MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MAGGIORE

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VOLUME V CAPITOLO 328



CCCXXVIII. Ad Alessandroscene, dai fratelli di Ermione.

   12 novembre 1945.

   328.1La strada è nuovamente raggiunta dopo un lungo giro per i campi e dopo aver superato il torrente su un ponticello di tavole cigolanti, capace proprio di servire solo al passaggio di persone: una passerella più che un ponte.
   E la marcia continua per la pianura, che si restringe sempre più per l’avanzarsi delle colline verso il litorale, tanto che dopo un altro torrente, con l’indispensabile ponte romano, la strada in pianura diviene strada nel monte, biforcandosi al ponte con una meno ripida che si dilunga verso nord-est per una valle, mentre questa, scelta da Gesù, secondo l’indicazione del cippo romano: “Alessandroscene — m.V°”, è una vera e propria scala nel monte roccioso ed erto che tuffa il muso aguzzo nel Mediterraneo, che sempre più si spiega alla vista man mano che si sale. Solo pedoni e somarelli percorrono quella via, quella gradinata, sarebbe meglio detto. Ma, forse perché raccorciante di molto, la strada è anche molto battuta e la gente osserva curiosa il gruppo galileo, così insolito, che la percorre.
   «Questo deve essere il capo della Tempesta», dice Matteo indicando il promontorio che si spinge in mare.
   «Sì, ecco lì sotto il paese dal quale ci parlò[51] il pescatore», conferma Giacomo di Zebedeo.
   «Ma chi avrà fatto questa strada?».
   «Chissà da quando c’è! Opera fenicia forse…».
   «Dalla vetta vedremo Alessandroscene oltre la quale è il capo Bianco. Vedrai molto mare, Giovanni mio!», dice Gesù ponendo un braccio intorno alle spalle dell’apostolo.
   «Ne sarò contento. Ma fra poco è notte. Dove sosteremo?».
   «Ad Alessandroscene. Vedi? La strada già scende. Giù è pianura fino alla città che si vede là, in basso».

   328.2«È la città della donna di Antigonio… Come potremmo fare ad accontentarla?», dice Andrea.
   «Sai, Maestro? Ella ci ha detto: “Andate in Alessandroscene. I fratelli miei hanno empori là e proseliti sono. Fate che sappiano del Maestro. Siamo figli di Dio anche noi…”, e piangeva perché è poco sopportata come nuora… di modo che mai i fratelli vanno a lei e lei non sa di loro…», spiega Giovanni.
   «Cercheremo i fratelli della donna. Se ci accoglieranno come pellegrini, avremo modo di accontentarla…».
   «Ma come si fa a dire che l’abbiamo vista?».
   «È dipendente di Lazzaro. Noi siamo amici di Lazzaro», dice Gesù.
   «È vero. Parlerai Tu…».
   «Sì. Ma affrettate il passo per trovare la casa. Sapete dove è?».
   «Sì. Presso il Castro. Hanno molto contatto coi romani, ai quali vendono tante cose».
   «Sta bene».

   328.3Fanno velocemente la strada tutta piana, bella, una vera strada consolare che certo si congiunge con quelle dell’interno, o meglio, che certo prosegue verso l’interno dopo avere lanciato la sua propaggine rocciosa, a gradinate, lungo la costa, a cavaliere del promontorio.
   Alessandroscene è una città più militare che civile. Deve avere un’importanza strategica che io non conosco. Accucciata come è fra i due promontori, sembra una sentinella messa a guardia di quel pezzo di mare. Ora che l’occhio può guardare l’uno e l’altro capo, si vede che spesseggiano su essi le torri militari formanti catena con quelle del piano, della città, dove, verso la marina, troneggia il Castro imponente.
   Entrano nella città dopo aver superato un altro torrentello, sito proprio alle porte, e si dirigono verso la mole arcigna della fortezza guardandosi intorno curiosi ed essendo curiosamente osservati. I soldati sono molto numerosi e, sembra, anche in buoni rapporti con i cittadini, cosa che fa borbottare fra i denti agli apostoli: «Gente fenicia! Senza onore!».

   328.4Giungono ai magazzini dei fratelli di Ermione mentre gli ultimi avventori ne escono carichi delle più svariate merci, che vanno dai panni tessuti alle stoviglie e da queste a fieni e granaglie, oppure olio e cibarie. Odore di cuoi, di spezie, di pagliai, di lane grezze, empie l’ampio androne per il quale si accede nel cortile vasto come una piazza, sotto i portici del quale sono i diversi depositi.
   Accorre un uomo barbuto e bruno. «Che volete? Cibarie?».
   «Sì… e anche alloggio, se non ti sdegni alloggiare pellegrini. Veniamo da lontano e qui non fummo mai. Accoglici in nome del Signore».
   L’uomo guarda attentamente Gesù, che parla per tutti. Lo scruta… Poi dice: «Veramente io non do alloggio. Ma Tu mi piaci. Sei galileo, non è vero? Meglio i galilei dei giudei. Troppa muffa in loro. Non ci perdonano di avere sangue non puro. Farebbero meglio ad avere loro l’anima pura. Vieni, entra qui, ché ora vengo subito. Chiudo, ché ormai è notte».
   Infatti la luce è ormai crepuscolare, e lo è ancor più nel cortile dominato dal Castro potente.
   Entrano in una stanza e si siedono stanchi su dei sedili sparsi qua e là…
   Torna l’uomo con altri due, uno più vecchio, l’altro più giovane, e addita gli ospiti, che si alzano salutando, dicendo: «Ecco. Che ve ne pare? Mi sembrano onesti…».
   «Sì. Bene hai fatto», dice il più vecchio al fratello; e poi, rivolto agli ospiti, meglio, a Gesù che appare chiaramente essere il capo, chiede: «Come vi chiamate?».
   «Gesù di Nazaret, Giacomo e Giuda pure di Nazaret, Giacomo e Giovanni di Betsaida e così Andrea, più Matteo di Cafarnao».
   «Come mai qui siete? Perseguitati?».
   «No. Evangelizzanti. Abbiamo percorso più di una volta la Palestina dalla Galilea alla Giudea, dall’uno all’altro mare. E fin nell’Oltre Giordano, all’Auranite fummo. Ora siamo venuti qui… ad ammaestrare».
   «Un rabbi qui? Ci è stupore, non è vero, Filippo e Elia?», chiede il più vecchio.
   «Molto. Di che casta sei?».
   «Di nessuna. Sono di Dio. Credono in Me i buoni del mondo. Sono povero, amo i poveri, ma non disprezzo i ricchi ai quali insegno l’amore alla misericordia e il distacco dalle ricchezze, così come insegno ai poveri ad amare la loro povertà fidando in Dio che non lascia perire nessuno.

   328.5Fra gli amici ricchi e discepoli miei è Lazzaro di Betania…».
   «Lazzaro? Abbiamo una sorella sposata ad un suo servo».
   «Lo so. Per questo anche sono venuto. Per dirvi che ella vi saluta e vi ama».
   «L’hai vista?».
   «Non Io. Ma questi che con Me sono, mandati da Lazzaro ad Antigonio».
   «Oh! dite! Che fa Ermione? È proprio felice?».
   «Lo sposo e la suocera l’amano molto. Il suocero la rispetta…», dice Giuda Taddeo.
   «Ma non le perdona il sangue materno. Dillo».
   «Sta per perdonarglielo. Ci ha detto di lei grandi lodi. E ha quattro fanciulli molto belli e buoni. Ciò la fa felice. Ma vi ha sempre nel cuore e ha detto di venire a portarvi il Maestro divino».
   «Ma… come… Sei il… sei quello che chiamano il Messia, Tu?».
   «Lo sono».
   «Sei veramente il… Ci hanno detto a Gerusalemme che sei, che ti chiamano il Verbo di Dio. È vero?».
   «Sì».
   «Ma lo sei per quelli di là o per tutti?».
   «Per tutti. Potete credere che Io sono quello?».
   «Credere non costa nulla, molto più quando si spera che la cosa creduta possa levare ciò che fa soffrire».
   «È vero, Elia. Ma non dire così. È pensiero impuro molto, molto più del sangue misto. Rallegrati non nella speranza che cada ciò che ti fa soffrire come uomo del disprezzo altrui, ma rallegrati per la speranza di conquistare il Regno dei Cieli».
   «Hai ragione. Sono un mezzo pagano, Signore…».
   «Non te ne avvilire. Io amo anche te e anche per te sono venuto».

   328.6«Saranno stanchi, Elia. Tu li trattieni in discorsi. Andiamo alla cena e poi conduciamoli al riposo. Non ci sono donne qui… Nessuna d’Israele ci ha voluti e noi volevamo una di esse… Perdona perciò se la casa ti parrà fredda e spoglia».
   «Il vostro buon cuore me la farà ornata e calda».
   «Quanto ti trattieni?».
   «Non più di un giorno. Voglio andare verso Tiro e Sidone e vorrei essere ad Aczib avanti il sabato».
   «Non puoi, Signore! Lontana è Sidone!».
   «Domani vorrei parlare qui».
   «La nostra casa è come un porto. Senza uscire da essa avrai uditorio a tuo piacere, tanto più che domani è mercato grosso».
   «Andiamo, allora, e il Signore vi compensi della vostra carità».

[51] ci parlò, nel viaggio in barca da Tolemaide a Tiro, in 318.5. La donna di Antigonio, menzionata dieci righe più sotto, è Ermione, incontrata in 323.8.