e guardai il Verbo incarnato. La Madre ha allora conosciuto il Figlio e la serva di Dio il suo Signore. E fui donna e adoratrice… Poi la casa di Anna… i giorni alla tua cuna, i primi passi, la prima parola… Ma questo fu poi, a suo tempo… E nulla, nulla fu pari all’ora del tuo nascere… Solo al ritorno a Dio io ritroverò quella pienezza…».
   «Ma però… partire così all’ultimo! Che imprudenza! Perché non attendere? Il decreto prevedeva un termine prolungato per casi eccezionali quali nascite o malattie. Alfeo lo disse…», dice Maria d’Alfeo.
   «Attendere? Oh! no! Quella sera, quando Giuseppe portò la notizia, io e Te, Figlio, balzammo di gioia. Era la chiamata… perché qui, qui solo Tu dovevi nascere come i Profeti avevano detto; e quel decreto improvviso fu come un Cielo pietoso che annullasse a Giuseppe anche il ricordo del suo sospetto. Era quello che attendevo, per Te, per lui, per il mondo giudaico e per il mondo futuro, fino alla fine dei secoli. Era detto[85]. E come era detto, fu. Attendere! Può la sposa mettere attesa al suo sogno nuziale? Perché attendere?».
   «Ma… per tutto quello che poteva accadere…», dice ancora Maria d’Alfeo.
   «Non avevo alcun timore. Mi riposavo in Dio».
   «Ma lo sapevi che tutto sarebbe andato così?».
   «Nessuno me lo aveva detto, ed io non vi pensavo affatto, tanto che per rincuorare Giuseppe lasciai dubitare a lui e a voi che ancora vi fosse tempo alla nascita. Ma io sapevo, questo lo sapevo, che nella festa delle luci la Luce del mondo sarebbe nata».
   «Tu piuttosto, madre, perché non hai accompagnato Maria?
   E il padre perché non vi pensò? Dovevate bene venire voi pure qui! Non vi venimmo tutti?», chiede severo Giuda Taddeo.
   «Tuo padre aveva deciso di venire dopo l’Encenie e lo disse al fratello. Ma Giuseppe non volle aspettare».
   «Ma tu almeno…», ribatte ancora il Taddeo.
   «Non la rimproverare, Giuda. Di comune accordo trovammo giusto calare un velo sul mistero di questa nascita».
   «Ma Giuseppe sapeva che sarebbe avvenuta con quei segni?
   Se tu non lo sapevi, poteva saperlo lui?».
   «Non sapevamo nulla, fuorché che Egli doveva nascere».
   «E allora?».
   «E allora la Sapienza divina ci guidò così, come era giusto.
   La nascita di Gesù, la sua presenza nel mondo, doveva apparire priva di tutto quanto fosse di stupendo e che avrebbe aizzato Satana… E voi vedete che l’astio attuale di Betlemme al Messia è una conseguenza della prima epifania del Cristo. Il livore demoniaco usò della rivelazione per fare spargere sangue, e per spargere, per il sangue sparso, odio.

   207.9 Sei contento, Simone di Giona, che non parli e quasi non respiri?».
   «Tanto… tanto che mi pare di essere fuori del mondo, in un luogo ancor più santo che se fossi oltre il Velario del Tempio… Tanto che… che ora che ti ho vista in questo luogo e con la luce di allora, io tremo di averti trattata, con rispetto, sì, ma come una grande donna, sempre donna. Ora… ora io non oserò più dirti come prima: “Maria”. Prima eri per me la Mamma del mio Maestro. Ora, ora ti ho vista sulla cima di quelle onde celesti, Regina ti ho vista, e io, miserabile, faccio così, da quello schiavo che sono», e si butta a terra baciando i piedi di Maria.
   Gesù parla, ora: «Simone, alzati. Vieni qui, ben vicino a Me». Pietro va alla sinistra di Gesù, perché Maria è a destra.
   «Che siamo ora noi?», chiede Gesù.
   «Noi? Ma siamo Gesù, Maria e Simone».
   «Va bene. Ma quanti siamo?».
   «Tre, Maestro».
   «Una trinità, allora. Un giorno[86] in Cielo, nella divina Trinità * venne un pensiero: “Ora è tempo che il Verbo vada sulla Terra”, e in un palpito d’amore il Verbo venne sulla Terra. Si separò perciò dal Padre e dallo Spirito santo. Venne ad operare sulla Terra. In Cielo i Due rimasti contemplarono le opere del Verbo, rimanendo più uniti che mai per fondere Pensiero e Amore in aiuto della Parola operante sulla Terra. Verrà un giorno che dal Cielo verrà un ordine: “È tempo che Tu torni perché tutto è compiuto”, e allora il Verbo tornerà ai Cieli, così… (e Gesù si ritira un passo indietro lasciando Maria e Pietro dove erano) e dall’alto dei Cieli contemplerà le opere dei due rimasti sulla Terra, i quali, per movimento santo, si uniranno più che mai, per fondere potere e amore e farne mezzo per compiere il desiderio del Verbo: la redenzione del mondo attraverso il perpetuo insegnamento della sua Chiesa. E il Padre, il Figlio e lo Spirito santo faranno dei loro raggi una catena per stringere, stringere sempre più i due rimasti sulla Terra: mia Madre, l’amore; tu, il potere. Dovrai bene, perciò, trattare Maria da regina, sì, ma non da schiavo. Non ti pare?».
   «Mi pare tutto quello che Tu vuoi. Sono annichilito! Io il potere? Oh! se devo essere il potere, allora sì che mi devo appoggiare a Lei! Oh! Madre del mio Signore, non mi abbandonare, mai, mai, mai…».
   «Non avere paura. Ti terrò sempre per mano così, come facevo col mio Bambino finché non fu capace di andare da solo».
   «E dopo?».
   «E dopo ti sorreggerò con la preghiera. Su, Simone. Non dubitare mai del potere di Dio. Non ne dubitai io, e non Giuseppe. Neppure tu devi dubitare. Dio dà gli aiuti ora per ora, se rimaniamo umili e fedeli…

   207.10 Ora venite qui fuori, presso il rio, all’ombra dell’albero buono che, se fosse più inoltrata l’estate, vi darebbe le sue mele oltre che l’ombra; venite. Mangeremo prima di andare… Dove, Figlio mio?».
   «A Jala. È vicino. E domani andremo a Betsur».
   Si siedono all’ombra del melo e Maria si mette proprio contro il tronco robusto.
   Bartolomeo fissamente la guarda, così giovane e ancora animata celestialmente dalla rievocazione fatta, accettare dal Figlio il cibo che Egli ha benedetto e sorridergli con occhi d’amore, e mormora: «“All’ombra di lui mi sono assisa e il suo cibo è dolce al mio palato”».
   Gli risponde Giuda Taddeo: «È vero. Languente ella è d’amore. Ma non si può certo dire che “sotto un melo fu risvegliata”».
   «E perché no, fratello? Che ne sappiamo noi dei segreti del Re?», risponde Giacomo di Alfeo.
   E Gesù sorridendo: «La nuova Eva è stata concepita dal Pensiero ai piedi del paradisiaco pomo perché del suo riso e del suo pianto fugasse il serpente e disintossicasse l’attossicato frutto. Lei si è fatta albero dal frutto redentore. Venite, amici, e mangiatene. Perché nutrirsi della sua dolcezza è nutrirsi del miele di Dio».
   «Maestro, rispondi ad un mio antico desiderio di sapere. Il Cantico che noi stiamo citando[87] prevede Lei?», chiede piano Bartolomeo mentre Maria si occupa del bambino e parla con le donne.
   «Dal principio del Libro si parla di Lei, e di Lei si parlerà nei libri futuri finché la parola dell’uomo si muterà nel sempiterno osanna della eterna Città di Dio», e Gesù si volge alle donne.
   «Come si sente che è di Davide! Che sapienza, che poesia!», dice lo Zelote parlando coi compagni.

   207.11 «Ecco», interloquisce l’Iscariota che, ancora sotto l’impressione del giorno avanti, poco parla pur cercando di mettersi nella libertà che aveva prima, «ecco, io vorrei capire perché dovette proprio avvenire l’Incarnazione. Solo Dio può parlare in modo da sconfiggere Satana. Solo Dio può avere potere di redenzione. E non lo metto in dubbio. Però, ecco, mi pare che il Verbo poteva avvilirsi meno di quanto abbia fatto nascendo come tutti gli uomini, assoggettandosi alle miserie dell’infanzia e così via. Non avrebbe potuto apparire con forma umana, già adulto, in apparenza di adulto? O, se proprio voleva una madre, scegliersela, ma adottiva, come fece per il padre? Mi pare che una volta gliene chiesi, ma non mi rispose ampiamente, o non lo ricordo io».
   «Chiediglielo! Posto che siamo in argomento…», dice Tommaso.
   «Io no. L’ho fatto inquietare e ancora non mi sento perdonato. Chiedeteglielo voi per me».
   «Ma scusa! Noi accettiamo tutto senza tante delucidazioni, e dobbiamo essere noi a fare domande? Non è giusto!», rimbecca Giacomo di Zebedeo.
   «Cosa è che non è giusto?», domanda Gesù.
   Un silenzio, poi lo Zelote si fa interprete di tutti e ripete le domande di Giuda di Keriot e le risposte degli altri.
   «Io non serbo rancore. Questo per prima cosa. Faccio le osservazioni che devo, soffro e perdono. Questo per chi ha paura, frutto ancora del suo turbamento. Riguardo alla Incarnazione reale da Me fatta, dico: è giusto che così sia stato. In futuro molti e molti cadranno in errori sulla mia Incarnazione, prestandomi appunto le erronee forme che Giuda vorrebbe avessi preso. Uomo apparentemente compatto nel corpo, ma in realtà fluido come giuoco di luce, per cui sarei e non sarei una carne. E sarebbe e non sarebbe una maternità quella di Maria. In verità Io sono una carne e in verità Maria è la Madre del Verbo incarnato. Se l’ora della nascita non fu che un’estasi, è perché Ella è la nuova Eva senza peso di colpa e senza eredità di castigo. Ma non ci fu avvilimento in Me a riposare in Lei. Era forse avvilita la manna chiusa nel Tabernacolo? No, anzi ne era onorata per essere in quella dimora. Altri diranno che Io, non essendo carne reale, non patii e non morii durante la mia sosta sulla Terra. Sì, non potendo negare che Io ci fui, si negherà la mia Incarnazione reale o la mia Divinità vera. No, che in verità Io sono Uno col Padre in eterno, e Io sono unito a Dio come Carne, perché in verità si può che l’Amore abbia raggiunto l’irraggiungibile nella sua Perfezione rivestendosi di Carne per salvare la carne. A tutti questi errori risponde la mia intera vita, che dà sangue dalla nascita alla morte, e che si è assoggettata a tutto quanto è comune all’uomo, fuorché al peccato. Nato, sì, da Lei. E per vostro bene. Voi non sapete quanto si tempera la Giustizia da quando ha la Donna a sua collaboratrice. Ti ho fatto contento, Giuda?».
   «Sì, Maestro».
   «Fa’ tu l’altrettanto con Me».
   L’Iscariota curva il capo confuso e forse anche realmente toccato da tanta bontà.
   La sosta si prolunga all’ombra fresca del melo. Chi dorme e chi sonnecchia. Ma Maria si alza e torna nella grotta, e Gesù la segue…

[84] il pane di cui hai il nome, poiché Betlemme significa casa del pane.
[85] era detto, in: Michea 5, 1-2; il decreto era l’editto del censimento, come si è visto in 27.2.
[86] Un giorno… Allo scopo di stabilire un parallelismo fra Trinità celeste (Padre, Figlio, Spirito santo) e Trinità terrena (Gesù, Maria, Pietro), il discorso deve qui ricorrere all’espediente di attribuire a Dio pensieri e comportamenti umani, configurando separazioni e riunioni tra le Persone divine. Non si vuole, con ciò, negare l’unione ipostatica per la quale il Verbo – così annota MV su una copia dattiloscritta –, essendo realmente nella carne del Figlio di Dio e di Maria, non cessò d’essere Uno col Padre e quindi con l’Amore; non cessò d’essere il Santo dei Santi, perché tale era per divina Natura e tale fu nella Natura umana, per Grazia e per Volontà perfettissime. La presente nota, insieme con il testo di 207.11, 324.3, 567.17, 630.21 e 634.11, e con le note messe in 54.5, 68.1, 342.5 e 346.5, può servire ad interpretare rettamente anche le espressioni che leggiamo in: 62.2 (per unirmi al Padre) - 62.4 (ero nel Padre) - 123.5 (ho lasciato il Cielo) - 126.1 (Non mio, di Colui che mi ha mandato) - 126.10 - 128.2 (No Io. Dio) - 129.3 (In Cielo è Dio. Lui adora e va’ verso di Lui) - 249.4 - 254.3 (andrebbe chiesto a Colui che li fece) - 272.2 - 287.6 (A Dio. Non al suo Servo) - 298.6 (non da Me ma dal Padre) 317.5 - 371.6 - 399.4 (ha lasciato il Padre) - 452.11 - 479.2 (Egli torna al Padre) 487.9 - 517.2 (una parte dell’unione che ho lasciato) - 534.8 (la Sapienza ha lasciato i Cieli) - 600.21 (ho lasciato il Padre) - 618.5 (Io non sono più diviso dal Padre) - 632.34 (ha lasciato il Cielo) - 637.6 (ho lasciato il Cielo) - 642.9 - ecc. Da notare, infine, il concetto espresso dalla scrittrice nel testo di 474.2/3: la Divinità, sempre unita ipostaticamente a Gesù-Uomo, non sempre era sensibile all’Uomo-Redentore, il quale doveva sperimentare anche questo dolore.
[87] stiamo citando, da: Cantico dei cantici 2, 3-5; 8, 5.