MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MAGGIORE

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VOLUME V CAPITOLO 299



CCXCIX. L’affidamento degli orfanelli Maria a Mattia a Giovanna di Cusa.

   11 ottobre 1945.

   299.1 Il lago di Tiberiade è tutto una scaglia bigia. Pare mercurio appannato, così pesante come è nella calmeria che appena permette un accenno di flutto stanco, che non riesce a fare spuma, e si ferma e placa dopo aver accennato di muoversi, uniformandosi alle altre acque senza splendore sotto un cielo senza splendore.
   Pietro e Andrea intorno alla loro barca, Giacomo e Giovanni presso la loro, preparano sulla breve spiaggetta di Betsaida la partenza. Odore di erbe e di zolle sature d’acqua, lievi nebbie sulle distese erbose verso Corozim. Tristezza di novembre su tutte le cose.

   299.2 Gesù esce dalla casa di Pietro avendo per mano i piccoli Mattia e Maria, che la mano di Porfirea ha ravviati con cura materna sostituendo la vesticciuola di Maria con una di Marziam. Ma Mattia è troppo piccino per godere la stessa grazia e trema ancora nella sua sbiadita tunichella di cotone, tanto che Porfirea, pietosa, torna in casa e ne esce con un pezzo di coperta e vi avvolge il bambino come se la coperta fosse un mantello. Gesù la ringrazia mentre ella si inginocchia nel commiato e si ritira dopo un ultimo bacio ai due orfanelli.
   «Pur di avere dei bambini, quella lì avrebbe preso anche questi», commenta Pietro, che ha osservato la scena e che a sua volta si china ad offrire ai due bambini un pezzo di pane cosparso di miele che teneva in serbo sotto un sedile della barca, cosa che fa ridere Andrea che dice: «E tu no, eh? Hai persino rubato il miele a tua moglie per dare un poco di gioia a questi due».
   «Rubato! Rubato! È miele mio!».
   «Sì, ma la cognata mia ne è gelosa perché è di Marziam. E tu, che lo sai, sei penetrato scalzo come un ladro in cucina questa notte a prenderne quel tanto da preparare quel pane. Ti ho visto, fratello, e ho riso perché ti guardavi intorno come un bambino che teme gli schiaffi materni».
   «Brutto spione», ride Pietro abbracciando suo fratello, che a sua volta lo bacia dicendo: «Caro fratellone mio!».
   Gesù osserva e sorride apertamente, stando fra i due bambini che divorano il loro pane.

   299.3 Dall’interno di Betsaida giungono gli altri otto apostoli.
   Forse erano ospiti di Filippo e Bartolomeo.
   «Svelti!», urla Pietro e prende in un unico abbraccio i due bambini per portarli nella barca senza che si bagnino i piedini nudi. «Non avete paura, vero?», chiede mentre guazza nell’acqua con le sue gambe corte e robuste, nudo come è fino ad un buon palmo sopra il ginocchio.
   «No, signore», dice la bambina, ma si stringe convulsamente al collo di Pietro chiudendo gli occhi quando questo la mette nella barca, che ondeggia sotto il peso di Gesù che vi monta a sua volta. Il bambino, più coraggioso, o più stupito, non parla neppure.
   Gesù si siede attirandosi a Sé i due piccini, ricoprendoli col mantellone che sembra un’ala stesa a proteggere due pulcini.
   Sei in una barca, sei nell’altra, sono tutti a bordo. Pietro leva l’asse di approdo e dà un potente colpo di mano per spingere la barca più in acqua e con un ultimo salto ne scavalca il bordo, imitato da Giacomo per la sua barca. L’atto di Pietro ha fatto molto ondulare la barca, e la piccola geme: «Mamma!», nascondendo il viso sul grembo di Gesù e abbrancandone i ginocchi. Ma ormai l’andare è dolce, sebbene sia faticoso per Pietro, Andrea e il garzone, che devono remare aiutati da Filippo che fa da quarto. La vela pende fiacca nella calmeria pesante e umida, e non serve. Devono lavorare di remi.
   «Una bella vogata!», urla Pietro a quelli della barca gemella, nella quale fa da quarto l’Iscariota con una voga perfetta che Pietro loda.
   «Forza, Simone!», risponde Giacomo. «Forza o ti vinceremo. Giuda è forte come un delle galere. Bravo Giuda!».
   «Sì. Ti faremo capo ciurma», conferma Pietro che voga per due. E ride dicendo: «Però a Simone di Giona non ce la fate a strappare il primato. A venti anni ero già capo remo nelle scommesse fra i vari paesi», e allegro dà la voga alla sua ciurma:
   «Oh!… issa! Oh!… issa!». Le voci vanno sul silenzio del lago deserto nell’ora mattutina.

   299.4 I bambini si rinfrancano. Sempre da sotto il mantello alzano le faccine smunte, una di qua, l’altra di là del Maestro, che li tiene abbracciati, e hanno una larva di sorriso. Si interessano al lavoro dei rematori. Si scambiano commenti.
   «Pare di andare su un carro senza ruote», dice il bambino.
   «No. Su un carro sulle nuvole. Guarda! Pare di camminare sul cielo. Ecco, ecco che montiamo su una nuvola!», dice Maria vedendo che la barca immerge la punta in un luogo che rispecchia un nuvolone bambagioso. E ride lievemente.
   Ma il sole rompe la foschia e, per quanto sia un pallido sole di novembre, le nuvole si fanno d’oro e il lago le specchia brillando. «Oh! bello! Ora andiamo sul fuoco. Oh! bello! bello!».
   Il bambino batte le mani.
   Ma la bambina tace, e poi scoppia in pianto. Tutti le chiedono perché quel pianto. Fra i singhiozzi spiega: «La mamma diceva una poesia, un salmo, non so, per tenerci buoni, perché noi potessimo pregare ancora con tanto dolore… e diceva quella poesia di un Paradiso che sarà come un lago di luce, di dolce fuoco dove non ci sarà che Dio e gioia e dove andranno tutti quelli che sono buoni… dopo che sarà venuto il Salvatore… Questo lago d’oro me lo ha fatto ricordare… La mia mamma!». Piange anche Mattia. E tutti compiangono.

   299.5 Ma si alza, sul mormorio delle voci diverse e sul lamento degli orfanelli, la dolce voce di Gesù: «Non piangete. La vostra mamma vi ha condotti da Me ed è qui con noi mentre vi porto da una mamma senza bambini. Sarà così contenta di avere due buoni bambini al posto del suo, che è dove è la vostra mamma. Perché anche lei ha pianto, sapete? Le è morto il piccolino come a voi è morta la mamma…».
   «Oh! allora noi andiamo da lei e il suo bambino andrà dalla mamma nostra!», dice Maria.
   «Proprio così. E sarete tutti felici».
   «Come è questa donna? Che fa? È contadina? Ha un buon padrone?». I piccoli si interessano.
   «Non è contadina, ma ha un giardino pieno di rose ed è buona come un angelo. Ha un buon marito. Vi vorrà bene anche lui».
   «Lo credi, Maestro?», chiede un po’ incredulo Matteo.
   «Ne sono certo. E ve ne persuaderete. Tempo fa Cusa voleva Marziam per farne un cavaliere».
   «Ah! questo poi no!», urla Pietro.
   «Marziam sarà un cavaliere di Cristo. Questo solo, Simone. Sta’ quieto».
   Il lago si rifà bigio. Si alza un poco di vento che corruga il lago. La vela si tende, la barca fila vibrando. Ma i bambini sono così sognanti la nuova mamma che non sentono paura.

   299.6 Passa Magdala con le sue case bianche fra il verde. Passa la campagna fra Magdala e Tiberiade. Si mostrano le prime case di Tiberiade.
   «Dove, Maestro?».
   «Al porticciuolo di Cusa».
   Pietro vira e dà ordini al garzone. La vela cade mentre la barca accosta al piccolo porto e poi vi si addentra, fermandosi contro il moletto, seguita dall’altra. Sono ferme l’una presso l’altra come due anitrelle stanche. Scendono tutti e Giovanni corre avanti a dar voce ai giardinieri.
   I piccoli si stringono intimoriti a Gesù, e Maria chiede in un sospiro, tirando la veste di Gesù: «Ma sarà proprio buona?».
   Torna Giovanni: «Maestro, un servo sta aprendo il cancello.
   Giovanna è già alzata».
   «Va bene. Attendete tutti qui. Vado avanti».
   E Gesù si avvia solo. Gli altri lo guardano andare facendo commenti più o meno favorevoli al passo che tenta Gesù. Non mancano dubbi né critiche. Ma dal luogo dove sono essi non vedono che l’accorrere di Cusa, che si inchina fino a terra sulla soglia del cancello e che poi si inoltra nel giardino alla sinistra di Gesù. Poi non si vede altro.

   299.7 Ma io vedo. Vedo Gesù che procede lento a fianco di Cusa, che mostra tutta la sua gioia di averlo ospite: «Giovanna mia ne sarà molto felice. E io pure. Sta sempre meglio. Mi ha detto del viaggio. Che trionfi, mio Signore!».
   «Non te ne sei doluto?».
   «Giovanna è felice. Io sono felice di vederla tale. Potevo non averla più da mesi, Signore».
   «Potevi… E Io te l’ho restituita. Sappi esserne grato a Dio». Cusa lo guarda interdetto… poi mormora: «Un rimprovero, Signore?».
   «No. Un consiglio. Sii buono, Cusa».
   «Maestro, sono servo di Erode…».
   «Lo so. Ma la tua anima non è serva di nessuno che Dio non sia, se tu lo vuoi».
   «È vero, Signore. Mi emenderò. Talora mi prende il rispetto umano…».
   «Lo avresti avuto lo scorso anno quando volevi salvare Giovanna?».
   «Oh! no. A costo di perdere ogni onore mi sarei rivolto a chi avessi pensato che la potesse salvare».
   «Fa’ ugualmente per la tua anima. È più preziosa ancora di Giovanna.

   299.8 Eccola che viene».
   Affrettano il passo verso lei che corre per il viale incontro a loro.
   «Maestro mio! Non speravo rivederti così presto. Quale tua bontà ti conduce alla discepola tua?».
   «Un bisogno, Giovanna».
   «Un bisogno? Quale? Parla e se potremo ti aiuteremo», dicono i due sposi insieme.
   «Ho trovato ieri sera su una via deserta due poveri bambini… una fanciullina e un bambinello… Scalzi, laceri, affamati, soli… e li ho visti scacciare come fossero lupi da un uomo dal cuore di lupo. Erano morenti di fame… A quell’uomo Io ho dato benessere lo scorso anno. Ed egli ha negato un pane a due orfani. Perché orfani sono. Orfani e per le vie del mondo crudele. Quell’uomo avrà la sua punizione. Volete voi avere la mia benedizione? Io vi tendo la mano, Mendico d’amore, per gli orfani senza casa, senza vesti, senza cibo, senza amore. Volete voi aiutarmi?».
   «Ma, Maestro, lo chiedi? Di’ che vuoi, quanto vuoi; tutto di’!…», dice Cusa impetuoso. E Giovanna non parla, ma con le mani strette sul cuore, una lacrima sulle lunghe ciglia, un sorriso di desiderio sulle rosse labbra, attende e parla più che se parlasse.
   Gesù la guarda e sorride: «Vorrei che quei bambini avessero una mamma, un padre, una casa. E che la mamma avesse nome Giovanna…».
   Non fa a tempo a finire perché il grido di Giovanna è come quello di uno liberato da una prigione, mentre lei si prostra a baciare i piedi del suo Signore.
   «E tu, Cusa, che ne dici? Accogli in mio nome questi miei diletti, cari, oh! molto più cari di gioielli al mio cuore?».
   «Maestro, dove sono? Conducimi da loro e sul mio onore io ti giuro che dal momento che poserò la mano sul loro capo innocente li amerò da vero padre in tuo nome».
   «Venite, allora. Io lo sapevo di non venire per nulla. Venite.
   Sono rozzi, spauriti, ma buoni. Fidatevi di Me che vedo i cuori ed il futuro. Essi daranno pace e unione alla vostra unione, non tanto ora ma in futuro. Nel loro amore vi ritroverete. I loro innocenti abbracci saranno la miglior calcina per la vostra casa di sposi. E il Cielo sarà su voi benigno, misericordioso sempre per questa vostra carità. Sono fuori del cancello. Veniamo da Betsaida…».
   Giovanna non ascolta altro. Corre avanti, presa dalla smania di accarezzare bambini. E lo fa cadendo a ginocchi per stringersi sul seno i due orfanelli baciandoli sulle gotine smunte, mentre essi guardano stupiti la bella signora dalle vesti ingioiellate. E guardano Cusa che li carezza e prende in braccio Mattia. E guardano lo splendido giardino e i servi che accorrono… E guardano la casa che apre i suoi vestiboli pieni di ricchezze a Gesù e ai suoi apostoli. E guardano Ester che li copre di baci. Il mondo dei sogni si è aperto ai piccoli sperduti…
   Gesù osserva e sorride…