MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MAGGIORE

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VOLUME VI CAPITOLO 397



CCCXCVII. Discorso di commiato ai fedeli di Jutta.­

   5 marzo 1946.

   397.1Gesù parla in una quieta mattina al popolo di Jutta. Oh! si può proprio dire che tutta Jutta è ai suoi piedi. Anche i pastorelli, di solito sparsi per i dossi dei monti, sono lì, ai margini della folla con le loro pecorelle. Anche quelli che di solito vanno altrove, ai campi, ai boschi, ai mercati, sono lì. E lì sono i vecchi cadenti, e lì, proprio intorno a Gesù, i piccoli ridenti, e lì le fanciulle, e lì le spose novelle, e lì le prossime a dare alla luce una creatura, e lì quelle che l’hanno al seno. Tutta Jutta.
   Lo sperone di monte che si protende verso il sud è l’anfiteatro che accoglie questa serena accolta di gente. Seduti sull’erba o a cavalcioni del muretto a secco, con l’ampio orizzonte intorno, il cielo sconfinato sopra, il torrente in basso, che ride e scintilla al sole mattutino, la bellezza dei monti erbosi, boschivi, che sorgono da ogni lato, essi, quei di Jutta, ascoltano il Maestro che parla, ritto in piedi, addossato ad un noce altissimo, bianco nella veste di lino contro il tronco scuro, sorridente nel volto, gli occhi accesi della gioia d’essere amato, i capelli accesi dal sole che lo carezza da oriente. In un silenzio riverente, attento, rotto solo dai canti degli uccelli e dalla voce del torrente là in basso, le sue parole scendono lente nei cuori, e la voce perfetta empie l’aria tranquilla della sua musicalità.
   Sta ripetendo, mentre io scrivo, ancora una volta la necessità di ubbidire al Decalogo, perfezionato, nella sua applicazione nei cuori, dalla sua dottrina d’amore «per edificare negli spiriti la dimora dove il Signore abiterà fino al giorno in cui coloro che hanno vissuto fedeli alla Legge andranno ad abitare in Lui nel Regno dei Cieli». Così dice. E prosegue:
   «Perché così è. La inabitazione di Dio negli uomini e degli uomini in Dio si fa con l’ubbidienza alla sua Legge, che si inizia con un comando d’amore e che è tutta amore dal primo all’ultimo precetto del Decalogo. Questa è la vera casa che Dio vuole, in cui Dio abita, e il premio del Cielo, avuto per l’ubbidienza alla Legge, è la vera casa in cui voi abiterete con Dio, in eterno. Perché — ricordate Isaia nel suo 56° capo[75] — Dio non ha dimora sulla Terra, che è sgabello, solo sgabello alla sua immensità, e ha per suo trono il cielo che è sempre piccolo, un nulla, a contenere l’Infinito, ma l’ha nel cuore degli uomini.
   Solo la perfettissima bontà del Padre di ogni amore può concedere ai suoi figli di accoglierlo; ed è infinito mistero, che sempre più si perfeziona, questo potere essere il Dio uno e trino, il purissimo triniforme Spirito, nel cuore degli uomini. Oh! quando, quando, o Padre santo, Tu mi darai di fare, di questi che ti amano, non più, non più solo un tempio allo Spirito nostro, ma, per la tua perfezione d’amore e di perdono, un tabernacolo, facendo di ogni cuore fedele l’arca in cui sia il vero Pane del Cielo, come lo fu nel seno della Benedetta fra tutte le donne?

   397.2­Oh! amatissimi discepoli di Jutta che mi fu preparata da un giusto, abbiate alla mente il profeta e ciò che dice, ed è il Signore che parla, rivolgendosi a coloro che edificano vuoti templi di pietra, in cui non è giustizia e amore, e non sanno edificare in sé il trono del loro Signore coll’ubbidienza ai suoi comandi. Dice il profeta: “Che è questa casa che voi mi edificherete, e che è questo luogo del mio riposo?”. E vuol dire: “Credete di avermi perché mi erigete delle povere mura? Credete di darmi gioia con le menzognere pratiche alle quali non fa riscontro santità di vita?”. No. Dio non si ha per delle esteriorità che celano piaghe e vuoto, come il manto d’oro gettato su un lebbroso o su una statua d’argilla vuota nel suo interno, senza la vita dell’anima. E dice il Signore confessando, Egli, il Padrone del mondo, la sua povertà di Re con troppi pochi sudditi, di Padre di troppi figli fuggiaschi dalla sua dimora: “A chi volgerò lo sguardo se non al poverello, al contrito di cuore che trema alla mia parola?”. Perché trema? Per sola paura di Dio? No. Per profondo rispetto, per vero amore. Per umiltà di suddito, di figlio, che dice, che riconosce che il Signore è il Tutto ed egli il nulla, e trema di emozione sentendosi amato, perdonato, sovvenuto dal Tutto.
   Oh! non cercate Dio fra i superbi! Là non c’è. Non cercatelo fra i duri di cuore. Là non c’è. Non cercatelo fra gli impenitenti. Là non c’è. Egli è nei semplici, nei puri, nei misericordiosi, nei poveri di spirito, nei miti, in quelli che piangono senza imprecare, nei cercatori di giustizia, nei perseguitati, nei pacifici. Là è Dio. Ed è in coloro che si pentono e vogliono perdono e chiedono espiazione. E non fanno, tutti questi, il sacrificio di un bue o di una pecora, l’oblazione di questo o quello, per essere applauditi, per superstizioso terrore di un castigo, per superbia di apparire perfetti. Ma fanno il sacrificio del loro cuore contrito e umiliato, se peccatori; del loro cuore ubbidiente fino all’eroismo, se giusti. Ecco ciò che il Signore gradisce. Ecco per quali offerte si dona coi suoi ineffabili tesori d’amore e di delizie soprannaturali. Agli altri non si dona. Essi hanno già le loro povere delizie nelle abominazioni, ed è inutile che Dio li chiami per le sue vie, posto che essi hanno già scelta la loro. A loro non manderà che abbandono, spavento e punizione, perché non hanno risposto al Signore, non hanno ubbidito, hanno fatto il male sotto gli occhi di Dio con scherno e con scelta malvagia.

   397.3­Ma voi, voi, miei diletti di Jutta, voi che tremate d’amore nella conoscenza di Dio, voi che per Me siete scherniti come stolti dai potenti, e persistete ad amarmi nonostante gli scherni, voi che siete respinti, e più, sempre più lo sarete per causa del mio Nome e di Me, ripudiati come bastardi d’Israele, come bastardi di Dio, mentre proprio in voi e in chi è come voi è innestato il tralcio della Vite eterna, di Colui che ha radice nel Padre, e perciò di Dio siete parte, di Dio, del suo succo vivete, voi che si vorrebbe persuadere che siete in errore, ai cui occhi, semplici ma illuminati dalla Grazia, ci si vorrebbe giustificare per non apparire sacrileghi e malfattori, voi a cui è detto: “Mostri il Signore la sua gloria e lo riconosceremo con la vostra stessa gioia”, voi soli avrete la gioia. Essi saranno confusi.
   Oh! Io già sento, dopo la confusione che li schiaccerà ma non li farà più buoni, Io già sento le vipere che non cessano di esser nocive altro che quando è loro schiacciato il capo esecrando, e mordono e uccidono anche se spezzate in due, anche se emergenti solo con la testa da una schiacciante manifestazione di Dio, già le sento gridare: “Come può avere partorito il Signore, di un subito, il nuovo suo popolo, se noi, da tanto tempo portati nel suo seno, ancora non siamo nati alla Luce? Può una partorire senza che il suono delle doglie empia la casa? Prima del tempo ha mai potuto partorire il Signore? Può mai la terra partorire in un sol giorno e può mai essere partorito tutto insieme un popolo?”.
   Io rispondo, e ricordatela questa risposta per darla a coloro che vi perseguiteranno schernendovi: “Mai avrebbero potuto essere nati alla Luce coloro che sono frutto morto nel seno di Dio, frutto che s’è seccato perché si è staccato dalla matrice rimanendo inerte, come male nascosto nel seno anziché come embrione che si completa. E per espellere il seme morto dal suo seno e avere figli, onde non muoia il suo Nome sulla Terra, Dio si è reso fecondo di nuovi figli, segnati del suo Tau, e nel segreto, nel silenzio, onde Satana e i satana che servono Lucifero non potessero nuocere, con anticipo dato da ardore d’amore, ha partorito il suo Maschio e partorisce insieme il nuovo suo popolo, perché tutto può il Signore”. Oh! Egli lo dice per bocca del profeta Isaia: “E che forse non potrò partorire Io che faccio partorire gli altri? Io, che concedo agli altri fecondità, sarò sterile?”.
   Rallegratevi con la Gerusalemme dei Cieli, esultate con lei, voi tutti che amate il Signore! Rallegratevi con lei di vera gioia, voi che attendete, voi che sperate, voi che soffrite!

   397.4­Oh! tornate, tornate a Me, parole! Parole venute dal Verbo di Dio. Parole dette dal portavoce di Dio, Isaia, suo profeta. Venite, tornate alla Fonte, o parole eterne, per esser sparse su questa aiuola di Dio, su questo gregge, su questa prole! Oh! Venite! Questa è una delle ore e delle adunanze per le quali siete state date, o profetiche parole, o suono d’amore, o voci di verità! Ecco che vengono! Ecco che tornano a Chi le ha ispirate! Ecco che Io, in nome del Padre, del mio Essere, e dello Spirito, le dico a questi amati da Dio, gli scelti fra il gregge di Dio, che tutto d’agnelli doveva essere, e s’è corrotto con arieti e bestie anche più immonde. Voi succhierete e sarete saziati alle mammelle della Consolazione divina e trarrete abbondanti delizie dalla molteplice gloria di Dio.
   Ecco! Vi dice il Signore: Io riverserò su di voi come un fiume di pace e, come un torrente che inonda, su voi sarà molto più che la gloria delle nazioni. La gloria del Cielo vi inonderà. Voi la succhierete, portati sul suo seno, e sulle sue ginocchia sarete accarezzati. Sì, come una madre accarezza il bambino, come Io accarezzo questo pargolo a cui ho messo il mio nome (e realmente Gesù prede il piccolo Jesai dalle braccia della madre, che è quasi ai suoi piedi fra i suoi tre figli), così Io consolerò voi che mi amate e continuerete ad amarmi, e presto sarà che voi siate consolati per sempre nel mio Regno. Voi lo vedrete e il vostro cuore sarà nella gioia, e le vostre ossa come erba rinverdiranno, o liberi da ogni paura perché a Me fedeli, quando il Signore verrà nel fuoco, sopra un cocchio simile al turbine, a guidare nel fuoco dell’amore e della giustizia, e a punire o ad esaltare, dividendo gli agnelli dai lupi, ossia da quelli che credevano santificarsi e farsi puri e invece idolatri si facevano.
   Il Signore, che ora parte, verrà, e beati quelli che troverà perseveranti sino alla fine. Questo il mio addio e con esso la mia benedizione. Inginocchiatevi, che Io vi fortifichi con essa. Il Signore vi benedica e vi custodisca. Il Signore vi mostri la sua faccia e abbia di voi misericordia. Il Signore vi dia la sua pace. Andate! Lasciate che Io mi accomiati dai buoni fra i buoni di Jutta».

   397.5­La gente se ne va a malincuore. Ma quando un fanciullo per primo dice: «Signore, lascia che io ti baci la mano», e Gesù consente, tutti vogliono dare un bacio sulle carni sante del­l’Agnello di Dio, e anche chi è già avviato verso il paese torna indietro, e baci di fanciulli sul volto, e baci di vecchi sulle mani, e baci di donne sui piedi nudi fra l’erba, cadono, con lacrime e parole di addio e di benedizione. Gesù paziente li accoglie e ha per tutti un particolare saluto.
   Finalmente tutti sono accontentati… Resta la famiglia ospitale… E si stringe a Gesù. E Sara dice: «Non tornerai proprio più?».
   «No, donna. Mai più. Ma non saremo divisi. Il mio amore sarà sempre con te, con voi, e il vostro con Me. Non mi dimenticherete, lo so. Ma vi dico: anche nelle ore più tremende, che verranno, non accogliete la Menzogna neppure come ospite di passaggio o come invasore improvviso… Dàmmi il fanciullino, Sara».
   La donna gli dà Jesai e Gesù si siede sull’erba col piccolo in grembo e parla col viso curvo sui capellucci del piccolo: «Ricordatevi sempre che Io sono l’Agnello che Isacco vi ha fatto amare anche prima che mi conosceste. E che un agnello è sempre innocente, come questo fanciullino, anche se viene coperto di pelle di lupo per farlo passare per malfattore. Ricordate che Io sono ancor più innocente di questo pargolo… che, lui beato! per la sua innocenza e puerizia non potrà comprendere la calunnia degli uomini sul suo Signore e perciò non ne sarà turbato… e continuerà ad amarmi così,… come ora… Abbiate il suo cuore, abbiatelo per l’Agnello, per l’Amico, per l’Innocente, per il Salvatore, che vi ama e benedice in maniera tutta speciale. Addio, Maria! Vieni a darmi un bacio… Addio, Emanuele! Vieni tu pure… Addio, Jesai, agnellino dell’Agnello… Siate buoni… Amatemi…».
   «Tu piangi, Signore!?», chiede stupita la bimba, vedendo brillare una lacrima fra i capellucci di Jesai.
   «Piange?», chiede il marito di Sara.
   «Tu piangi, o Maestro! Perché?», chiede la donna.
   «Non vi dolete del mio pianto. È amore e benedizione… Addio, Sara. Addio, uomo. Venite, come gli altri, a baciare il vostro Amico che parte…», e ricevuto sulle mani il bacio dei due sposi, rimette il piccolo nelle braccia della madre, benedice ancora e poi svelto inizia la discesa per la stessa stradetta usata per venire.
   Le voci di addio dei rimasti lo seguono: profonda quella dell’uomo, commossa quella della donna, trillanti quelle dei fanciulli, fino al basso del colle. Poi è solo il torrente, risalito verso nord, quello che saluta ancora il Maestro che lascia per sempre la terra di Jutta.

[75] nel suo 56° capo: invece tutto il discorso si richiama, anche con la citazione testuale di alcuni versetti, ad Isaia 66.